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Latitante calabrese arrestato in Perù

REGGIO CALABRIA Il latitante Pasquale Bifulco, ritenuto appartenente alla cosca Letto Cua della zona di Platì, è stato arrestato dalla polizia in Perù. Bifulco, 41 anni, era ricercato da febbraio sco…

Pubblicato il: 05/06/2014 – 22:00
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Latitante calabrese arrestato in Perù

REGGIO CALABRIA Il latitante Pasquale Bifulco, ritenuto appartenente alla cosca Letto Cua della zona di Platì, è stato arrestato dalla polizia in Perù. Bifulco, 41 anni, era ricercato da febbraio scorso con l’accusa di associazione di tipo mafioso e traffico internazionale di droga, ed era destinatario di due provvedimenti restrittivi emessi dai magistrati di Reggio Calabria e dalle autorità brasiliane. Bifulco è stato arrestato dagli uomini dell’Interpol, della Squadra mobile di Reggio e servizio centrale operativo a San Isidro. 

Bifulco, secondo gli investigatori di Reggio Calabria, era il capo indiscusso di un potente sodalizio criminale, operante sulla fascia ionica reggina, che acquistava e importava dal Sud America enormi quantitativi di cocaina trasportata a bordo di navi mercantili provenienti principalmente dal Brasile e dal Perù.
Il nome di Bifulco, soprannominato Julio o Francesco, era inserito nell’elenco dei latitanti pericolosi. L’uomo è stato arrestato a San Isidro dagli uomini dell’Interpol, della Squadra mobile di Reggio Calabria e del Servizio centrale operativo coordinati dalla Dda reggina. Legato al clan Ietto-Cua-Pipicella di Natile di Careri era sfuggito all’arresto nell’ambito dell’operazione “Buongustaio” condotta nel febbraio scorso. L’inchiesta nell’ambito della quale, nel febbraio scorso, era stato chiesto l’arresto di Bifulco, è stata condotta dagli uomini del Goa della guardia di finanza di Catanzaro.
L’operazione, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, si era svolta contestualmente ad un’altra indagine coordinata dalla Procura federale dello Stato di San Paolo in Brasile ed aveva portato all’arresto, in Italia ed all’estero, di 44 persone. Nel corso dell’attività investigativa, durata circa due anni, i finanzieri erano riusciti a sequestrare due tonnellate di cocaina che avrebbero fruttato all’organizzazione circa 400 milioni di euro.
Dalle indagini era emersa l’esistenza di organizzazioni transnazionali distinte tra loro ma che interagivano sinergicamente ed erano in grado di trafficare quantitativi enormi di cocaina dai Paesi produttori del Sud America ai principali porti europei, da dove veniva smistata per essere
destinata allo spaccio. Al centro di tutto c’erano le cosche della ‘ndrangheta degli Ietto, Cua e Pipicella, operanti sulla fascia ionica reggina.
Un ruolo di primo piano nell’organizzazione, secondo gli inquirenti, era rivestito proprio da Bifulco.
Poliglotta, Bifulco, secondo quanto emerso dalle indagini, si muoveva rapidamente e chiudeva accordi in mezzo mondo, pagando sempre in contanti le partite di droga contrattate. Alle sue spalle agiva un’organizzazione agguerrita e ramificata, con punti di riferimento sia in Italia, dove contava su appoggi logistici nella provincia di Napoli ed in quella di Torino, oltre che in Calabria. La Polizia ha anche individuato uno dei suoi più stretti collaboratori di Bifulco in Vito Francesco Zinghinì, attualmente detenuto, destinatario del medesimo provvedimento restrittivo emesso dal gip di Reggio Calabria.
Bifulco ed il suo complice, prima dell’arresto, secondo gliinvestigatori, si spostavano in Sud America restandovi anche per lunghi periodi. Quando rientrava in Calabria, Bifulco incontrava gli esponenti di spicco della propria ‘ndrina di appartenenza, riferendo gli esiti delle trattative con i narcos sudamericani.
Per quanto riguarda il trasporto dello stupefacente, il gruppo capeggiato da Bifulco aveva accantonato il sistema della “nave madre”, una nave, cioè, di grandi dimensioni che scaricava la droga in imbarcazioni più piccole, per utilizzare la più sicura spedizione di container imbarcati su navi mercantili ed evitando anche di nasconderla tra la merce lecita spedita preferendo la tecnica cosiddetta “rip off”, ovvero rendendo la droga facilmente accessibile nel container al personale portuale contiguo all’organizzazione o corrotto dalla ‘ndrangheta.

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