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Bellu lavuru 2, il racconto della caccia agli "invisibili"

REGGIO CALABRIA È con la testimonianza del capitano Valerio Palmieri che, dopo numerosi rinvii, entra finalmente nel vivo Bellu Lavuru 2, il procedimento scaturito dall’omonima operazione che ha po…

Pubblicato il: 20/06/2013 – 22:02
Bellu lavuru 2, il racconto della caccia agli "invisibili"

REGGIO CALABRIA È con la testimonianza del capitano Valerio Palmieri che, dopo numerosi rinvii, entra finalmente nel vivo Bellu Lavuru 2, il procedimento scaturito dall’omonima operazione che ha portato dietro le sbarre non solo esponenti di primo piano delle cosche Morabito, Maisano, Rodà-Talia e Vadalà ma anche quattro   manager di Condotte d`acqua, terzo polo italiano delle costruzioni, accusati di aver spalancato le porte dei propri cantieri sulla statale 106 nella zona di Palizzi ai clan del luogo, assicurando loro un subappalto da 7 milioni e 400mila euro. Questa la cifra che  Sebastiano Paneduro, Rinaldo Strati, Antonino D`Alessio e Cosimo Giuffrida, i dirigenti all`epoca finiti in manette, si erano impegnati a versare sia alla Imc, società che orbiterebbe nella galassia del clan Morabito, sia alla D`Agui beton srl, riconducibile, secondo gli inquirenti, ai Vadalà, Maisano, Rodà e Talia. Con buona pace dei protocolli Antimafia sottoscritti dai manager fra flash e telecamere, “sostanzialmente Condotte – scrive il pm Lombardo nell’ordinanza di custodia cautelare – ha avuto cura di dividere esattamente in parti uguali la fornitura di calcestruzzo necessario tra la D`Agui beton srl e la Imc”.
Non si tratta di vessazione – sostengono gli inquirenti – ma di complicità dettata dal comune intento di fare profitto.
Un’inchiesta lunga e complessa – ha iniziato a ricostruire il capitano, rispondendo alle domande del pm Giuseppe Lombardo – che ha permesso non solo di documentare le infiltrazioni delle `ndrine del mandamento jonico negli appalti per la realizzazione di importanti opere pubbliche – con il sostanziale visto buono delle grandi imprese appaltatrici – ma anche di individuare le nuove strutture di cui i clan si erano dotati per spartirsi i sontuosi profitti, superando le antiche faide. È il caso della “base” – ha spiegato Palmieri, ripercorrendo la corposa informativa a fondamento dell’inchiesta – il nuovo organismo individuato nel corso delle indagini che opera nel mandamento jonico e vede federate diverse cosche ma non su un piano paritario. A dettare le regole continuano a essere i potentissimi Morabito del boss Giuseppe Tiradritto, che nonostante gli arresti ne abbiano decimato le fila, continuano a condurre il gioco criminale. E in base alla loro legge e alle loro regole – che senza fatica riescono a imporre – sono loro – dice il capitano – ad aggiudicarsi sempre e comunque il settore più redditizio degli appalti, “controllati – sottolinea l’ufficiale – facendo lavorare direttamente o indirettamente ditte a loro collegate, imponendo forniture, o attraverso i contratti di nolo a caldo o a freddo”.
Ma il maggior successo investigativo dell’inchiesta coordinata dal pm Giuseppe Lombardo – e di cui oggi l’ufficiale ha iniziato a riportare i risultati – è probabilmente l’individuazione di un’altra struttura, sconosciuta almeno fino al 2007. “Si tratta di una struttura importante, creata dopo l’omicidio Fortugno”, sottolinea  Palmieri, di cui non si trova riscontro nelle precedenti indagini. A rivelarla agli inquirenti è la viva voce di uno degli odierni imputati, Sebastiano Altomonte che – intercettato dalle cimici del Ros – rivela alla moglie – e agli inquirenti che interessati ascoltano – di aver partecipato ad un pranzo insieme a cinque o sei persone definite “invisibili”. E chi siano questi invisibili è lui stesso a spiegarlo in un’altra chiacchierata  intercettata e divenuta per gli inquirenti di enorme interesse investigativo. Parlando con il fratello, Altomonte spiega infatti di “far parte di un gruppo di persone sconosciuto ai più, denominato “gli invisibili”, nato solo da un paio di anni, e del quale a Bova con lui ne fanno parte solo 5 persone che sono quelle che realmente contano”.
Una struttura nata – dice Palmieri, ripercorrendo quelle intercettazioni – per proteggere il centro decisionale dell’organizzazione dalle rivelazioni dei pentiti – “se no oggi il mondo finiva; se no tutti cantavano”, dice Altomonte intercettato – e di cui neanche gli affiliati sono a conoscenza. Una struttura parallela occulta, che si affianca alla `ndrangheta che i più conoscono, ma estremamente più potente e pervasiva di quest’ultima. “C’è la visibile e l’invisibile che è nata da un paio di anni“, ascoltano gli inquirenti dalla viva voce dell’invisibile Altomonte. Rivelazioni che troveranno riscontro nelle dichiarazioni di collaboratori e no, che in altri procedimenti e altre inchieste chiariranno l’ennesima evoluzione della ndrangheta, che ha occultato ai suoi stessi affiliati non solo i componenti, ma spesso anche l’esistenza delle sue articolazioni più potenti  e più a diretto contatto con lobby e centri di potere non solo calabresi. Un nuovo livello, più difficile da individuare, ma infinitamente più pericoloso che in Sebastiano Altomonte ha uno dei suoi rappresentanti.
Per gli inquirenti è lui “l’anello di congiunzione tra esponenti di spicco della criminalità organizzata e appartenenti al settore politico-amministrativo tra i quali l’ex consigliere regionale Domenico Crea”. Proprio quel Crea, primo dei non eletti alle Regionali 2005, promosso solo dopo l’omicidio di Franco Fortugno, quindi passato dalla Margherita alla nuova Dc, condannato a sette anni e sei mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
Ma per sua stessa ammissione, Altomonte è anche un appartenente alla massoneria, alla “Gran Loggia Regolare d`Italia, G.L.R., Gran Loggia Regolare d`Italia”, quella struttura i cui appartenenti si identificano “fratelli tutti visibili ed invisibili che adornate l’Oriente”. Una coincidenza che per gli inquirenti non può essere casuale e che apre uno scenario del tutto nuovo nel panorama criminale reggino. Una pista su cui gli inquirenti da anni continuano a indagare e che – forse – potrebbe portare a gettare luce sugli ultimi eventi – criminali e non – che hanno scandito la storia di Reggio città.

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