REGGIO CALABRIA «Giovanni Tegano aveva un interesse nella Multiservizi. Non so dire in che forma o in che modo ma sapevo che lui c`entrava. Ne avevo parlato con lui, perchè volevo chiedergli se c`era la possibilità di essere assunto, ma mi fece capire di no. Era meglio non attirare l`attenzione delle forze dell`ordine con l`assunzione di uno di famiglia. Sulla Leonia, mi disse poi vediamo». È la storia – recente e remota – di quei “numeri uno della `ndrangheta”, quel clan Tegano che assieme ai De Stefano «comanda Reggio Calabria e la Calabria», quella che il collaboratore Roberto Moio ha iniziato a raccontare oggi nell`aula bunker di Reggio Calabria. Nipote acquisito di Giovanni Tegano, Moio – divenuto collaboratore nel 2010 – ha vissuto da protagonista quella storia. Killer di fiducia del clan, quindi personaggio di primo piano di quella che definisce la «nuova `ndrangheta» partorita dalla pax del `91, dei Tegano conosce tutti – o per lo meno buona parte – dei segreti e degli affari. Inclusi quelli che hanno portato il clan ad accaparrarsi non solo la principale società mista della città, la Multiservizi, e la cooperativa che gestiva per Ferrovie dello Stato gli appalti per la pulizia dei treni, ma anche a poter avanzare pretese sulla Leonia, l’altra partecipata reggina finita al centro di un’indagine della Dda.
L’EVOLUZIONE DI UN KILLER Uomo del gruppo di fuoco di Luigi Molinetti, è negli anni tumultuosi della seconda guerra di ‘ndrangheta – che a Reggio città ha ridefinito gli assetti criminali e non – che Moio vive la sua rapidissima ascesa. Giovane rapinatore, diventa killer di fiducia dei Tegano, clan che con i De Stefano dividerà in quegli anni morti e strategie. «Le decisioni sugli obiettivi da colpire venivano prese da Giovanni e Pasquale Tegano, come da Orazio o Peppe De Stefano». Una circostanza su cui il pm Lombardo si è voluto soffermare: in quegli anni infatti il secondogenito di don Paolino, non era più di un ragazzo di 16-17 anni. Ma già allora, ribadisce convinto il collaboratore «nonostante fosse molto giovane aveva già un ruolo. Quando siamo andati a uccidere Paolo Condello, siamo partiti dalla villa di Archi e c’erano Peppe e Dimitri. Anche a Como, quando abbiamo fatto la riunione a casa di Coco Trovato, c’erano Orazio e Peppe. C’era anche Paolo Martino».
E se durante la guerra Moio è stato un killer spietato, anche la pace che ne sancirà la fine gli regalerà un ruolo: non solo sarà incaricato dal mammasantissima Giovanni di accompagnare ‘Ntoni Nirta alla riunione di Sinopoli che metterà fine alla guerra, ma sarà anche uno dei tanti emissari mandati dagli arcoti a dire «non si spara più».
GLI INSOSPETTABILI Ma negli anni del conflitto da oltre settecento morti ammazzati, che per anni ha terrorizzato Reggio città non hanno fatto carriera solo i killer. In quegli anni bui, a farsi strada sono anche i cosiddetti insospettabili, ma che tali erano – rivela Moio in aula – solo all`apparenza. Personaggi come Pino Rechichi, la cui ascesa criminale è cominciata ben prima che venisse colpito dall’ordinanza emessa nell’ambito del procedimento Archi Astrea, come uomo ombra dei Tegano all’interno di Multiservizi. «Pino Rechichi è stato battezzato il mio stesso giorno. Lui era portato avanti da Carmelo Barbaro», afferma il collaboratore ricordando come Rechichi, fin dai tempi della guerra di `ndrangheta si sia prestato a dare appoggio logistico ai gruppi di fuoco, reduci da omicidi e attentati, o a latitanti in cerca di rifugi sicuri. «Rechichi venne a prenderci dopo l`attentato a Nino Imerti, passammo due giorni a casa sua dopo quell`azione, ma ha ospitato anche Mimmo Tegano quando era latitante per l`operazione “Santa Barbara”».
E nelle stanze della Comedil, che «non mi sono mai chiesto davvero se fosse di Pino Rechichi o meno, ma di certo prendeva tutti i lavori con i De Stefano e i Tegano», i clan durante la guerra tenevano le proprie riunioni. Una circostanza già emersa con la deposizione di un altro pentito di rango, Nino Fiume, e che Moio non ha fatto che confermare e arricchire di nuovi dettagli. «Agli incontri alla Comedil erano presenti Pino e Rosario Rechichi. I due fratelli non avevano lo stesso ruolo, Rosario si occupava soprattutto del lato economico, quando c`erano riunioni, assisteva senza intervenire, ma non ci siamo mai posti il problema di parlare di fronte a lui. Abbiamo discusso di tutto, anche di omicidi, ma sapevamo che non c`erano problemi, anche se non era battezzato». E quello di Moio con Pino Rechichi è un rapporto lungo, radicato nel tempo e proseguito fino a poco prima dell’arresto. «Ci vedevamo spesso, andavo a trovarlo all’ufficio che hanno sempre avuto lì ad Archi, lì dove adesso c’è la Multiservizi», dice il collaboratore, confermando l’ipotesi investigativa che dietro le variegate realtà societarie che si sono avvicendate all’interno della società mista, ha identificato comunque l’ombra dei Tegano.
`NDRANGHETA NUOVA E MATRIMONI COMBINATI Società come quella che faceva capo ai giovanissimi fratelli Lavilla, , subentrati nella compagine sociale della Multiservizi, quando – dice l`inchiesta “Astrea” – la presenza di quella che gli inquirenti ritengono la storica testa di legno dei Tegano, Rechichi, era diventata troppo ingombrante. Nonostante anche i Lavilla fossero da sempre una famiglia vicina ai Tegano e il padre, Peppe, una vecchia conoscenza dello stesso Moio, che almeno in un’occasione l’ha rifornito di droga, i due ragazzi non sono battezzati. «Ma oggi – afferma il pentito – a Reggio Calabria non è necessario. Nella nuova `ndrangheta c`è gente che non ha nessun grado e nessuna carica ma può fare quello che vuole», in virtù di un legame di sangue – diretto o acquisito – con clan storici. È il caso di Paolo Schimizzi, nipote di Tegano, Giorgino De Stefano o Paolo Caponera, figli illegittimi di pezzi da novanta del clan De Stefano, sottolinea il collaboratore, ma anche di Antonio Lavilla, che nella famiglia Tegano è entrato con il matrimonio. E «chi entra nella famiglia Tegano – spiega Moio – entra a far parte della famiglia nel lecito e nell`illecito».
E proprio per questo, sottolinea il collaboratore, molto spesso i matrimoni sarebbero combinati, orchestrati, come quello celebrato fra Antonio e la figlia di Giovanni Tegano, Saveria. Un`affermazione che ha fatto montare su tutte le furie l`imputato, che al termine dell`udienza ha chiesto e ottenuto di fare dichiarazioni spontanee per urlare al Tribunale – ma soprattutto a familiari e amici assiepati negli spazi riservati al pubblico – che «io nella vita ho avuto un`unica fidanzata, Tegano Saveria e un`unica moglie, Tegano Saveria. Sono innamorato di mia moglie, non di mio suocero. Sono sempre stato innamorato di Tegano Saveria, non di Tegano Giovanni». Affermazione salutata da un applauso del pubblico, duramente redarguito dal nuovo presidente del Tribunale, Campagna, insediato oggi dopo l`astensione del giudice De Pascale per motivi di incompatibilità.
DA MULTISERVIZI A LEONIA, PASSANDO PER NEW LABOR Eppure, nonostante l’eterno amore professato in aula, è difficile che Antonio Lavilla possa negare che il matrimonio gli abbia portato – quanto meno economicamente – fortuna. Tanto meno, che le attività che lo vedevano impegnato – in primis la Multiservizi – non avessero a che fare con il clan di Archi. «Quando alla Multiservizi i Lavilla avevano bisogno di lasciare a casa gente, magari li prendevamo noi alla New Labor», ricorda il collaboratore, illustrando i quasi paradossali ammortizzatori sociali delle ‘ndrine. Ma quando lo scontro sindacale si fa duro i clan non rinunciano né ai vecchi metodi, né alle vecchie facce. «Mi ricordo che lì c’era una situazione molto delicata a livello sindacale. Alcuni operai infatti erano iscritti con Nino Barillà ( condannato a sei anni nel filone abbreviato del procedimento, ndr), ma erano entrati in conflitto
con lui. Mi sono interessato io perché lì dietro c’era Tegano ed era necessario non dare nell’occhio», spiega Moio, che per la stessa ragione si sentirà dire di no quando chiederà un’assunzione lì o in Leonia. Uno di famiglia, nipote del mammasantissima Giovanni Tegano, avrebbe quanto meno solleticato la curiosità degli inquirenti. Per lui, meglio una comoda allocazione alla New labor, la cooperativa vincitrice dell’appalto per la pulizia dei treni, che al clan di Archi ha sempre fruttato un sostanzioso ingresso mensile, fin dai tempi delle lire. «All’inizio erano dieci milioni, poi siamo arrivati a ventimila euro al mese», ricorda Moio.
Una torta che fa gola anche al clan del Gebbione, i Labate, conosciuti come Timangiu e ras della fornitura delle carni in città. Quando la platea di lavaggio dei treni si sposterà dalla zona della stazione centrale, in centro città, a Calamizzi, nello storico feudo dei Labate, sarà il boss Pietro a chiedere «un pezzo di pane pure lui». Un desiderata discusso prima della sua scomparsa, con Paolo Schimizzi, reggente della famiglia Tegano, ma estremamente vicino a Peppe De Stefano, la cui ascesa è stata – secondo ipotesi investigative – frenata brutalmente proprio dalla sua stessa famiglia. Ma per reiterare quella richiesta, Pietro Labate, usando Moio come tramite, dovrà rivolgersi a coloro che di Schimizzi all’epoca si candidavano a divenire gli eredi, Michele Crudo e Carmine Polimeni. Una richiesta che mai avrebbe potuto rivolgere direttamente al boss Tegano, lascia intendere il collaboratore, a testimonianza del radicale cambiamento di equilibri seguito alla pax del 91.
Ma l’appalto per la pulizia dei treni, non era l’unico affare su cui il boss del Gebbione avanzasse pretese. Anche la Leonia, «che era interesse dei Fontana – afferma Moio – ma dove anche Schimizzi andava ogni mese a prendere i soldi per conto dei Tegano», faceva gola ai Labate. Un peccato di ingordigia che costerà caro al clan del Gebbione, che da quel momento perderanno l’esclusiva nella fornitura della carne a Reggio città.
Una città – «gli appalti, i lavori, i soldi, lo dimostrano, sono dati certi» sottolinea Moio – in mano a un direttorio di famiglie – Tegano, De Stefano, Condello – che alle altre `ndrine, dopo la guerra durante la quale si sono mutuamente massacrate, hanno imposto le proprie leggi e le proprie regole. Fatti su cui Moio ha ancora da riferire perché «dottore si ricordi sempre che fino al giorno del mio arresto, io sono stato il nipote di Giovanni Tegano». E degli affari di famiglia ha ancora tanto da raccontare.
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