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Reale 5, cinque condanne e un`assoluzione

REGGIO CALABRIA Si chiude con un`assoluzione e pene ridimensionate per tutti gli imputati il processo con rito abbreviato scaturito dall’operazione “Reale 5” che ha mandato dietro le sbarre i fianche…

Pubblicato il: 18/02/2013 – 13:28
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Reale 5, cinque condanne e un`assoluzione

REGGIO CALABRIA Si chiude con un`assoluzione e pene ridimensionate per tutti gli imputati il processo con rito abbreviato scaturito dall’operazione “Reale 5” che ha mandato dietro le sbarre i fiancheggiatori della latitanza di Antonio Pelle “Gambazza”, il mammasantissima di San Luca arrestato a Polistena il 12 giugno 2009 e morto poco dopo nell’ospedale di Locri.
Il gup Antonio Laganà ha assolto  Italiano Giasone, per il quale il pm Tedesco aveva chiesto quattro anni di carcere, mentre ha condannato Virginio e Pietro Scopelliti, accusati di inosservanza della pena, rispettivamente a 2 anni e 4 mesi e 3 anni e 6 mesi. Per entrambi il pm Tedesco aveva chiesto 4 anni di reclusione. È invece di due anni di reclusione la condanna inflitta dal gup a Vincenzo Brognano, Francesco Albanese e Giuseppe Codispoti, gli altri tre imputati che hanno scelto il rito abbreviato e per i quali la pubblica accusa aveva chiesto 3 anni e 6mesi.
Al centro dell’inchiesta, la rete di alleanze della cosca Pelle di San Luca, «funzionale – si leggeva nell’ordinanza dell’epoca – alla gestione dei diversificati traffici illeciti ed al sostegno logistico dei latitanti, tra i cui il noto boss defunto Antonio Pelle». Nonostante la prolungata malattia, il mammasantissima per lungo tempo è riuscito a sfuggire agli investigatori, nascondendosi prima nella sua Locride – nei bunker di contrada Ricciolio, quindi a Careri, successivamente a Natile Vecchio di Careri – e poi in provincia di Cuneo. Infine, dal dicembre 2008 fino ad aprile/maggio 2009, Pelle aveva trascorso la latitanza a Santo Stefano d`Aspromonte. Un periplo ricostruito dagli inquirenti grazie alle intercettazioni, vera e propria ossessione degli uomini della cosca Pelle, tanto preoccupata dalla possibile presenza di cimici degli investigatori da aver selezionato tecnici che provvedevano a bonificare periodicamente mezzi e abitazioni, ma addirittura da sviluppare tecniche “artigianali” per sfuggire alle orecchie lunghe degli inquirenti: dialogare a voce molto bassa, inquinare le voci alzando il volume della radio o della televisione o, addirittura, non parlare. Precauzioni inutili: saranno proprio le intercettazioni a farli cadere.

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