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Mafia e appalti a Catanzaro, le ragioni del gip

CATANZARO  Termina con una raffica di archiviazioni l’inchiesta che ipotizzava l’infiltrazione dei clan negli appalti del Comune di Catanzaro. Il giudice Assunta Maiore ha accolto la richiesta…

Pubblicato il: 11/07/2014 – 13:11
Mafia e appalti a Catanzaro, le ragioni del gip

CATANZARO  Termina con una raffica di archiviazioni l’inchiesta che ipotizzava l’infiltrazione dei clan negli appalti del Comune di Catanzaro. Il giudice Assunta Maiore ha accolto la richiesta avanzata dal procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri e del pm Vincenzo Capomolla. Tra le diverse posizioni archiviate, su richiesta dei magistrati della Dda, ci sono Domenico Tallini, oggi assessore regionale al Personale, all’epoca dei fatti consigliere comunale e vicepresidente della commissione consiliare Urbanistica, il consigliere comunale Carlo Nisticò, all’epoca dei fatti presidente della commissione Urbanistica, l’ex assessore Vincenzo Belmonte, ma anche Claudio Scardamaglia, Giuseppe Cardamone e l’ex sindaco di Simeri, Saverio Loiero, l’avvocato Piero Mancuso. Cadono, inoltre, le ipotesi accusatorie nei confronti degli imprenditori Antonio, Daniele e Giuseppe Lobello. In totale erano 47 le persone iscritte sul registro degli indagati, 29 dei quali coperti da omissis. Già in precedenza alcune posizioni erano state archiviate, come quella del vice prefetto Sebastiano Cento, altre ancora erano state trasmesse per competenza a Reggio Calabria. Nel capoluogo calabrese resterebbe ancora aperto un filone che riguarda il tentativo di alcuni indagati di venire a conoscenza di notizie coperte da segreto istruttorio attraverso alcuni rappresentanti delle forze dell’ordine.

 

L’ASSOCIAZIONE Nelle 11 pagine di decreto di archiviazione l’analisi del gip Maiore parte dal pesante reato di associazione mafiosa contestato agli indagati. Un’ipotesi, è spiegato, che si fondava essenzialmente sul risultato delle intercettazioni che, «invero, difetta di univocità di dati e di precisione». Osserva il giudice che «da un lato emerge, con un buon grado di certezza, la vicinanza dell’impresa Lobello alla cosca reggina Mazzagatti-Rustico-Polimeni, oltre che con esponenti del clan Arena di Isola Capo Rizzuto. Al contempo – si legge nel provvedimento di archiviazione – difetta la dimostrazione, attraverso gli esiti intercettivi del procedimento, che le conteressenze economiche e i rapporti di vicinanza siano stati la base su cui sarebbe stato costituito un vero e proprio sodalizio mafioso che, facendo proprio il metodo di intimidazione proprio delle associazioni di questo tipo, dotato di una propria autonomia, abbia mirato a condizionare l’attività imprenditoriale nel capoluogo di regione». Caduta l’ipotesi di associazione naturale conseguenza è la perdita di consistenza dell’ipotesi di concorso esterno per politici e funzionari pubblici indagati dalla Dda. Tra questi spicca il nome dell’assessore regionale Tallini ritenuto dall’accusa referente politico dei Lobello. Le intercettazioni raccolte durante le indagini hanno evidenziato una «attività di proselitismo di Daniele Lobello dai toni certo poco corretti» con organizzazioni di cene elettorali, ma anche «le conversazioni di Tallini evidenziano la richiesta di appoggio elettorale rivolta ai Lobello». Per il gip il fatto che le intercettazioni abbiano evidenziato l’interesse dei Lobello alla vittoria elettorale del gruppo Tallini (nelle elezioni attenzionate vincerà invece Rosario Olivo), «non è sufficiente per la configurabilità del reato di corruzione elettorale».

 

LA CONCUSSIONE «Insussistenti elementi sufficienti a sostenere l’accusa», così il giudice mette un punto sulle indagini che avevano riguardato l’interesse dei Lobello per alcune lottizzazioni nel Comune di Catanzaro. In questo caso la Procura aveva ipotizzato, a carico dei politici Tallini e Carlo Nisticò e degli imprenditori Antonio Lobello e Umberto Crivaro, il reato di concussione. Sostanzialmente, sintetizza il gip, l’ipotesi di reato si fondava sul fatto che «all’esito della competizione elettorale (maggio 2006) entrambi gli indagati (Tallini e Nisticò, ndr) assumevano ruoli di vertice nella commissione Urbanistica del Comune di Catanzaro e che, pur appartenendo a schieramenti politici diversi, avessero dimostrato – come è desumibile dalle intercettazioni – una certa “convergenza” di tipo elettoralistico nel corso della campagna elettorale». Parallelamente i dialoghi intercettati hanno fatto emergere l’interesse di Lobello e Crivaro alla realizzazione di due lottizzazioni, una nel rione Fortuna, l’altra nei pressi del porto. In particolare per quest’ultimo investimento, oltre a coinvolgere un altro imprenditore, Claudio Scardamaglia, la famiglia Lobello pianificava un incontro che si sarebbe dovuto tenere tra un commercialista di Lido e «Domenico Tallini in quanto gli “dovevano parlare per quel discorso qua… della Marina”». Intercettazioni successive, scrive ancora il gip, evidenziano come «a fronte della necessità di investire l’esponente politico per l’avvio dell’attività lottizzatoria, i Lobello si rendevano disponibili a raccogliere le preferenze in suo favore nella fase conclusiva della campagna elettorale in atto». Secondo il giudice, comunque, «sebbene in astratto possa sospettarsi qualcosa di illecito, la sola necessità di richiedere un intervento da parte dell’esponente politico in merito a un’attività di lottizzazione non è sufficiente a dimostrare “indebite pressioni” che comportino violazioni di legge». Tra l’altro, evidenzia il gip, «nessuna attività di indagine risulta compiuta sul punto e, quindi, non si comprende se effettivamente vi siano stati ostacoli da superare grazie alle pressioni indebite dei politici». I colloqui tra gli imprenditori, è spiegato nel decreto di archiviazione, «dimostrano come i Lobello fossero convinti di avere diritto a una sorta di credito derivante dall’appoggio elettorale, ma certamente non dimostrano che gli indagati abbiano esercitato pressioni indebite sui soggetti preposti alla trattazione del procedimento che non sembra siano mai stati escussi». Scendendo nel particolare, l’interessamento del consigliere comunale Nisticò sulle due lottizzazioni non basta a dimostrare l’ipotesi di reato: «Ancorché possa apparire irrituale la sua condotta di ritirare lui stesso “le lettere” che riguardavano i due interventi e consegnare i documenti a uno dei due imprenditori di riferimento, nonché l’invito a “festeggiare insieme” per la definizione positiva del procedimento relativo a un’attività lottizzatoria in capo a un privato». «Risulta ancora – scrive il gip Maiore – che il Nisticò fornisse a Lobello e a Crivaro indirizzi comportamentali, che ove non attuati, avrebbero potuto determinare l’applicazione nei confronti dei medesimi di sanzioni, nonostante egli fosse componente della commissione edilizia, ma non sembra che siano stati approfonditi gli aspetti relativi a possibili conflitti di interesse per essere stato lo stesso indicato come il vero progettista dell’opera e quindi la configurabilità di abusi di ufficio che, peraltro, sarebbero verosimilmente prescritti».

 

LAVORI IN… “CORSO” Altro punto centrale dell’inchiesta erano i lavori di ristrutturazione di corso Mazzini a Catanzaro. In questo caso la consulenza tecnica ha evidenziato le anomalie e le gravi inadempienze dell’Ati, formata dalle imprese Lobello e Torchia, nella realizzazione dell’appalto. L’accusa originaria ipotizzava che il responsabile unico del procedimento, il dirigente comunale Vincenzo Belmonte, pur a conoscenza delle negligenze non abbia irrogato le sanzioni previste dal contratto. Le stesse intercettazioni telefoniche, a parere del gip, dimostrano, però, che il funzionario del Comune sollecitò più volte l’impresa a rispettare gli accordi tanto da suscitare la reazione degli imprenditori con conversazioni che «assumono quasi un carattere intimidatorio» e ad apostrofare Belmonte con il termine «fetuso». Elementi che contrastano, quindi, con le ipotesi di accusa. Ma questo filone di indagine ha coinvolto anche alcuni esponenti politici. Dopo la vittoria alle elezioni del maggio 2006 del centrosinistra, il neo sindaco Rosario Olivo decise di rescindere il contratto con l’Ati Lobe
llo-Torchia. A quel punto gli imprenditori avvicinarono «ogni loro possibile conoscenza o aderenza al fine di ottenere notizie e mediazioni affinché la vicenda avesse per loro un esito positivo». In questo contesto la Procura aveva posto attenzione agli interventi in aula di Tallini e Nisticò che avevano perorato la causa dell’impresa sostenendo il rischio di un danno alle casse comunali. Per il gip «non appare configurabile la fattispecie di reato rispetto al fatto che Tallini e Nisticò, in qualità di consiglieri comunali, abbiano perorato le ragioni dell’Ati, a fronte delle inadempienze contrattuali realizzative ed esecutive dagli stessi conosciute». Secondo il giudice, comunque, «appare evidente “l’interesse politico” del Tallini ad assumere la tutela in consiglio del Lobello, in quanto in una conversazione ricordava a Daniele Lobello di “arrivarsi fattivamente e celermente” per avviare la campagna di tesseramento politico in Simeri Crichi e Soveria Simeri, in favore della compagine politica dello stesso Tallini». In definitiva il giudice del Tribunale di Catanzaro ritiene che l’attenzione dell’attuale assessore regionale in favore dell’impresa «sia intervenuta in ragione della vicinanza politica, del sostegno elettorale e della manifesta volontà del Lobello di avviare la costituzione della sede della formazione politica cui aderiva il Tallini in Simeri e Soveria e non certamente per interessi dell’ente comunale o della collettività: ciò consente di configurare al più una condotta politicamente deprecabile ma non anche penalmente rilevante».

 

GLI AVVOCATI Archiviate anche le posizioni dei due legali della famiglia Lobello, l’ex sindaco di Simeri Crichi Saverio Loiero e l’avvocato Piero Mancuso. Per il primo il gip sottolinea l’inopportuna duplice veste di amministratore e legale «specie con riferimento alla pratica di rilascio della certificazione antimafia di una ditta che intratteneva o avrebbe potuto intrattenere rapporti con il comune dallo stesso presieduto». Tuttavia il giudice esclude che Loiero abbia posto in essere condotte illecite a vantaggio dei Lobello. Nei confronti di Mancuso, invece, c’era solo una intercettazione dal «tenore equivoco» che non dimostra l’ipotesi investigativa».

 

g.maz

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