Processo Fallara, Raffa: ho pagato per essermi opposto al "modello Reggio"
REGGIO CALABRIA Un traghettatore, un passacarte mandato a gestire l’ordinaria amministrazione in attesa che il delfino designato – Demy Arena – prendesse il suo posto dopo regolari consultazioni elet…

REGGIO CALABRIA Un traghettatore, un passacarte mandato a gestire l’ordinaria amministrazione in attesa che il delfino designato – Demy Arena – prendesse il suo posto dopo regolari consultazioni elettorali: questo era quello che ci si aspettava che Giuseppe Raffa facesse in qualità di sindaco facente funzioni di Reggio Calabria. Un copione che il prescelto da Giuseppe Scopelliti, fresco di elezione in Regione, si è rifiutato di recitare. È la cronaca di una guerra tutta interna al Pdl reggino, tracimata nelle aule di Palazzo San Giorgio e consumata sulla pelle della città quella raccontata da Giuseppe Raffa – sentito oggi in qualità di testimone al processo Fallara – ripercorrendo i dieci burrascosi mesi passati al timone del Comune di Reggio. Mesi complicati. Calato il sipario sui grandi eventi di piazza e non, a celebrazione del “modello Reggio”, è in quell’epoca che il Comune si scopre non solo assediato da creditori, dipendenti in arretrato con gli stipendi e fornitori, ma anche con i conti in rosso. Drammaticamente in rosso. Ma soprattutto, è in quell’epoca che si inizia a comprendere il perché di quel cratere di bilancio che ci vorranno altri due anni per accertare. Sarà lo stesso Raffa ad aprire una crepa nella diga di silenzi, omissioni, bilanci nascosti all’opposizione che per anni ha invano chiesto lumi all’allora onnipotente dirigente del settore Finanze, Orsola Fallara, qualche mese dopo morta suicida, ingerendo una dose letale di acido muriatico. Un muro di gomma contro il quale anche lo stesso Raffa – riferisce – si ritroverà a sbattere: «Appena insediato avevo necessità di comprendere i confini del bilancio e le disponibilità», inizia a raccontare Raffa, ricordando i primi passi a Palazzo San Giorgio, nei giorni in cui le difficoltà di cassa del Comune sono già divenute cosa nota in città, i decreti ingiuntivi fioccano e la pazienza dei creditori è giunta al termine. «A quindici giorni dal mio insediamento, chiesi alla Fallara una relazione dettagliata sullo stato delle casse comunali», sottolinea con precisione l’attuale presidente della Provincia, fornendo al Tribunale una copia della missiva, datata 3 giugno 2010, a riprova delle proprie parole. All’epoca, Raffa non è un novellino dei palazzi di governo della città. Prima di essere chiamato a guidarla come facente funzioni, ne era vicesindaco e ancor prima ne era stato assessore. Probabilmente sapeva che Palazzo San Giorgio navigava in acque agitate, ma forse non immaginava l’entità della tempesta. O almeno questo dà ad intendere rispondendo alle domande della pm Sara Ombra. «Da tempo in giunta si discuteva dell’opportunità di continuare a distrarre somme dai fondi vincolati per tamponare emergenze, ma – afferma – da vicesindaco non avevo avuto modo di intervenire sulla questione». E catapultato al timone di Palazzo San Giorgio, i tentativi di colmare tale lacuna saranno totalmente infruttuosi. Solo dopo ripetuti solleciti, il 26 luglio del 2010, la dirigente del settore Finanze risponderà all’allora primo cittadino che «è iniziata l’opera di ricognizione dei conti». Conti sui quali tuttavia continuerà a permanere un velo di mistero. Se non di omertà. Un termine che Raffa non si spinge ad usare, così come non sembra voler – almeno esplicitamente – spiegare su cosa si fondasse l’allora immenso potere della dirigente. Eppure, si lascia sfuggire «per questo suo atteggiamento la Fallara aveva un rapporto di conflittualità con tutti, ma con Scopelliti i rapporti erano buoni. Il suo era un incarico di consulente esterna, che implica simbiosi e fiducia». Un rapporto che non solo ha sfibrato e costretto a gettare la spugna più di un assessore al Bilancio, ma – ricorda Raffa e confermerà dopo di lui l’ingegnere Gorassini – che ha sfidato anche i giudizi sempre sotto la media, se non in un caso, del Nucleo di valutazione dei dirigenti, costretto in più di un’occasione ad arrendersi all’indisponibilità della dirigente a rendicontare il proprio lavoro.
I mandati di pagamento e il crollo della diga. Ma quanto più riservata la Fallara fosse sull’attività del settore che dirigeva, tanto più solerte si dimostrava nel produrre carte e fascicoli necessari a far partire i mandati di pagamento relativi alle difese dell’Ente di fronte alla Commissione tributaria. «Appena insediato, mi sono stati portati dei faldoni direttamente dalla Fallara, che ne ha più volte sollecitato la firma. Sono rimasti per circa venti giorni sulla mia scrivania, ma quando ho iniziato a esaminarli mi sono accorto che c’erano cose che non andavano». Anomalie – ammette Raffa – registrate già a partire dalla procedura utilizzata per sottoporre la documentazione: «A differenza di quanto succedesse con la Squillaci (dirigente settore legale, ndr), che li dava al capo di Gabinetto, il quale a sua volta me li sottoponeva alla firma, era la stessa Fallara a portarmi i mandati».
Ma sarà nell’esaminare quei provvedimenti che l’allora sindaco facente funzioni si renderà conto che non si trattava semplicemente di una questione di mancato rispetto del protocollo. A differenza dei provvedimenti predisposti dagli altri dirigenti, nei quali la scelta del consulente esterno era rimessa al sindaco, in quelli disposti dalla Fallara, non solo era già indicato il nome del professionista esterno incaricato, ma nella maggior parte dei casi si trattava della stessa dirigente. «Altra anomalia era che solitamente i dirigenti o funzionari interni che svolgono il medesimo incarico, non vengono retribuiti, invece nei decreti di nomina della Fallara era previsto un compenso». Per 55 incarichi svolti in meno di due anni – si scoprirà in seguito – la dirigente del settore Finanze si retribuirà con la modica cifra di 941 milioni al netto delle ritenute, senza che tali mandati passassero dall’ufficio legale o da qualsivoglia altro organo di controllo. «In passato non ero io a seguire questi procedimenti – spiega Raffa – ma suppongo che venissero liquidate dal settore finanze, dunque da lei stessa». Un circuito chiuso e inaccessibile, dentro il quale sarebbero sparite cifre che solo tempo dopo si arriverà ad elaborare, ma che in Raffa già all’epoca avevano fatto sorgere più di un sospetto. Sospetti – ricorda in aula – che lo avrebbe spinto a chiedere lumi sulla procedura tanto alla dirigente del settore Legale, Fedora Squillaci, tanto all’allora capo di Gabinetto, l’avvocato Giuseppe Barrile ricevendo risposte contrastanti. Quella che per Barrile era una «prassi consolidata», per l’esperta dirigente comunale era un palese illecito. E per Raffa, l’inizio di una lunga collezione di pareri formali e informali che lo porteranno a decidere di sospendere la Fallara dall’incarico. Una collezione in cui non manca l’ex sindaco e compagno di partito Giuseppe Scopelliti: «A lui ho detto che non c’era alternativa, ma mi rispose che c’era un parere contrario dell’avvocato Romano e quindi nel dubbio era il caso di soprassedere sulla sospensione». Una decisione che all’epoca il centrodestra reggino non gradisce, così come non gradisce le iniziative che il sindaco facente funzioni – accusato di non assicurare la continuità – deciderà di prendere. «C’era un accanimento politico verso la decisione della sospensione. Ricordo, in particolare, un comunicato di Morisani in cui mi si accusava di aver orientato la decisione scegliendo un avvocato vicino al centrosinistra». Guerra interna al Pdl sulla pelle della città, in palio il decreto Reggio.
La guerra interna al Pdl. Ma la decisione di allontanare la Fallara dal settore Finanze sarà solo l’inizio della guerra fra Raffa e il suo stesso partito, combattuta sulle trincee di congedi eccellenti – come quelli dei consulenti esterni Zoccali e Melissari – o di decisioni eclatanti, come la decisione di non rinnovare il contratto con la nota radio Rtl, nonostante la Regione avesse promesso un sostegno economico all’iniziativa. Doverosi segnali di sob
rietà e riequilibrio – dice l’attuale presidente della Provincia – in una città dalla precaria condizione economica e finanziaria, che il suo stesso partito non perdona a Raffa, così come mal tollera le iniziative messe a punto assieme al nuovo dirigente del settore Finanze, Pasquale Nucera, per perimetrare i confini dei bilanci dell’Ente. Un’operazione trasparenza che passa anche dalla decisione di fornire le informazioni sul conti del Comune che da tempo l’opposizione chiedeva e «a cui ho sempre risposto non perché mi stessero simpatici o antipatici, ma perché è la legge che me lo impone». Decisioni bersagliate da centinaia di velenose dichiarazioni e comunicati stampa che sconfessano l’operato del facente funzioni, mentre – lontano dai riflettori – si consuma la battaglia più importante: quella per il decreto Reggio. Un generoso rubinetto di milioni che Scopelliti – «in nome della continuità di gestione», sottolinea Raffa – avrebbe voluto mantenere sotto la sua responsabilità. Una questione spinosa, di cui anche il ministero sarà investito e che solo il secco “no” del sottosegretario Mantovani a un’eccezione alla procedura che individua nel sindaco il responsabile del generoso decreto, farà desistere Scopelliti. L’ennesima tappa di una crisi strisciante che passerà dal boicottaggio di tre riunioni di giunta e da un documento pubblico di sconfessione, «sottoscritto da 22 consiglieri e 8 assessori» a carico di Raffa, che solo lunghe riunioni romane riusciranno a superare.
«Con Scopelliti abbiamo avuto anche una riunione al partito a Roma per dirimere la questione». L’allora facente funzioni non entra in dettagli, non rivela né argomenti né toni di quella tregua siglata lontana dalla Calabria. Agli onori delle cronache resta però la firma negata in calce al bilancio consuntivo 2009. Probabilmente la prima ufficiale sconfessione del “modello Reggio”, oggi a processo – anche se non imputato – nelle aule del Cedir.