«Accertata pericolosità sociale» Ecco perché Rappoccio resta in cella
REGGIO CALABRIA La pericolosità sociale di Antonio Rappoccio non si è affatto attenuata. Il consigliere regionale arrestato per associazione a delinquere, corruzione elettorale aggravata, truffa e pe…

REGGIO CALABRIA La pericolosità sociale di Antonio Rappoccio non si è affatto attenuata. Il consigliere regionale arrestato per associazione a delinquere, corruzione elettorale aggravata, truffa e peculato, se venisse scarcerato, continuerebbe a «tessere la sua malefica ragnatela», per usare le parole della Procura generale che si è opposta alla sua remissione in libertà.
Nell’ordinanza con cui rigetta l’istanza formulata dal difensore del politico del Pri, il giudice per le indagini preliminari Vincenzo Pedone sostiene che le esigenze cautelari sono «perduranti» perché le «tesi difensive offerte in sede d’interrogatorio (…) non consentono di desumere il venir meno dell’accertata pericolosità sociale» dell’esponente politico di maggioranza in consiglio regionale.
Dalle sei pagine firmate dal gip emerge un quadro devastante della personalità dell’uomo politico che ne esce a pezzi sul piano dell’immagine.
Rappoccio non si è pentito affatto, sostengono i magistrati, che commentano l’interrogatorio di garanzia con toni tra il perplesso e l’imbarazzato. Gli sono state contestate le dichiarazioni rese dai suoi ex collaboratori: Aldo Claudio Rotilio, Domenico Valeri, Emilio Domenico Tripepi, Francesco Caccamo, Antonio Caridi, Antonio Malara, Filippo e Santino Nucera, Alessandra e Fortunato Parpiglia, Domenico Quattrone e Antonino Scimone. Tutti, anche a distanza molti mesi l’uno dall’altro, hanno riferito le stesse identiche cose. E cioè che presso la sede della cooperativa Alicante erano state consegnate loro delle schede con l’indicazione di parenti e amici che avrebbero votato il futuro onorevole; che erano stati annotati l’ubicazione e il numero della sezione elettorale; che Rappoccio e i suoi collaboratori avevano sollecitato tutto questo dietro la «prospettazione di concrete possibilità di lavoro nel caso di elezione» del candidato repubblicano.
Di fronte a queste contestazioni, il consigliere regionale cos’ha risposto? Semplice: che tutti quanti hanno mentito e che solo lui ha detto la verità. E poi ha sostenuto di non avere avuto nulla a che fare con la cooperativa Alicante, salvo cadere dalle nuvole quando gli è stato fatto notare di essersi recato personalmente nelle redazioni dei giornali per consegnare dei comunicati di replica a difesa della stessa società. Su uno specifico addebito, Rappoccio avrebbe fornito addirittura «una spiegazione assolutamente inverosimile», ricorda la Procura generale.
Per i magistrati requirenti «l’atteggiamento del Rappoccio dimostra che l’uomo ancora non demorde, è tuttora portatore di quel “callido disegno criminoso” perseguito nel corso degli anni, ed astutamente modulato attraverso la creazione di nuove società subentranti a quelle oggetto di attenzione da parte della stampa, disegno che gli ha consentito di illudere centinaia di giovani e le rispettive famiglie circa la possibilità di conquistarsi un lavoro».
D’altra parte, lascia intendere il gip, neanche l’avvocato del consigliere arrestato sembra crederci più di tanto: «È rimasto immutato il quadro indiziario, non revocato in dubbio neppure dal difensore che si è limitato ad invocare l’attenuazione del regime custodiale di massimo rigore in atto applicato al suo assistito». Né la sospensione dal Pri poteva costituire un elemento rilevante ai fini della concessione degli arresti domiciliari.
Il giudice Pedone spiega che «alla stregua della valutazione delle emergenze probatorie e delle inverosimili discolpe offerte dall’indagato» sussiste «il pericolo di condotte recidivanti» da parte di Rappoccio. Quest’ultimo avrebbe manifestato un «intento criminale forte», una «notevole tensione al delitto e una particolare spregiudicatezza nel persistere nell’intrapresa attività criminosa», restando «assolutamente indifferente» alle inchieste della stampa e alle indagini della magistratura. Ecco perché, dice il giudice per le indagini preliminari, tenere in carcere Antonio Rappoccio è «l’unica misura cautelare possibile» in relazione alla sua personalità.
Ordinanza gip su Rappoccio