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«Multiservizi "cosa" del clan Tegano»

REGGIO CALABRIA «Non sembra alla fine residuare alcun aspetto inesplorato, registrandosi di contro una sequenza diaccadimenti in tutto e per tutto confermativa della prospettazione accusatoria, ed …

Pubblicato il: 29/01/2015 – 3:19
«Multiservizi "cosa" del clan Tegano»

REGGIO CALABRIA «Non sembra alla fine residuare alcun aspetto inesplorato, registrandosi di contro una sequenza di
accadimenti in tutto e per tutto confermativa della prospettazione accusatoria, ed anzi addirittura
più estesa rispetto ai confini dalla stessa delineati ». Sono parole lapidarie quelle con cui il collegio presieduto dal giudice Giuseppe Campagna ha motivato la valanga di condanne che ha seppellito gli imputati del processo con rito ordinario Archi – Astrea, ma con cui ha trasformato in verità processuale, l’ipotesi investigativa alla base del procedimento: fin dalla sua costituzione la società mista Multiservizi è stata cosa del clan Tegano. Un obiettivo raggiunto dagli arcoti grazie ad una serie di complesse operazioni societarie e bancarie, tra loro intimamente collegate, che hanno permesso ai vertici del clan «sostanziali contitolari della ditta Com.edil formalmente intestata ai (soli) fratelli Rechichi» di colonizzare la Multiservizi S.p.A «tramite la presenza di persone di massima fiducia nella compagine societaria del socio privato della stessa (ed inparticolare di una delle tre società detentrici delle relative quote di capitale), sì da conseguire gli enormi profitti pattuiti con l’ente pubblico locale per l’attività di manutenzione ordinaria e straordinaria del relativo patrimonio immobiliare».
SOCIETA’ MISTE, PROGETTO ANTICO
Un dato che per il collegio emerge in maniera cristallina ed inequivocabile tanto dalle risultanze investigative, come dalle dichiarazioni dei collaboratori, fondamentali per inquadrare la progressiva colonizzazione delle società miste in una strategia complessiva dei clan, che proprio sulla spartizione delle esternalizzazioni dei servizi hanno fondato i nuovi assetti scaturiti dalla seconda guerra di ‘ndrangheta. Circostanze emerse in diversi procedimenti e confermate da più di una sentenza, ma sostanzialmente ignorate dai giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria, che nel definire in secondo grado il procedimento con rito abbreviato hanno ribaltato la precedente decisione del gup, addossando solo all’ex direttore operativo di Multiservizi ed ex patron della Comedil, Pino Rechichi – e non alla cosca Tegano – la paternità delle operazioni di intestazione fittizia di beni. «Sarebbe stato cioè lo stesso Rechichi secondo la prospettazione avallata dalla Corte, in quanto affiliato alla predetta consorteria ‘ndranghetistica, a temere la possibile aggressione del suo patrimonio da parte dello Stato, attivandosi – spiega il collegio – per la dismissione dei suoi cespiti più rilevanti in favore di terzi mediante una complessa serie di intestazioni fittizie tra loro collegate».
DEMOLITA LA SENTENZA DELL’APPELLO ABBREVIATO
Interpretazione che le difese hanno tentato di sfruttare per portare acqua al mulino dell’innocenza dei propri assistiti, ma demolite dal collegio che non in sentenza non esita ad sottolineare che le cointeressenze fra i Rechichi, Carmelo Barbaro e la cosca Tegano sono così evidenti «da non lasciare residuare alcun dubbio circa la materiale impossibilità di un’autonoma gestione da parte del primo di una importante realtà imprenditoriale, peraltro da sempre operante in un ben delimitato contesto territoriale, considerato dai Tegano e dai de Stefano alla stregua di una naturale estensione della loro proprietà privata». Un dato che per il collegio emerge «in ognuno dei passaggi attraverso cui l’ambizioso progetto dei Rechichi è giunto a realizzazione, rivelandosi poi di portata quasi tangibile ove si soffermi l’attenzione sugli specifici profili della ‘componente soggettiva’ dei personaggi coinvolti nella cessione delle quote societarie (tutti in misura più o meno intensa riconducibili ad ambienti comunque vicini alle famiglie De Stefano e Tegano) e, in misura ancora maggiore, dell’ultimo segmento dell’operazione posta in essere (rimasto non a caso sottoesplorato dalle difese), per mezzo di cui si realizzavano le condizioni per l’ingresso della famiglia Rechichi e, quindi, delle cosche di Archi, dentro l’eldorado della Multiservizi».
UN PROGETTO DEL CLAN TEGANO
Ed è per questo che con dovizia di particolari, riportando intere deposizioni, intercettazioni, citando dati, contratti e operazioni finanziarie, che a sostegno della propria tesi il collegio spiega – dati alla mano – come l’evoluzione del labirinto societario che ha generato la Com.Edil Srl, la Si.Ca srl e la Rec.im Srl sia stata scadenzata sulla base dei possibili scivoloni giudiziari di quelli che nel tempo si sono avvicendati alla guida delle società, ma che non erano che meri prestanome dei vertici della cosca Tegano. Un ruolo necessario per schermare società che nel tempo hanno cambiato nomi e proprietari, mantenendo però la medesima identità economica e gestionale, nel quale si sono avvicendati non solo personaggi da sempre considerati gravitanti o affiliati al clan Tegano, come i fratelli Lavilla o i Rechichi, ma anche professionisti come Giovanni Zumbo, chiamati a costruire il labirinto contabile utile per lungo tempo a depistare gli investigatori, come a mettere a disposizione del clan anche insospettabili prestanome, come la moglie Francesca Toscano e la sorella Maria Porzia Zumbo. «La singolare fisionomia della componente soggettiva della vicenda scrutinata – mettono nero su bianco i giudici – conforta significativamente l’ipotesi delineata dall’accusa, non spiegandosi altrimenti le ragioni dell’esaurimento delle cessioni societarie attenzionate entro le maglie di una così ristretta cerchia di individui. Ed anzi, proprio la scelta di Zumbo Giovanni (e delle persone al medesimo riconducibili) integra un elemento di elevatissima valenza indiziaria, stante l’accertata vicinanza di quest’ultimo agli ambienti della criminalità organizzata e la sua già vagliata disponibilità – da parte della cosca – a rendersi formale intestatario di beni alla stessa riconducibile».
L’INGRESSO OCCULTO IN MULTISERVIZI
Elementi che per i giudici trovano riscontro nelle dichiarazioni dei tanti pentiti che con le proprie rivelazioni hanno contribuito all’indagine, confermando «la riconducibilità della ‘ditta’ dei fratelli Rechichi alla cosca Tegano, ed in particolare a Barbaro Carmelo ed a Tegano Giovanni, nonché l’inerenza a detta cosca della Multiservizi», per questo risultano «certamente idonei a completare il mosaico elaborato dall’accusa, incastrandosi tra loro in modo assolutamente armonioso e collimante». Proprio le manovre dei Rechichi per inserirsi nella compagine di Multiservizi per i giudici testimoniano in maniera cristallina come la cabina si regia fosse saldamente governata dal clan Tegano. All’epoca della nascita di Multiservizi, ad aggiudicarsi la gara della costituenda società mista era stata infatti un’Ati, che vedeva la costola di Fiat, Ingest Facility come capo mandataria, insieme ad altre società. Un assetto che non sarebbe durato a lungo. Nel giro di poco infatti, la capogruppo Ingest Facility avrebbe ceduto le proprie quote di partecipazione alle due socie, uscendo definitivamente dall’Ati, mentre i Rechichi, sarebbero rientrati in possesso della titolarità formale della loro quota di partecipazione alla G.S.T., acquistando da Tibi 15 e dalla società dei fratelli Cozzupoli il 33% di tale organismo societario, procurandosi così, indefinitiva, l’ingresso in uno degli appalti pubblici più remunerativi mai affidati dal Comune di Reggio Calabria. «Da segnalare tra l’altro – si legge in sentenza – che i Rechichi (Giuseppe e Rosario) si insinuavano in
detto affare non già esponendosi in prima persona, bensì per tramite di un soggetto societario
all’apparenza ‘vergine’, in quanto immune da qualsiasi vicissitudine economica, giudiziaria, o di
altra natura che potesse ostacolarne la legittima presenza nella società partecipata».
SOLDI PER GLI ARCOTI
Tutti elementi che per i giudici non fanno che confermare come «fine ultimo delle operazioni cadu
te sotto la lente dell’Ufficio di Procura fosse quello di mantenere celata la (con)titolarità sostanziale della Com.edil in capo ai due più volte citati esponenti di vertice della ‘ndrangheta reggina, nonché ancora quello di procurare ai Rechichi (e quindi anche alla cosca) una rilevantissima entrata di denaro liquido ed ancora quello, meno esplorato e non formalizzato nelle imputazioni, di costituire un nuovo soggetto societario, pur sempre sostanzialmente riconducibile allo stesso Pino Rechichi ed a suoi titolati referenti mafiosi anche se formalmente intestato ai figli, tramite cui procurarsi una rilevante quota di partecipazione al capitale sociale del socio privato (GST) della Multiservizi, che in forza della convenzione stipulata con quest’ultima, come si ricorderà, avrebbe incassato più di 10 milioni di euro annui». Non a caso, ricordano i giudici in sentenza, nel marzo 2007 Multiservizi affitterà dalla Sica s.r.l. ― costituita alla fine del 2002 dai fratelli Lavilla su precisa disposizione dei fratelli Pino e Rosario Rechichi ed acquistata nel 2008 dalla Rec.im. s.r.l. dai figli di Pino ― l’immobile di Via Vecchia Provinciale ad Archi destinato a diventare sede operativa della società – ma che risultava anche essere sede della Comedil – per 54mila euro l’anno. Sempre alla Sica, la Multiservizi affiderà il subappalto per la gestione degli automezzi e delle attrezzature.
INCARICHI SU ORDINAZIONE E SUBAPPALTI SU MISURA
Per i giudici, ne deriva che «il canale sfruttato dalla predetta cosca per infiltrarsi nell’eldorado delle società partecipate fosse proprio quello di Rechichi, che non a caso, oltre ad avere una quota di partecipazione per tramite dei figli nel socio privato della Multiservizi, riusciva ad ottenere altresì l’incarico di direttore operativo della stessa, potendone così certamente indirizzare incisivamente le scelte gestionali, come del resto dimostrato dalla stipula del su menzionato contratto concluso (in palese conflitto di interessi) con la Sica (e cioè con sé stesso) per l’affidamento della gestione degli automezzi e delle attrezzature utilizzate dalla Multiservizi per la sua ordinaria attività». Due dei più rilevanti contratti gestionali della neo costituita società mista Multiservizi S.p.A. – sottolineano i giudici – «venivano conclusi, guarda caso, con una semisconosciuta società, la Sica, avente peraltro un oggetto sociale del tutto difforme rispetto a quelle attività, che risultava a sua volta posseduta da una ancora più sconosciuta società ‘immobiliare’ formalmente di proprietà dei figli del direttore operativo della medesima Multiservizi ma sostanzialmente appartenente proprio a quest’ultimo». Contratti che obbligavano la principale società mista del Comune a «riversare annualmente una rilevantissima somma di denaro (a titolo di canone locativo e di compenso per le prestazioni manutentive) per attività compiute nel cuore del quartiere a più elevata densità mafiosa della città (e probabilmente della provincia e della stessa regione) a favore di un soggetto già da tempo risalente indicato dai collaboratori di giustizia come affiliato alla cosca Tegano».

RECHICHI UOMO DEL CLAN
E se per nulla casuali sono stati tali contratti, di certo per i giudici non sarebbe stata ispirata a principi di meritocrazia la nomina di Pino Rechichi come direttore operativo della Multiservizi. Nella vicenda, commentano quasi con amarezza i giudici «ogni singolo dettaglio, anche il più insignificante, rimanda con intuitiva evidenza (e sensazione di amara rassegnazione) all’ordinario cliché dell’asfissiante presenza della criminalità organizzata, nella sua più prepotente e pervasiva declinazione, la quale per tramite del ‘viso pulito’ di turno riusciva anche questa volta ad insinuarsi nell’ennesimo lucrosissimo affare pubblico, non soltanto accaparrandosi una ‘fetta’ del capitale azionario del socio privato della Multiservizi ma altresì assicurandosi – tramite il posizionamento al suo interno con ruolo verticistico di un proprio esponente – l’affidamento dei contratti collaterali alle attività istituzionali svolte dalla stessa». Una ricostruzione che per il collegio trova «plastica conferma nelle indicazioni rese dai collaboratori di giustizia, ed in particolare da Moio, circa la possibilità per il Rechichi di decidere sulle assunzioni dei dipendenti nella Multiservizi, potendo egli, in virtù evidentemente dell’incarico gestionale ricoperto nella società, assumere nuovi impiegati ed operai, compiacendo così i desideri del ‘compare’ di turno, con buona pace dei criteri concorsuali – o quanto meno paraconcorsuali – che dovrebbero essere rispettati anche nelle società a partecipazione maggioritaria pubblica».
UNIRE I PUNTINI
Ma dai collaboratori, sono arrivati anche altri preziosi elementi necessari per inquadrare sia storicamente, sia nell’attualità il ruolo dei Rechichi e dei Lavilla nel contesto criminale degli arcoti, come i rapporti con noti imprenditori reggini come Michelangelo Tibaldi, nonché il progressivo avvicinamento alla galassia destefaniana di personaggi chiave come Giovanni Zumbo. Tessere di un mosaico composto nel corso di una lunghissima istruttoria, al termine della quale i giudici non hanno potuto fare altro che affermare «se si uniscono i puntini rappresentati dai tanti elementi indiziari emersi nell’istruttoria di questa complessissima vicenda processuale si potrà agevolmente cogliere un’immagine non più sfocata, ma anzi nitidamente rappresentativa del preciso disegno perseguito dalle cosche Tegano e De Stefano di procurarsi mediante un loro fidatissimo affiliato l’accesso al lucrativo affare della Multiservizi».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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