L`Antimafia "smorza" le navi dei veleni
La Cunski? Non c`è. I dubbi sul contenuto della Jolly Rosso? Scomparsi. Il filo rosso tra le “navi a perdere” e la criminalità organizzata? Sparito pure quello. Al di là del titolo (“Relazione sui po…

La Cunski? Non c`è. I dubbi sul contenuto della Jolly Rosso? Scomparsi. Il filo rosso tra le “navi a perdere” e la criminalità organizzata? Sparito pure quello. Al di là del titolo (“Relazione sui possibili interessi della criminalità organizzata sul traffico marittimo”), il dossier della Commissione parlamentare antimafia delude chi aveva visto – dietro le indagini e le segnalazioni pervenute nel corso degli anni – il tentativo di depistare, coprire, insabbiare. Certo, restano dei dubbi, ma il succo delle 46 pagine firmate dai commissari e pubblicate sul sito dell`Espresso, è una sorta di “nulla di fatto”, molto orientato da una delle conclusioni fondanti dell`inchiesta, almeno sul lato calabrese: la non attendibilità delle dichiarazioni di Francesco Fonti, il pentito che – in due diversi momenti – ha scoperchiato il caso.
Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia vengono scartate con un`espressione tranchant, condivisa dalle Procure di Catanzaro e Potenza: «Assoluta mancanza di riscontri». È la pietra tombale sulle indagini di sette uffici giudiziari (oltre ai due già citati, ci sono anche Reggio Calabria, Firenze, Paola, Livorno e Lagonegro).
I DUBBI SULLA VALLE DELL`OLIVA
Anche nelle pieghe di una relazione che Angela Napoli, uno dei membri della commissione, definisce «la palese dimostrazione che non si voleva fare chiarezza e arrivare alla verità», emergono dubbi e circostanze inquietanti. Una parte fa capo a una delle due inchieste aperte sul filone a Paola, cioè «il ritrovamento nell’area del torrente Oliva di bidoni interrati contenenti sostanze tossiche. In particolare, i carotaggi effettuati in corrispondenza dei rilievi considerati anomali rispetto all’orografia del territorio hanno rivelato la presenza di mercurio, antimonio e bario all’interno di una sorta di sarcofago di cemento evidentemente creato all’uopo. Nella medesima zona sono state rinvenute anche tracce di cesio 137 a quattro metri di profondità, quindi, in condizioni tali da far supporre uno scarico di terreno contaminato proveniente da altro luogo». Allarmante, visto che anche «gli accertamenti eseguiti dall’Arpacal denotano una radioattività cinque volte superiore al normale, mentre l’ultima rilevazione del Noe – Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri – ha concluso per una radioattività nella norma (si è quindi, in pratica, registrata una significativa differenza di valutazione)». Prima questione: perché le due valutazioni sono così diverse? I commissari non rispondono (e forse non possono), ma tagliano, nella loro esposizione, il cordone ombelicale tra l`avvelenamento (presunto) nella valle dell`Oliva e lo spiaggiamento della Jolly Rosso ad Amantea. Così come saltano alcuni passaggi, come il ritrovamento, sulla Rosso, di documenti (anche se una versione più recente, sostenuta dall`ex pm reggino Francesco Neri e raccontata dal Corriere della Calabria, parla di veri e propri siluri) della società Odm, che progettava siluri carichi di rifiuti tossici da scaricare nei fondali.
DOV`È LA CUNSKI?
Il romanzo della motonave Cunski occupa diverse pagine della relazione. La conclusione è già nota: il relitto non è quello individuato nel Tirreno, davanti a Cetraro, ma non è neppure stato smantellato in India, nel porto di Alang, così come riportano i documenti ufficiali della Marina mercantile. Un gigantesco punto interrogativo al quale si sommano le dichiarazioni “frettolose” del ministro Stefania Prestigiacomo (il 27 ottobre 2009, con le analisi ancora in corso, spiegò che la nave affondata non era la Cunski). Il documento non spiega il perché di quelle parole, lasciando la sensazione che si sia voluto archiviare il caso un po` troppo in fretta.
RADIOATTIVITÀ ED ESPLOSIVI
TRA GIOIA TAURO-GENOVA
Il documento, pur auspicando nuovi approfondimenti, non riscontra particolari inquietanti neanche riguardo alla scoperta di una fonte radioattiva al porto di Genova Voltri (nel luglio del 2010) o del ritrovamento di un container carico di esplosivo T4 nel porto di Gioia Tauro. E dire che un elemento ci sarebbe: «In merito a eventuali correlazioni esistenti tra le due spedizioni dei container in esame, è emerso che sia il container contenente esplosivo che quello con sorgente orfana, sono stati gestiti dalla medesima compagnia di navigazione». Subito dopo, la frenata: «Non sono emersi elementi tali da far presupporre il coinvolgimento della criminalità organizzata, sia italiana che estera, nella vicenda».
La relazione sulle “navi a perdere”