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Chiesto il rinvio a giudizio per Micciché

REGGIO CALABRIA La Procura di Reggio Calabria ha chiesto il rinvio a giudizio per il faccendiere calabrese Aldo Micciché, arrestato nel luglio 2012 in Venezuela – Paese che ha scelto per dribblare un…

Pubblicato il: 24/01/2014 – 13:57
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Chiesto il rinvio a giudizio per Micciché

REGGIO CALABRIA La Procura di Reggio Calabria ha chiesto il rinvio a giudizio per il faccendiere calabrese Aldo Micciché, arrestato nel luglio 2012 in Venezuela – Paese che ha scelto per dribblare una prima condanna per bancarotta fraudolenta –, quindi estradato in Italia. Destinatario di un provvedimento cautelare nell’ambito dell’indagine sulle cosche della Piana, “Cent’anni di storia”, l’ex dirigente della Democrazia cristiana per anni è sfuggito al procedimento che ha svelato i suoi presunti rapporti con il potentissimo clan Piromalli. Relazioni sopravvissute anche alla lunga permanenza di Micciché in Venezuela, da dove il faccendiere non avrebbe avuto timore a dispensare consigli a picciotti e boss, ma anche a mettersi a disposizione dei vecchi amici, come Marcello Dell’Utri. È proprio con lui – che mai sarà indagato per la vicenda – che Micciché avrebbe architettato la presunta alterazione del voto degli italiani all’estero in occasione delle elezioni del 2008. È infatti pochi mesi prima di quella consultazione elettorale che gli investigatori lo ascoltano chiacchierare al telefono con l’ex senatore del Pdl e, prima della condanna in secondo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, storico braccio destro di Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri, al quale assicurava di essere in grado di bruciare e sostituire migliaia di schede con i voti degli italiani in Venezuela. Concetto ribadito, alcuni giorni dopo, anche a Filippo Fani, stretto collaboratore della senatrice Barbara Contini, all’epoca responsabile Esteri del Pdl. La contropartita richiesta sarebbe stata, secondo l’accusa, un’attenuazione del regime di 41 bis cui era sottoposto il boss Giuseppe Piromalli e il conferimento di una funzione consolare al figlio di quest’ultimo, Antonio, per tenerlo al riparo da possibili inchieste. Un progetto in seguito naufragato – si leggeva nell’ordinanza – solo per «l`impossibilità dei referenti politici ed istituzionali contattati di affrontare e risolvere la situazione per tutto un insieme di problemi dovuti sia alla paura dei soggetti di muoversi in un terreno così pericoloso, e sia alle difficoltà giudiziarie del ministro della Giustizia. Neppure “il Senatore” ha possibilità di muoversi in questo campo».
Allo scopo, nei mesi precedenti, il faccendiere aveva spedito Gioacchino Arcidiaco, cugino di Antonio Piromalli, figlio del superboss Giuseppe rinchiuso al 41 bis, alla corte di Dell’Utri, con istruzioni precise: «“La Piana… la Piana è cosa nostra facci capisciri… il porto di Gioia Tauro lo abbiamo fatto noi, insomma! Hai capito o no? Fagli capire che in Aspromonte e tutto che succede là sopra è successo tramite noi”. E “ricordati che la politica si deve saper fare… ora fagli capire che in Calabria o si muove sulla Tirrenica o si muove sulla Ionica o si muove al centro ha bisogno di noi». Parole pesantissime ma che restituirebbero solo in parte una fedele immagine della ragnatela di contatti dell’ex politico democristiano, vicino ai Piromalli, ma – stando alle conversazioni intercettate – in ottimi rapporti anche con i clan siciliani. «Ho avuto l`autorizzazione di dire – spiega ad Arcidiacono – che gli possiamo garantire Calabria e Sicilia». Ma la joint venture fra Micciché e Dell’Utri non si sarebbe limitata alla politica, entrambi sarebbero stati infatti al centro di un oscuro affare che dalla Russia al Venezuela, passando per la Svizzera, prometteva di far affluire milioni nelle tasche di entrambi grazie ad un’ambigua triangolazione fra il colosso dell’oligarca russo Renova, la società petrolifera statale Pdvsa e Gazprom. E Micciché non sarebbe stato l’unico personaggio di peso con cui, nei suoi anni venezuelani, l’ex politico democristiano sarebbe stato in contatto. Nelle intercettazioni finite agli atti del procedimento ci sono ministri, sottosegretari, esponenti dell’antimafia, cardinali, banchieri italiani e vaticani, faccendieri e intermediari finanziari. Tutte conversazioni che adesso Aldo Micciché dovrà tentare di spiegare. (0050)

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