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Deposizioni eccellenti al processo contro la cosca Lo Giudice

REGGIO CALABRIA Sono deposizioni eccellenti quelle che, dopo la pausa estiva, segneranno la riapertura dell’attività istruttoria al processo contro la cosca Lo Giudice. Di fronte al collegio presiedu…

Pubblicato il: 16/07/2013 – 15:22
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Deposizioni eccellenti al processo contro la cosca Lo Giudice

REGGIO CALABRIA Sono deposizioni eccellenti quelle che, dopo la pausa estiva, segneranno la riapertura dell’attività istruttoria al processo contro la cosca Lo Giudice. Di fronte al collegio presieduto da Silvia Capone è infatti previsto che sfilino sia alti ufficiali del Ros, come l’ex comandante del nucleo a Reggio Calabria, Valerio Giardina, convocato per il 17 settembre, sia magistrati che in città sono o sono stati attivi, come il sostituto procuratore generale Francesco Mollace, il giudice Francesco Neri o l’ex numero due della Dna, Alberto Cisterna.

NESSUN MISTERO SU PASQUALE CONDELLO
Chiamato come teste a discarico dalle difese, Giardina dovrà riferire sulle lunghe indagini che hanno portato alla cattura di Pasquale Condello e che – stando a quanto fino ad ora emerso – mai hanno fatto registrare un qualsivoglia ruolo del pentito Nino Lo Giudice. Una vicenda che poco o nulla ha a che fare con il procedimento che vede alla sbarra fratelli e nipoti del collaboratore di giustizia – resosi irreperibile da oltre un mese – ma che vi è entrata prepotentemente non solo perché il Nano ha per mesi affermato – salvo poi smentirlo rotondamente, bollandolo come «trovata mediatica» – di aver gestito la latitanza del Superboss e aver contribuito alla sua cattura, ma soprattutto perché agli atti del procedimento sono finite sette riservatissime relazioni che hanno svelato le vere fonti del Ros.

LE ATTESE DEPOSIZIONI DI CISTERNA, MOLLACE E NERI
Allo stesso modo, la convocazione in aula dei tre magistrati, potrebbe essere l’occasione per chiarire molti aspetti che nonostante siano privi di alcuna rilevanza penale, sono divenuti – fin dalle prime battute del processo – oggetto di puntiglioso approfondimento da parte del pm Beatrice Ronchi. Ai tre viene a vario titolo attribuito un rapporto – in realtà mai provato – di conoscenza e frequentazione con il fratello del collaboratore, Luciano Lo Giudice, costato a tutti anni di gogna mediatica e ad Alberto Cisterna l’apertura di un fascicolo – poi archiviato su richiesta della stessa Procura che l’aveva istruito – e la carriera. Una vicenda che per anni si è consumata più sui media che nelle sedi dovute, alimentata da errori investigativi – oggi oggetto di diverso procedimento, come nel caso dell’informativa redatta dal capo della Mobile di Torino, Luigi Silipo – curiose sviste, altrettanto strane fughe di notizie e clamorose ritrattazioni.
A tirare in ballo i tre magistrati era stato infatti il collaboratore Nino Lo Giudice, che in un memoriale redatto al termine dei 180 giorni, durante i quali la legge prevede che prenda forma il cosiddetto verbale illustrativo – la Bibbia di un futuro collaboratore – ha improvvisamente ricordato che il fratello Luciano avrebbe avuto rapporti ambigui con Mollace e Neri, ma soprattutto con Alberto Cisterna. Accuse dalle quali nessuno dei tre è mai stato messo in condizioni di difendersi di fronte a un giudice terzo, ma che sono state a più riprese ripetute fino a quando Nino Lo Giudice non ha deciso di darsi alla macchia, lasciandosi dietro le spalle un memoriale con cui smentisce quanto dichiarato in precedenza, ma soprattutto accusa quella che definisce una «cricca di magistrati» di averne drogato la collaborazione, inducendolo ad «accusare innocenti» come l’ex numero due della Dna, Alberto Cisterna e altri colleghi a lui vicini. Una verità – quella del memoriale – acquisita come mero “fatto storico” al processo Lo Giudice, ma che con la deposizione di Cisterna, Mollace e Neri potrebbe riempirsi di contenuti.

LA PAURA DI MARINO
A chiudere invece l’attività istruttoria prima della pausa estiva è stata invece la deposizione del collaboratore Marco Marino, chiamato dalle difese a ripetere in aula quanto già messo a verbale di fronte ai magistrati di Catanzaro, sugli attentati che nel 2010 hanno terrorizzato Reggio città. Affermazioni che – a quanto si apprende – al collaboratore sarebbero costate una denuncia per calunnia perché per i magistrati di Catanzaro sarebbero state troppo diverse da quelle già messe a verbale nel corso dell’interrogatorio con il pm della Dda reggina, Giuseppe Lombardo. E – forse – proprio a causa del timore di una seconda denuncia, il pentito Marino si è mostrato terrorizzato all’idea di ripetere quanto già messo a verbale. Incalzato dall’avvocato, ha più volte fatto appello al suo legale, al pm Ronchi e perfino al Tribunale, per sapere se fosse autorizzato a rispondere. Nonostante nessuno avesse opposto il segreto investigativo, ha più volte balbettato «non voglio essere d’intralcio all’Ufficio di Procura, non so se sono autorizzato a rispondere». Un imbarazzo  che neanche le rassicurazioni del suo legale sono riuscite a vincere e dissipare. Incalzato dall’avvocato, Marino prosegue con un certo impaccio: «Su attentati, mandanti ed esecutori non so nulla. Sugli attentati a Di Landro non posso dire nulla di specifico». Eppure solo un momento prima aveva affermato «nel corso dei 180 giorni sono stato chiamato dalla Procura di Catanzaro a riferire sugli attentati ai magistrati e alla Procura di Reggio. Io ho detto quello che sapevo..», continua in maniera sempre più confusa, per poi fermarsi senza rivelare nulla di più. Un mistero che si aggiunge alle già tante ombre che si addensano sul processo alla cosca Lo Giudice, un procedimento che  via via che l’istruttoria avanza sembra ingarbugliarsi sempre di più. (0020)

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