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Le due Calabrie di Joseph Luzzi

Le due Italie di Joseph Luzzi sono unite da un filo spessissimo che va oltre il legame puramente geografico. Figlio (nato in Usa e cresciuto a Rhode Island) di genitori acresi, ha iniziato a pensar…

Pubblicato il: 10/08/2014 – 16:42
Le due Calabrie di Joseph Luzzi

Le due Italie di Joseph Luzzi sono unite da un filo spessissimo che va oltre il legame puramente geografico. Figlio (nato in Usa e cresciuto a Rhode Island) di genitori acresi, ha iniziato a pensare a “My two Italies” (in vendita per i tipi di Farrar, Straus and Giroux dal 15 luglio) esattamente vent’anni fa, da studente di italiano a Yale, in quel 1994 che è connesso alla discesa in campo di Silvio Berlusconi. La prima combinazione, il primo filo che tiene assieme gli elementi è proprio questo: e il libro esce dopo i due decenni in cui s’è consumata – pare – la Seconda Repubblica, lasciando sedimentare e incancrenirsi una crisi non solo politica. Crisi che Luzzi fotografa nel libro con una originale chiave di lettura, tra presente e passato e con le parole e la lingua italiane a fare da guida.
«Ho tenuto questo progetto in mente per molti anni – ha dichiarato il docente di letteratura italiano al Bard College in un’intervista a BookPage –. Dal momento in cui ho deciso di restituire il mio amore per l’italiano nel mio percorso lavorativo, ho sentito un forte desiderio di condividere la mia fascinazione con il mondo degli immigrati del Meridione da cui io stesso provengo e i tesori culturali del Nord che stavo studiando». Con le dimissioni di Berlusconi da premier, nel novembre 2011, il progetto può finalmente partire nella sua fase “esecutiva”.
Il volume nasce come opera divulgativa in cui predominano la forma del saggio e dell’articolo, ideali per raccontare il modo “cronachistico” la transizione italiana del post-berlusconismo. È a questo punto che Luzzi sente il bisogno di allargare l’orizzonte – al contrario di quanto si possa pensare, visto che entrano in gioco gli elementi privati – e «tell my story», raccontare la mia storia. Così il microcosmo, che forse sarebbe meglio definire macro, della cultura italoamericana ingloba, sotto la lente accorta di Luzzi, gli spaghetti e i tornei di bocce, la saga del Padrino e dei Soprano’s e le polpette, persino i «terrificanti panini» – in questi termini l’autore ne ha parlato a Edward Morris che lo intervistava – che lo imbarazzavano ai tempi della scuola quando, nella sala mensa, era il momento di scartarli e il piccolo Joseph doveva quasi contenere il grasso che tracimava sul foglio di alluminio in cui erano avvolti: avrebbe preferito, confessa ora, un ben più «patriottico burro d’arachidi». Evidentemente erano tempi in cui l’home made e l’italian touch adattato al cibo non erano percepiti come lo sono adesso…
Le due Italie di Luzzi sono – più che la madrepatria e gli States come sarebbe più facile aspettarsi da un italoamericano – il Paese diviso in due per come appare anche agli occhi di molti italiani: non è un caso se, oltre al termine «crisi», nel libro ricorre spesso «mistero». Lo splendore del Rinascimento fiorentino e la piaga della mafia sono due espedienti per raccontare il Paese bifronte. Ma qui siamo nei passi più “politici” di “My two Italies”. Quelli più antropologici sono resi benissimo da una frase di Luzzi semplificabile così: ero sospeso tra due mondi, e cioè mi sentivo troppo calabrese per i miei coetanei e troppo impregnato della cultura americana dei miei compagni di classe per essere un autentico “italiano” come lo era il ramo calabrese della mia famiglia. Un nucleo perfettamente in linea con l’idem sentire dei grandi flussi di fine XIX e inizio XX secolo: immedesimarsi più con la propria regione che con la patria di provenienza.
Cresciuto tra la lingua contaminata dei genitori («she’s a’ no’ home» invece di «he’s not home») e quella delle letture formative (Shakespeare, Dickens, Hemingway e Joyce), Luzzi ha poi affinato per studi e lavoro anche quella dei “padri” dell’italiano letterario (Dante e Manzoni su tutti): un percorso speculare rispetto a quello del padre e dei tanti emigrati non solo meridionali, sospesi tra la parlata nativa poi abbandonata per necessità, l’italiano moderno mai del tutto appreso proprio come l’inglese cui furono costretti a ripiegare.
Ma se il Sud dovesse essere raccolto in una sola parola che ne restituisca il senso – almeno per come lo percepì fin da piccolo Joseph Luzzi – allora quella parola sarebbe «la miseria». Una condizione da cui i suoi genitori fuggirono non senza dolore e tristezza per gli affetti abbandonati.
Non può dunque mancare la figura del padre, «hard head» (testa dura) come da stereotipo e perfezionista in ogni cosa facesse – dall’orto curato come si trattasse di un manicure al leggendario vino fatto in casa, per arrivare all’ondulazione dei suoi capelli brizzolati –, forgiato com’era dalla prigionia in un campo di lavori forzati nazifascista in Germania, al quale sopravvisse dopo aver combattuto nella seconda guerra mondiale. A opera ultimata, le pagine che dovevano raccontare la mutazione sociopolitica dell’Italia si rivelano un libro sulla famiglia, un po’ romanzo di formazione un po’ saggio antropologico e linguistico.
Gay Talese, celebratissimo padre del new journalism di Truman Capote e Tom Wolfe, da figlio di genitori catanzaresi (precisamente di Maida) può ben dire che “My two Italies” è un libro «illuminante» per come racconta il Paese, ammirato in quanto culla della civiltà ma anche difficile come dimostra l’esperienza degli emigranti.

Eugenio Furia

e.furia@corrierecal.it

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