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La genesi dell'inchiesta “Mozart”

REGGIO CALABRIA I fatti al centro dell’inchiesta “Mozart” risalgono al 2005, quando l’ex parlamentare Amedeo Matacena – difeso dagli avvocati Caccavari e Biondi, che ha nominato quale suo sostituto p…

Pubblicato il: 22/10/2014 – 16:10
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La genesi dell'inchiesta “Mozart”

REGGIO CALABRIA I fatti al centro dell’inchiesta “Mozart” risalgono al 2005, quando l’ex parlamentare Amedeo Matacena – difeso dagli avvocati Caccavari e Biondi, che ha nominato quale suo sostituto processuale il legale Franco Verdirame – avrebbe deciso di “ammorbidire” l’allora presidente del Tar Calabria, Luigi Passanisi, per ottenere sentenze favorevoli al gruppo Matacena, la Ulisse Shipping e la Amedeus spa, entrambe operanti nel settore del trasporto marittimo. Due società – affermano i giudici in sentenza – che l’ex politico di fatto governava, pur essendo formalmente amministrate rispettivamente all’avvocato Salvatore Rijili e a Giuseppe Praticò, quest’ultimo anche coimputato nel procedimento per corruzione. Ed è proprio in qualità di dominus delle società che Matacena avrebbe fatto di tutto pur di risolvere in proprio favore quel contenzioso che la Amedeus fin dal 2000 aveva con l’Ufficio marittimo di Villa San Giovanni e le Ferrovie dello Stato. «Matacena – sottolineano i giudici – era titolare di una posizione economica in capo alla quale sussisteva un forte interesse ad operare nel settore della navigazione marittima nello Stretto di Messina; interesse frustrato, tuttavia, dall’ostacolo frapposto dall’Ufficio Marittimo di Villa San Giovanni, che nel 2000 aveva rigettato l’istanza della società Amadeus s.p.a. finalizzata a ottenere l’accosto nell’invasatura “0” del porto di Villa San Giovanni, utilizzata all’epoca esclusivamente dalle Ferrovie dello Stato e considerata assolutamente necessaria per lo svolgimento dell’attività di traghettamento nello Stretto di Messina, in quanto il porto di Villa San Giovanni costituiva l’unico approdo che consentiva il trasporto di merci e di persone tra la Calabria e la Sicilia in tempi concorrenziali”.

 

LE INTERDITTIVE ANTIMAFIA
Un’autorizzazione contro cui Matacena inizia una lunga battaglia in sede legale, ma che si allontana sempre più dall’orizzonte dell’armatore non solo a causa del no testardo dell’Ufficio marittimo, ma anche perché nel corso degli anni e delle schermaglie in tribunale, a complicare ulteriormente la situazione, nel 2004 arrivano due decreti della Prefettura di Roma che attestano un pericolo di condizionamento della società da parte della criminalità organizzata. Interdittive contro cui l’ex politico fa ricorso di fronte al Tar Calabria, all’epoca retto dal giudice Passanisi. “Può affermarsi – si legge nella sentenza di primo grado – che questo è il momento topico che vede intersecarsi le figure di di Matacena Amedeo e di Passanisi Luigi, in quanto in quell’epoca il Presidente della Sezione di Reggio Calabria del TAR Calabria era quest’ultimo e tutte le successive fasi della vicenda contenziosa relativa alla richiesta di approdo allo scivolo 0 da parte della Amadeus s.p.a. sono state scandite da numerose pronunce dell’Ufficio giudiziario diretto dal citato Passanisi Luigi”. Un personaggio che Matacena avrebbe deciso di avvicinare per ottenere sentenze non solo favorevoli, ma soprattutto in grado di passare indenni anche al vaglio del Consiglio di Stato. Un piano che Matacena non avrebbe portato avanti da solo.

 

GLI “ABILI MEDIATORI” AL SERVIZIO DI MATACENA
A condurre per l’ex deputato la trattativa sarebbe stato Martino Politi, ex dipendente della segreteria di Matacena nei suoi anni da parlamentare, formalmente dipendente della società Amedeus, ma per i giudici soprattutto un «fedelissimo» dell’ex politico, «lo shadow chief executive officer» (amministratore delegato ombra) in seno all’organizzazione dell’ente con il compito di curarne gli affari più importanti e di riferire tutto ciò che accadeva al suo manager effettivo, ossia Matacena. Ed è proprio ascoltando le conversazioni intercorse fra Politi e Matacena tra l’ottobre e il dicembre 2005, che gli investigatori riusciranno a ricostruire l’intera vicenda, così come a identificare i personaggi che hanno permesso all’ex parlamentare di “agganciare” il giudice, come Cesare Giglio. È tramite Giglio che Passanisi avrebbe fatto sapere non solo di essere disponibile a un aggiustamento, ma anche a farlo su misura. «Io – afferma il factotum riferendo le parole di Passanisi apprese da Giglio – dovrei emettere una sentenza per dire che non doveva essere chiesta la certificazione Antimafia per l’accosto però non voglio entrare nel merito… mi ha detto a me quella sera, me l’ha detto…”, dice… “…perché voglio che si vada al Consiglio di Stato … però se voi volete.. lui può entrare nel merito».

 

IL GARANTE ALBERTO SARRA
Una disponibilità totale che forse – suggeriscono i giudici – si spiega anche in ragione del «ruolo determinante di intermediario» che nella vicenda avrebbe giocato l’attuale sottosegretario regionale Alberto Sarra, mai indagato, ma la cui posizione è – per decisione del Tribunale del primo grado – oggi al vaglio della Procura. Il sottosegretario vicino – per ammissione dello stesso giudice – a Passanisi, è in ottimi rapporti sia con Cesare Giglio – nel 2006 sosterrà con convinzione la candidatura del figlio Vincenzo alle provinciali – sia con Politi, che a lui ricorre come «garante» degli accordi presi. La presenza del politico – considerato insieme a Giglio dagli inquirenti «il tramite essenziale per far incontrare le volontà di Matacena Amedeo e di Passanisi Luigi – sarà determinante il 5 ottobre 2005, quando Matacena, concordate con Politi le modalità di pagamento del “disturbo del giudice”, avrebbe ordinato al suo factotum di riferire il tutto a Passanisi tramite Giglio, ma solo alla presenza del Sarra. «Senti, però tu glielo dici a lui, dopodiché questa cosa gliela devi ripetere di fronte ad Alberto, eh? – dice infatti Matacena a Politi, ascoltato dalle cimici – O meglio gliela dici direttamente di fronte ad Alberto».
Tuttavia il giudice Passanisi, secondo l’accusa, dopo aver scoperto di essere intercettato, avrebbe fatto rapidamente marcia indietro mandando all’aria gli accordi presi. Una ritirata precipitosa, che comunque non lo salverà né dal procedimento penale – durante il quale si è sempre proclamato innocente – né dalla condanna a tre anni e sei mesi, nonché all’immediata risoluzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione. Un verdetto che se dovesse divenire definitivo, costringerebbe il giudice ad appendere definitivamente la toga al chiodo.

 

a.c.

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