REGGIO CALABRIA Nulla sapeva, nulla aveva capito, nessun ruolo ha avuto nell’operazione. Per la Procura, il commercialista Roberto Emo ha avuto un ruolo fondamentale in almeno uno dell’infinita serie di passaggi societari che ha permesso ai Tegano di mettere radici nella società mista del Comune di Reggio Calabria, Multiservizi. Ma di fronte al Tribunale presieduto dal giudice Campagna, Roberto Emo nega, ridimensiona, si smarca. La versione che fornisce, rispondendo alle domande del pm Giuseppe Lombardo e del suo legale, il noto avvocato Carlo Taormina, è quella di un professionista, inconsapevolmente tirato dentro un affare di cui non ha compreso i risvolti criminali.
L’OPERAZIONE SI.CA
Eppure, stando a quanto emerge dall’indagine Archi-Astrea e dalla successiva istruttoria dibattimentale, non sarebbe andata proprio così. Sebbene nelle carte il suo nome non appaia e – almeno formalmente – a lui non sia ascrivibile alcun ruolo, per il pm Giuseppe Lombardo, sarebbe stato proprio Emo, assieme al cognato Giovanni Zumbo – commercialista e amministratore di beni confiscati, impiegato come “antenna” dai Servizi, ma pizzicato a passare notizie dettagliate sulle indagini in corso al boss Giuseppe Pelle e per questo condannato a più di sedici anni di reclusione – a congegnare quello che le risultanze investigative indicano come un fittizio passaggio delle quote delle società a favore delle rispettive mogli, la commercialista Maria Porzia Zumbo e l’avvocato Maria Francesca Toscano. A inchiodare il commercialista, le tante, troppe e decisamente esplicite conversazioni intercettate con la cognata, che sembrerebbero dimostrare che non solo Emo era perfettamente a conoscenza dei vari passaggi dell’operazione, ma soprattutto che sarebbe stato lui uno dei pochi soggetti in grado di imbastire una versione di comodo cui la Toscano si rivolge quando teme una convocazione da parte della magistratura. E gli elementi relativi al passaggio di quote dai fratelli Antonio e Maurizio Lavilla – per gli inquirenti i prestanome divenuti inaffidabili perché entrati nel mirino della guardia di finanza – alla moglie e alla sorella di Zumbo, emersi dall’indagine Archi Astrea, non mancano. I fratelli Lavilla, titolari della Si.Ca – la società che aveva affittato un ramo d’azienda dalla Comedil, ditta formalmente dell’ex direttore operativo di Multiservizi Pino Rechichi, ma da sempre nell’orbita del clan Tegano – cedono le proprie quote alla sorella e alla moglie di Zumbo, indicando che il quantum pattuito era stato già saldato, ma dall`analisi dei redditi delle due donne emerge che nessuna delle due era in grado di sostenere questo investimento, mentre le intercettazioni raccontano che quel pagamento non ci sarebbe mai stato. Un`operazione assolutamente speculare – sostengono gli inquirenti – a quella che vedrà la Toscano e la Zumbo cedere le proprie quote alla Recim, dei figli di Giuseppe Rechichi. E proprio Rechichi – svelerà l`indagine che ha avuto già una prima conferma dalle durissime condanne arrivate a carico degli imputati che hanno scelto il rito abbreviato – sarebbe l`uomo fondamentale che avrebbe permetsso ai Tegano di entrare nella Multiservizi fin dalla costituzione e di restarci fino al suo scioglimento.
«IO ALL’OSCURO DI TUTTO»
Un’operazione sulla cui liceità sta ben attento a pronunciarsi Roberto Emo, ma nella quale – sostiene – sarebbe stato coinvolto solo marginalmente. «Zumbo – racconta, su domanda del pm – aveva raggiunto un accordo commerciale con i fratelli Rechichi, coinvolgendo poi la Toscano e la mia ex moglie, Maria Porzia Zumbo». In cambio del passaggio societario e di una gestione mirata a ottenere un finanziamento bancario per risollevare i Rechichi dalle difficoltà economiche, Zumbo, la moglie e la sorella avrebbero percepito tremila euro al mese e in prospettiva avrebbero potuto acquisire la gestione della contabilità della società. Ma lui – afferma, rispondendo al suo legale – sarebbe stato informato solo a cose fatte e solo ad affare praticamente concluso e per non più di un paio di volte avrebbe incontrato i Lavilla e i Rechichi. «Mi hanno fatto vedere questa scrittura privata di quindici righe, spiegandomi che era loro intenzione sfruttare questo aspetto fiduciario per ottenere il mutuo (un finanziamento chiesto alla banca sulla base del passaggio societario, ndr). Non era ancora stato firmato, ma era già stato redatto. Dagli studi che ho fatto, ho detto loro che quella scrittura privata doveva essere registrata, ma soprattutto bisognava indicare fiduciario e fiduciante», ricorda. Raccomandazioni che – stando a quanto afferma – non sarebbero state seguite. «Dopo l’arresto, ho avuto modo di guardare tutte le carte e la scrittura privata non era menzionata da nessuna parte», spiega. È dunque l’immagine di un uomo, un marito, un parente e un professionista tenuto a margine di affari e decisioni quella che Roberto Emo vuole dare di sé. «All’epoca non sono intervenuto prima di tutto perché, trattandosi dell’affitto di un ramo d’azienda, mia moglie stava acquistando una società vuota, che non era proprietaria di alcun bene strumentale, tanto meno di merci in rimanenza, non aveva debiti con le banche né con i fornitori, secondo motivo, perché si era parlato del mutuo, ma non era stato detto che i partecipanti dovessero fornire qualche garanzia».
LA COLPA È DELLO SPIONE GIOVANNI ZUMBO
In sintesi, l’unico responsabile dell’operazione, per Emo sarebbe stato il cognato Giovanni Zumbo, che per questo ha già rimediato una condanna a 5 anni di reclusione nel processo di primo grado con rito abbreviato. Nonostante nelle conversazioni ci siano continui riferimenti alla sua persona come regista o comunque persona molto informata sull’affare, Emo è netto: «Io non ero amministratore né formalmente né sostanzialmente. Di queste cose parlatene con Zumbo». Con cui al contrario – dice – proprio per quell’affare ci sarebbe stata la rottura definitiva. «Già dal 2001 i rapporti con Zumbo non erano cordiali, ma sono arrivato al punto da non tollerare più neanche la vicinanza fisica in studio. Ho sopportato per lungo tempo perché lo studio era dei miei suoceri e mia moglie faceva da cuscinetto fra noi. Non ho mai sopportato la faciloneria che aveva anche con i clienti, era mia moglie che spesso lo copriva, facendo anche il suo lavoro. Non mi importava né sapevo chi frequentasse, la mia vita è stata sempre fatta di lavoro e sport, molto sport», quasi si sfoga Emo, che però su domanda dell’avvocato Taormina specifica, a sottolineare il suo essere totalmente inconsapevole della pericolosità dell’operazione «i miei problemi con lui non sono relazionati a questa operazione. Il mutuo è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, solo perché fatto a mia insaputa». Sarà, eppure – aveva fatto emergere poco prima il pm Lombardo – la rottura definitiva fra i due cognati si consuma proprio all’indomani dell’affare Sica.
FRECCIATE AL VETRIOLO PER LA TOSCANO
Ma parole di fiele Emo le riserva anche all’ex cognata, Maria Francesca Toscano. E forse non a caso. È lei ad aver fornito agli inquirenti inestimabili prove della partecipazione di Emo all’affare nel corso di lunghe, cristalline, dettagliate conversazioni telefoniche, intercettate dagli inquirenti. Tutti dialoghi con cui oggi il commercialista è stato messo a confronto, uscendone quanto meno zoppicante fra un «c’è molta confusione», un «vanno valutate in ordine cronologico», «la perizia del Ctu dice una cosa differente» che non bastano a dribblare le domande del pm. Intercettazione dopo intercettazione, emerge un quadro che vede Emo punto di riferimento per la Toscano, quando la cognata comprende che quell’operazione finanziaria potrebbe procurarle guai. Ma a far quasi saltare i nervi al commercialista oggi alla sbarra è la conversazione intercettata fra la donna e il suo amante, Antonio Laganà,durante la quale la T
oscano si dice totalmente ignara dei passaggi chiave dell’operazione. «È stata la Toscano a volere la scrittura privata, quasi l’ha dettata lei e adesso fa finta di non sapere nulla, ma non mi sorprende – sottolinea Emo – che al suo amante, che in precedenza era l’aiutante di Zumbo, lei dica di non sapere nulla, perché si tratta di un’operazione che ha fatto con il marito». Intrecci passionali e societari, forse aggravati dall’articolo sette. (0020)
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