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Abbandonati da tutti

«Vogliamo credere nella Calabria». Era di certo questa la frase che echeggiava nelle menti di noi tutti quando ci avventuravamo in quella che potremmo definire “l’Odissea della fondazione Tommaso C…

Pubblicato il: 08/09/2014 – 12:26

«Vogliamo credere nella Calabria». Era di certo questa la frase che echeggiava nelle menti di noi tutti quando ci avventuravamo in quella che potremmo definire “l’Odissea della fondazione Tommaso Campanella”. «Voglio credere nella mia terra» pensava ognuno di noi quando stava valutando, tra le tante proposte ricevute e le diverse alternative lavorative, l’opportunità di prestare servizio in un centro oncologico nascente, che finalmente sembrava rappresentare il primo sogno da contrapporre all’incubo di una regione dimenticata e arida nel profondo pensare e agire. Così ci abbiamo creduto, devoti e appassionati per quella che é una missione nei confronti del prossimo, ci siamo buttati a capo fitto e cuor contento a lavorare nel primo centro oncologico regionale, con l’ardore e l’entusiasmo di volerlo rendere il fiore all’occhiello del nostro territorio. Abbiamo aderito al sogno di un uomo coraggioso, che ha creduto in una terra che era ormai diventata la sua terra di adozione e che nel suo stesso centro oncologico è morto. Combattendo contro la stessa malattia dalla quale ha cercato di tutelare la Calabria. Ci abbiamo creduto, con la convinzione e la caparbietà di chi riceve un’eredità pesante da gestire e lo fa con il massimo senso del dovere e tanta responsabilità nei confronti dell’umanità. Ma come purtroppo accade, i sogni svaniscono all’alba e l’alba per la fondazione Tommaso Campanella é sopraggiunta anzitempo, perché fin dai primi momenti la nostra mission é stata tormentata in ogni maniera. Quello che ci siamo trovati e ci troviamo quotidianamente ad affrontare nessuno lo può capire. Oltre alle mille accuse mosse dal contesto e il mancato appoggio di una cittadinanza indolente, quante offese e difficoltà per difendere quello che dovrebbe essere un diritto sancito dalla costituzione, il diritto alla salute. Ognuno di noi ha solo lavorato instancabilmente per i pazienti, nostro scopo e motore trainante, grazie alla cui soddisfazione e affetto abbiamo sopportato e continuiamo a sopportare offese, abbandoni, sacrifici per tutte le ore lavorative che ci troviamo a coprire non pagati da mesi e mesi e in assenza dei supporti e degli aiuti che chi eroga sanità dovrebbe ricevere. Nessuno di noi avrebbe mai immaginato che quella che doveva essere una fulgida ascesa di un centro di indubbia qualità clinica oltre che scientifica, si sarebbe trasformata nella peggiore e per nulla divertente barzelletta a cui ormai la Calabria é abituata per ogni organismo che si trova a nascere nel suo contesto. Noi dipendenti di un mostro giuridico, noi definiti raccomandati in un panorama immacolato in cui nessuno sa cosa siano le raccomandazioni, noi non pagati e sacrificati eppur sempre sorridenti e volenterosi medici, paramedici, amministrativi e tutti noi adesso, veramente siamo arrivati alla conclusione che non si può credere nella Calabria. Non si può credere in una regione che dimentica se stessa e le sue risorse che potrebbero farne culla turistica dell’Italia. Non si può credere in una città come Catanzaro, che si lascia fagocitare perdendo la sua identità storica e commerciale diventando una piazza con sedie colorate ma senza cittadini che non vi siederanno in assenza di attrattive. Non si può credere nei sogni. E laddove speravamo che i cittadini avrebbero combattuto al nostro fianco, ci accorgiamo che, invece di pretendere un potenziamento e nuove assunzioni, date le liste di attesa e l’assenza di adeguati percorsi diagnostico-terapeutici in Calabria, si accontentano di un sistema in cui per avere una visita si fanno raccomandare, oppure “vanno fuori, vanno al nord” come spesso si sente dire, credendo di essere visitati dal luminare di turno che invece delega l’ultimo dei suoi sottoposti a visitare il terrone. Quanti di questi cittadini abbiamo visto al nostro fianco lo scorso 4 settembre? Quanti ci hanno sostenuto rivendicando un centro oncologico che ormai è stato sepolto? Siamo scesi in piazza a manifestare, mossi come sempre da tanta disperazione e frustrazione. Siamo scesi in piazza per difendere il diritto alla salute e i nostri meritati posti di lavoro meritati a prescindere da chi ci definisce raccomandati e assunti senza concorso, meritati perché noi lavoriamo, meritati più di quanto lo meritino coloro che sono stati assunti in vari enti della Calabria per favori politici, che si trovano a riscaldare poltrone senza avere competenze o qualifiche, laddove noi ci stiamo spaccando la schiena senza stipendio da mesi, per mantenere attivo un ente sanitario di cui a nessuno sembra interessare nulla. Siamo scesi in piazza con al fianco molti che, invece di essere furiosi e agire con noi, hanno fatto una “serena passeggiata di facciata” che sembrava partecipassero alla “Naca”, rimanendo il tempo necessario per essere ripresi dalle telecamere e mollando la nave nel momento in cui c’era bisogno. Siamo stati abbandonati da tutti, eppure a sentire le varie campane tutti sono a nostro favore, perché nessuno vuole prendersi la responsabilità di essere il palese responsabile della nostra chiusura. A cosa è servita la Fondazione Campanella? A essere sfruttata fin quando ai centri di potere è convenuto, per poi arrivare agli sgoccioli e sentirsi dire dagli esimi assessori il 4 Settembre “Noi non siamo i vostri interlocutori. Non sappiamo come risolvere la cosa. In Calabria c’è un vuoto di potere e non sappiamo che fare. È una questione politica…. bla bla bla”. Certo, è una questione politica, come sempre. Allora vi chiediamo, illustri signori, assessori, politici, dirigenti ecc ecc. Vi chiediamo, cosa dovremmo fare noi mentre il vuoto di potere viene colmato? Cosa dovremmo fare mentre voi capite dove avete lasciato la testa che dovrebbe servirvi a ragionare, oltre che a fungere da contrappeso per i vostri fisici tronfi e adornati di completi costosi ed orologi di lusso? Guardateli i vostri orologi di lusso, osservate le lancette che girano e cercate di capire che ogni ora che passa è un’ora in meno per chi combatte la guerra contro il cancro. Ogni ora che passa è un’ora in meno per la salute psico-fisica del personale ormai esasperato che affronta ogni giorno al fianco degli ammalati, lasciando a casa famiglie che non sa più come sfamare. Speravamo che ci avreste aiutato a cambiare le cose, a mantenere il centro oncologico, perché, come si sa, pur credendo di essere immortali, quando la malattia ci tocca ci accorgiamo delle carenze sanitarie. Il nostro sogno era prenderci cura del prossimo in Calabria, ponendo fine ai viaggi della speranza e facendo in modo da far albergare questa speranza nel cuore di ogni individuo che abbia bisogno di noi. Ma non sarà così e ce lo avete detto chiaramente quando avete dichiarato il 4 settembre «se ci saranno emergenze sanitarie trasferiremo i pazienti. Se ci saranno difficoltà chiameremo medici da fuori». Dite di non avere i soldi che ci sono dovuti e nei vostri intenti palesate di volere che i calabresi continuino a fare i viaggi della speranza? E intanto cosa facciamo? Aspettiamo inermi il parere dell’Agenas circa la ricollocazione del personale e l’ultima parola di una struttura commissariale il cui commissario non è stato ancora nominato dal governo? Aspettiamo le continue promesse che ci fate, quando di fatto ci avete già chiusi, perché non abbiamo più alcun tipo di risorsa? La Calabria è già una terra vuota e voi ci parlate di vuoti di potere responsabili di questa attesa? La malattia non può aspettare! Siete i veri responsabili della chiusura di un centro oncologico e se è vero che il nostro è un problema politico, ma a quanto pare la politica non sa o non vuole dare una risposta, per chi dovremmo votare alle prossime elezioni come nostri rappresentanti? Per gente che usa la politica solo per arricchirsi e fare il politico di mestiere? Forse questo, non è mestiere per voi!

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