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Expo e l'ipocrisia sulla sicurezza fra Giardiello e le 'ndrine

La follia omicida di Claudio Giardiello, l’immobiliarista che ha macchiato di sangue il Tribunale di Milano e ridicolizzato norme e misure di sicurezza in uno dei luoghi, almeno formalmente, più co…

Pubblicato il: 13/04/2015 – 16:55

La follia omicida di Claudio Giardiello, l’immobiliarista che ha macchiato di sangue il Tribunale di Milano e ridicolizzato norme e misure di sicurezza in uno dei luoghi, almeno formalmente, più controllati d’Italia, ha messo a nudo l’ennesima grana targata Expo. Che sicurezza possiamo garantire in vista della grande kermesse internazionale – ci si chiede da più parti – se un folle qualsiasi può gabbare banalmente i dispositivi di sicurezza di uno degli edifici in teoria più blindati di Milano? Da giorni, esperti di ogni risma si affaticano a comporre la pole position del pericolo imminente, sventolando bandiere diverse che vanno dall’Isis ad Al-qaeda, passando per “gli antagonisti” dell’Esposizione, accomunati senza ritegno né prove all’ormai archiviato terrorismo di casa Italia, seppellito anni orsono, ma a giro – spesso in prossimità di controverse riforme o mobilitazioni sindacali – ritirato fuori, con tanto di sigla nuova di pacca. La politica getta acqua sul fuoco – non fosse mai che qualcuno si faccia spaventare e sottragga biglietti, dunque danari, a un evento che secondo alcuni esperti rischia di lasciare nei bilanci pubblici un enorme cratere – e ripete come un mantra “siamo in un contesto difficile, ma tutto è sotto controllo”. Di certo, ci si è accorti – sembra – che un problema sicurezza c’è. Ma è una presa di coscienza tardiva. E ipocrita.
Da un certo punto di vista, potrebbe essere considerato un passo avanti rispetto i tempi non troppo lontani – si parla di non più di un anno e mezzo fa – in cui l’unico allarme sicurezza ufficialmente riconosciuto era quello relativo al possibile incremento di furti e rapine. Ma la gestione della “sicurezza” legata ad Expo era, è e rimane assolutamente ancora insufficiente, a meno che l’allarme non si limiti alla possibilità che qualcuno trasformi la kermesse in un più o meno sanguinoso boomerang.
Che Expo sia un vero e proprio colabrodo, il governo lo sa. E da tempo. Glielo ha sbattuto in faccia il procuratore nazionale della Dna Franco Roberti, sintetizzando indagini che fin dal 2008 dimostrano la presenza di ‘ndrangheta nei lavori propedeutici all’esposizione e non solo. Ancor più netto è stato il direttore dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata Università degli Studi di Milano, Nando Dalla Chiesa, che in commissione parlamentare antimafia ha spiegato non solo che i tanto sbandierati controlli di fatto non sono esistiti, ma soprattutto che «vi è stata, per giunta, un’insofferenza delle strutture Expo rispetto ai controlli, con il diniego anche nei riguardi del comitato Pisapia e delle richieste dei settimanali di cantiere. Questo è stato inserito nell’ambito dell’ostruzionismo burocratico, con la difficoltà per gli stessi consiglieri comunali di entrare, lo scoraggiamento delle visite della polizia locale, le domande di sbrigafaccende per le emergenze operative». Lo hanno fatto intendere magistrati, lo hanno scritto più o meno noti giornalisti, lo spiegano da tempo i comitati no Expo. Una lunga serie di segnali d’allarme che da anni cadono nel vuoto. E lì continuano a stare.
Paradossalmente, la possibilità – allo stato remota – di un attentato di matrice terroristica o dell’azione di un folle genera maggiore allarme di un dato concreto, reale, tangibile e di cui tutte le istituzioni sono a conoscenza. “Non è la stessa cosa”, dicono inorriditi alcuni. Perché, la ndrangheta non ammazza? Forse, negli anni più recenti ha provveduto ad eliminare i propri nemici in maniera non spettacolare, spesso si è preoccupata anche di nasconderne i corpi, ma da nessuna parte risulta che si sia trasformata in un’associazione di uomini di buon cuore. La ‘ndrangheta non terrorizza? Bisognerebbe chiederlo ai tanti, quale che sia il ruolo che – anche a Milano – ricoprono, finiti nelle sue grinfie. Ma un potenziale attacco chimico, batteriologico targato Isis? Le ‘ndrine (non l’Isis) da tempo – dicono i magistrati – hanno infettato la terra e il mare, interrando rifiuti di ogni ordine e grado, hanno infettato il ciclo alimentare, introducendo sul larga scala merci adulterate, hanno infettato la struttura stessa dello Stato, finendo spesso per riuscire a condizionarne le condotte. Ed è un fatto non un’ipotesi. Così come è un fatto – e diversi procedimenti lo dicono – che con gli uomini delle ‘ndrine lo stesso Stato, che oggi annuncia linea dura e innalzamento delle misure di sicurezza, ci si è seduto a parlare. E a trattare. Come se quella non fosse una minaccia – concreta – per la sicurezza di tutti. “La storia – dice Eduardo Galeano, impareggiabile scrittore uruguayano oggi scomparso – è un profeta con lo sguardo rivolto all’indietro: colui che è stato e quello contro cui ha combattuto, dicono ciò che sarà”. Per l’Italia, le premesse non sembrano affatto quelle migliori.

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