La mossa "disperata" di Matacena
C’è preoccupazione alla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e ai vertici della Procura nazionale antimafia per le improvvise esternazioni di Amedeo Matacena. La stessa preoccupazione…

C’è preoccupazione alla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e ai vertici della Procura nazionale antimafia per le improvvise esternazioni di Amedeo Matacena. La stessa preoccupazione trapela dalle fila del pool di investigatori della Dia che lavorano alle indagini (che hanno portato in carcere fiancheggiatori istituzionali importanti dell’ex parlamentare di Forza Italia e messo nei guai l’ex ministro degli Interni Claudio Scajola) su un canale che negli anni ha consentito di riciclare diverse decine di milioni di euro.
Sono preoccupati, gli inquirenti, non per i contenuti (in Procura li definiscono «deliranti») delle dichiarazioni di Matacena all’Ansa, circa suoi timori per la propria incolumità e conseguenti minacce di rivelare delle tangenti di Telekom-Serbia, bensì per le ragioni che lo avrebbero spinto a una mossa che non esitano a definire «disperata».
Temono, gli investigatori, di trovarsi a fronteggiare un’ennesima fuga di notizie. Una fuga di notizie arrivata in qualche modo fino a Dubai allarmando Matacena e personaggi a lui vicinissimi: l’inchiesta della Dda di Reggio Calabria, condotta dai pubblici ministeri Lombardo e Sirleo con il coordinamento del procuratore capo Cafiero de Raho e la collaborazione della Procura nazionale antimafia, è vicinissima a una nuova svolta con annessi nuovi arresti “eccellenti”.
Amedeo Matacena dice che se gli capiterà qualcosa racconterà tutto: «Furono portate – racconta – delle tangenti con un aereo privato dalla Serbia in Svizzera. Un broker che conosco mise i soldi su tre conti correnti di tre importanti esponenti della sinistra italiana e mi consegnò quei numeri, che non sono l’unico a sapere. Se dovesse accadere qualcosa alla mia incolumità o a quella dei miei familiari, verrebbero subito resi noti». E giacché si trova, l’ex deputato costretto alla latitanza per sfuggire alla condanna definitiva per associazione mafiosa, si toglie qualche sassolino dalla scarpa anche nei confronti dei suoi ex sodali: «Forza Italia mi ha usato come uno straccio vecchio, sono stato sacrificato dal partito per dare in pasto alla stampa la notizia che Forza Italia faceva pulizia nelle liste».
Grande nervosismo, insomma, dietro la decisione di riaprire una vicenda già decantata dodici anni prima. Era il 2003 quando il faccendiere Igor Marini esplicitava pesanti accuse di corruzione ai danni di Francesco Rutelli, Donatella e Lamberto Dini, Walter Veltroni, Piero Fassino, Clemente Mastella e Romano Prodi, all’epoca presidente del Consiglio. Avrebbero intascato bustarelle connesse con l’affare Telekom-Serbia. Sette anni più tardi, il tutto si sarebbe rivelato un castello di calunnie e Igor Marini, il sedicente “consulente finanziario” che nel frattempo era già finito in carcere per scontare 5 anni per la calunnia ai danni di un magistrato romano, veniva condannato a dieci anni di reclusione, più 15mila euro di multa e 100mila di spese legali e al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva, a titolo di risarcimento dei danni, pari a quasi un milione di euro: centomila euro a testa in favore di Rutelli, Donatella e Lamberto Dini, Veltroni, Fassino, Mastella e 150mila euro per Prodi.
Per i pm Maria Francesca Loy e Francesco De Falco, che chiesero 12 anni per Marini, le «calunnie (verbali e documentali) furono devastanti e di una gravità inaudita perché prive di qualsiasi fondamento. Telekom Serbia – aggiunsero i magistrati – può considerarsi la madre di tutti i tentativi di denigrazione dell’avversario politico come purtroppo siamo abituati da tempo».
In sede di requisitoria, i pm non mancarono di bacchettare la commissione parlamentare d’inchiesta, presieduta da Enzo Tarantino che seguì la vicenda: «Di quello scandalo costruito a tavolino – dissero i pm – fu fatto un grande uso politico perché quello che Marini andava sostenendo al pari di alcuni soggetti che trafficavano in titoli falsi da monetizzare è stato cavalcato per motivi mai chiariti dalla commissione parlamentare d’inchiesta».