TORINO Non ci poteva credere, Alberto Musy, di essere il bersaglio di un attentatore. «In che razza di mondo viviamo – disse il consigliere comunale al vicino di casa che si precipitò a soccorrerlo – se c`è gente che ti spara senza motivo». Il particolare è emerso nell`aula del tribunale di Torino dove si è aperto il processo all`uomo accusato di aver premuto il grilletto: Francesco Furchì, cinquantenne calabrese dipinto dalle carte dell`indagine come un «rancoroso faccendiere», che si professa innocente. A rivelare i dettagli di quella mattina del 21 marzo 2012 è stato Maurizio Piras, inquilino della palazzina di via Barbaboux nel cui cortile venne ferito Musy. E se fosse vero che ilmovente dell`agguato, come sostiene l`accusa, è la vendetta (Furchì si arrabbiò perché Musy non assecondava i suoi maneggi) è anche vero che il consigliere, di professione avvocato civilista, non sospettava nemmeno di avere un nemico tanto feroce. Musy, ferito ma ancora lucido, prima di cadere nel coma dal quale non si è più risvegliato disse a Piras di aver notato in cortile uno sconosciuto con un casco da motociclista e la bocca coperta da nastro adesivo: «Gli ho chiesto cosa faceva, lui si è voltato, ha tirato fuori una pistola e ha fatto fuoco».
Con la moglie, Angelica Corporandi d`Auvare, aggiunse di essere stato «inseguito» e che «c`era un motorino».
La signora Angelica, in aula, ripercorre le tappe di un amore «che non si è mai affievolito». La coppia ha avuto quattro bimbe, la più grande di 13 anni e la più piccina di tre. «L`uomo che ha sparato ha sospeso una vita che aveva molto da comunicare e da dare». La donna risponde a lungo alle domande del pm Roberto Furlan e la sua testimonianza alza un velo sulla Torino bene e sulle persone che le ruotano attorno. Spuntano il medico che assillava Musy sperando di fare carriera, l`accademico con cui ebbe uno screzio, le pressioni cui Alberto venne sottoposto quando fece parte di una commissione per dei concorsi universitari a Napoli e Palermo. «Siamo consapevoli – dicono gli avvocati difensori, Giancarlo Pittelli e Mariarosaria Ferrara – del dramma del nostro collega, della sua famiglia e della sua città. Confidiamo in un processo sereno. Finora è stato sereno e ne siamo lieti». Furchì, che secondo la Procura è inchiodato da una massa di indizi, filmati e speciali esami scientifici, ascolta impassibile. Scambiando qualche parola con i giornalisti dice: «Sono tranquillo. Ho fiducia nella giustizia, un pò meno nel pm …». Quello stesso pm che oggi chiede al tribunale di disporre una perizia psichiatrica e legge le cartelle cliniche delle visite in carcere: una personalità «narcisistica», un uomo che alla minima contrarietà reagisce in modo «incontrollato». Ma l`avvocato Pittelli non ci sta: «In un processo si trovano prima le prove, e poi si traccia il profilo criminale del colpevole. Qui si pretende di fare il contrario». Dal procuratore Gian Carlo Caselli arriva una risposta indiretta: «Ci sono poche prove? A me non sembra». (0050)
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