Processo Matacena, riparte l'11 febbraio
REGGIO CALABRIA Dovrà aspettare il prossimo 12 febbraio, ma è probabile che in quella giornata veda definito l’esito del processo a suo carico la storica segretaria dell’ex ministro Claudio Scajola…

REGGIO CALABRIA Dovrà aspettare il prossimo 12 febbraio, ma è probabile che in quella giornata veda definito l’esito del processo a suo carico la storica segretaria dell’ex ministro Claudio Scajola, Roberta Sacco. Comincerà invece l’11 febbraio il lungo cammino del processo con rito ordinario per l’ex parlamentare di Forza Italia, Amedeo Matacena, tuttora latitante a Dubai, la moglie Chiara Rizzo, lo storico collaboratore Martino Politi, accusati a vario titolo di aver aiutato il politico a sottrarsi a una condanna definitiva per mafia, nonché ad occultare il suo immenso patrimonio. Tutti quanti hanno scelto di rinunciare al rito abbreviato e affrontare il processo con rito ordinario dopo la modifica del capo di imputazione – che oggi non solo ripropone l’aggravante mafiosa, ma dettaglia con maggior precisione manovre e responsabilità nel progetto di salvare Matacena dall’esecuzione di una condanna per mafia – chiesta e ottenuta dal pm Giuseppe Lombardo.
SVOLTA DIFENSIVA DOPO LA MODIFICA DEL CAPO DI IMPUTAZIONE
Una svolta radicale ma necessaria, si lascia scappare uno dei legali, «per poterci difendere a 360 gradi» da un quadro accusatorio che si è andato aggravando nel corso dei mesi. Al centro del procedimento – che in futuro toccherà al tribunale decidere come e in che termini riunire con quello che già vede imputati l’ex ministro Claudio Scajola e la storica segretaria dei coniugi Matacena, Maria Grazia Fiordelisi – non ci sono semplicemente le strategie necessarie per permettere a Matacena di dribblare l’esecuzione della condanna definitiva per mafia, ma soprattutto per occultare il suo immenso patrimonio. Il quadro che emerge dalle nuove informative depositate agli atti del procedimento, sarebbe più pesante. Attorno a Chiara Rizzo e all’ex ministro Claudio Scajola si muoverebbe infatti una variegata, multiforme rete di uomini di potere, che in Italia come all’estero dii muove per un obiettivo molto concreto: salvare Matacena quale «stabile interfaccia della ‘ndrangheta, nel processo di espansione dell’organizzazione criminale, a favore di ambiti decisionali di altissimo livello». Un ruolo che oggi la Procura sarebbe in grado di provare sulla base di riscontri concreti. L’ultima informativa della Dia dimostra infatti come la Cogem – nonostante una quasi banale schermatura, senza dubbio riconducibile ai coniugi Matacena – negli ultimi quattordici anni non solo è diventata grande appaltatrice di appalti pubblici a Reggio Calabria, ma li ha anche equamente spartiti fra i più noti clan reggini.
SCRIVI COGEM, LEGGI ‘NDRANGHETA
La società dei Matacena, avrebbe infatti, secondo gli inquirenti, rapporti stabili e strutturali con la Si.ca., sulla base di risultanze processuali riferibile a soggetti di vertice della cosca Tegano, con la Zumbo colori srl per una quota pari a oltre il 99% di proprietà dell’ex antenna dei servizi Giovanni Zumbo, condannato a sedici anni perché pizzicato a soffiare preziose informazioni ai clan e indicato da più collaboratori come uomo che sarebbe stato al servizio del clan De Stefano, con la Real Cementi srl, società che sarebbe espressione della cosca Libri e per questo confiscata in via definitiva nel 2012, con la Italsavia di Autolitano Saverio e C snc, che inchieste e processi rivelano che sarebbe di proprietà della cosca Latella, con la Edil Primavera srl e la Rossato, entrambe riconducibili alle cosche Libri e Alampi di Reggio Calabria. Tutte società – si spiega nel nuovo capo di imputazione, elaborato sulla base di recentissime informative della Dia – con cui la Cogem ha stipulato contratti di fornitura in relazione ai milionari appalti pubblici collezionati dalla società negli ultimi quattordici anni a Reggio, come il rinnovo del lungomare, la ristrutturazione di piazza Orange, la pista dell’aeroporto, la costruzione della palestra dei Vigili del fuoco di Reggio Calabria o il cimitero di Cardeto. Ma anche altri due appalti – forse i più sostanziosi – a detta dei pm dimostrerebbero i rapporti organici della società dei Matacena con le imprese dei clan. Per la realizzazione del tapis roulant – fiore all’occhiello dell’amministrazione Scopelliti realizzato dall’Ati Giudecca srl di cui la Cogem era capo mandataria – la società ha stipulato uno specifico subcontratto con la Nuova Geosud di Francesco Saraceno, indagato nell’operazione Entourage. Per la costruzione di 120 alloggi popolari nel quartiere di San Brunello invece, la Cogem non si sarebbe limitata a distribuire subappalti e forniture, ma avrebbe costituito un’Ati – stando alle indagini – con un’impresa direttamente riconducibile al clan Tegano. Quelle casette a schiera che oggi macchiano di giallo la collina su cui si arrampica il quartiere della periferia nord di Reggio, sono state realizzate da Matacena insieme alla Sem dei fratelli Giuseppe e Rosario Rechichi, condannati come esponenti di spicco della famiglia degli arcoti, e alla ditta dei fratelli Pietro e Domenico Cozzupoli, in passato indagati per tentata estorsione aggravata e associazione per delinquere di stampo mafioso.
MATACENA, GARANTE DI UN SISTEMA
Rapporti contrattuali che per la Dda non sono coincidenze, né casualità, ma risponderebbero allo schema di spartizione degli appalti su cui le ‘ndrine reggine avrebbero forgiato le nuove regole e i nuovi assetti all’indomani della seconda guerra di ‘ndrangheta. «Tali rapporti contrattuali – si legge infatti nel nuovo capo di imputazione – costituivano lo strumento per affidare parte dei lavori relativi alle opere pubbliche già richiamate a soggetti direttamente o indirettamente inseriti nella, o comunque riferibili alla predetta organizzazione criminale di tipo mafioso, con la conseguente volontaria agevolazione del predetto sistema criminale mediante la canalizzazione a suo favore dei connessi vantaggi patrimoniali di rilevante entità». Ma questo potrebbe essere solo una parte – esemplificativa – di un quadro decisamente più complesso. Le società della galassia Matacena – è emerso dall’indagine – sono coinvolte nei business più diversi, dall’eolico ai prefabbricati, dallo shopping alle energie rinnovabili in Italia e all’estero. Quando l’ex politico armatore viene fermato a Dubai, viene messo in pericolo non un affare, ma un sistema. Per questo – ipotizza la procura – ad attivarsi per tutelarne libertà e operatività è un’intera organizzazione che per il pm Lombardo sarebbe «interessata a mantenere inalterata la piena operatività del Matacena e della galassia imprenditoriale a lui riferibile, costituita dalle molteplici società ed aziende prima indicate ed altre in corso di individuazione, che venivano utilizzate, dietro articolate ed indispensabili operazioni di interposizione fittizia in grado di superare gli sbarramenti costituiti dalle informazioni prefettizie, per schermare la vera natura delle compagini sociali, dei consorzi e delle associazioni temporanee di imprese».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it