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Delitto Marino, c'è una nuova pista

PLATÌ «Peppe… era il migliore di tutta la famiglia….è stato lui che l’ha ucciso… ». Il riferimento è a Giuseppe Barbaro detto “U nigru”. Ne parlano due esponenti di rango della ‘ndrangheta ca…

Pubblicato il: 08/06/2015 – 14:46
Delitto Marino, c'è una nuova pista

PLATÌ «Peppe… era il migliore di tutta la famiglia….è stato lui che l’ha ucciso… ». Il riferimento è a Giuseppe Barbaro detto “U nigru”. Ne parlano due esponenti di rango della ‘ndrangheta calabrese trapiantati da tempo a Milano: Michele Grillo e Agostino Catanzariti. I due non sanno che i loro dialoghi vengono registrati per via di una microspia piazzata nella Citroen C2, intestata e in uso a Michele Grillo. L’ “ucciso” è un indimenticato e indimenticabile eroe dell’Arma dei carabinieri, il brigadiere Antonio Marino insignito della Medaglia d’Oro al valore civile alla memoria – conferitagli dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, il 2 giugno 1993 – con la seguente motivazione: «Comandante di stazione impegnato in delicate attività investigative in aree caratterizzate da alta incidenza del fenomeno mafioso, operava con eccezionale perizia, sereno sprezzo del pericolo e incondizionata dedizione, fornendo determinanti contributi alla lotta contro efferate organizzazioni criminali fino al supremo sacrificio della vita, stroncata da vile agguato. Splendido esempio di elette virtù civiche e di altissimo senso del dovere».

Un omicidio rimasto ancora impunito, ma che adesso si spera di poter chiarire in ogni suo aspetto.
Il brigadiere Antonino Marino era nato a San Lorenzo e venne assassinato il 9 settembre 1990. Aveva 33 anni. Lo uccisero sotto gli occhi della moglie e del figlioletto durante la festa patronale di Bovalino, città dove aveva conosciuto la sua sposa. Aveva da poco lasciato il comando della Stazione Carabinieri di Platì che aveva retto dal 1° ottobre 1983 al 4 febbraio 1988. Venne trasferito proprio in seguito al matrimonio, in rispetto del Regolamento Generale dell’Arma, ai tempi vigente, che prevedeva appunto che non si prestasse servizio nel territorio d’origine della propria moglie. Restava uno dei migliori uomini della Benemerita impegnati sul fronte calabrese, per questo gli toccò un incarico ancora più difficile, il comando della Stazione di San Ferdinando di Rosarno.
Di colpi alle cosche di Platì ne aveva inferti tanti. Troppi. Aveva preso latitanti di rango, come Cicciu “U Castanu”, identificato i responsabili di vari sequestri, aperto i riflettori sui silos del cemento che cominciavano a passare dalle mani della vecchia imprenditoria a quelle dei boss e dei loro picciotti. Pensava che il trasferimento avesse estinto il contenzioso con i sanguinari capi dei clan platiesi, ma non era così. Approfittarono di una serata passata dai parenti della moglie per ucciderlo con viltà: insieme alla moglie e al figlioletto Francesco (di appena un anno), s’era recato in paese per la Festa dell’Immacolata.
Intorno alla mezzanotte, la folla s’era spostata verso la periferia per assistere allo spettacolo pirotecnico. Marino, invece, insieme al figlioletto, alla moglie e ad alcuni conoscenti era rimasto lì, nella piazza del paese, seduto all’esterno del locale pubblico gestito dai suoceri. Erano anche presenti alcuni avventori quando, d’improvviso, facendosi largo tra costoro si materializzò il suo assassino: gli sparò contro dieci colpi di una calibro 9 parabellum. La sua agonia durò dodici ore: Morì in ospedale a Locri alle 13,45 del 9 settembre 1990. Il sicario non ebbe riguardo neanche per i suoi congiunti incolpevoli: rimanevano feriti anche la moglie e il figlio del sottufficiale.
Quindici anni dopo, intervenne la collaborazione di Antonino Cuzzola a dipanare le ombre, riaprendo le indagini ma non consentendo di arrivare a una condanna dei colpevoli. Oggi i dialoghi “rubati” tra Agostino Catanzariti e Michele Grillo aiutano a inquadrare ancora meglio quel delitto e a non accettare che su quel delitto cada l’oblio alla vigilia dei 25 anni dalla sua consumazione.
Catanzariti racconta che il fatto che «…l’hanno trasferito…» non attenuava la pericolosità di Marino e neppure l’odio e il rancore nei suoi confronti: «…il movente: perché dice che, nel paese, che perseguitava la famiglia Barbaro…e menava sopra i “Castanu” e sopra di lui e di suo padre… ». Un primo tentativo di assicurare alla giustizia gli assassini del brigadiere Marinò, come detto, si concretizzo con le confessioni di Antonino Cuzzola, che riferiva come egli, unitamente al boss Domenico Paviglianiti, nell’estate del 1990 si recò a Platì «ove da Papalia Antonio e tale Barbaro [“Peppe ‘u Nigru”], titolare dei silos di materiale inerte sito all’ingresso del paese di Platì, ricevette l’incarico di uccidere il brigadiere dei carabinieri Marino Antonino». La richiesta di eseguire l’omicidio era stata avanzata in Platì, in due diversi momenti. Il primo, avvenne a casa di Antonio Papalia, mentre il secondo, nell’abitazione del Barbaro, ove si erano recati per pranzare. Si legge nel verbale reso da Cuzzola: «In quest’ultima circostanza, mentre il Paviglianiti ed il Papalia erano intenti a definire le modalità operative per eseguire l’uccisione del Marino, il proprietario dell’abitazione era intento a conversare con i sindaci di Bovalino e di Bianco, affinché entrambi affidassero al Barbaro i lavori per la realizzazione di opere pubbliche (muri di sostegno e fognature) in programma da parte delle rispettive amministrazioni comunali. La richiesta dell’omicidio era stata affidata al Paviglianiti poiché il Brigadiere Marino era originario del Comune di San Lorenzo».
Il collaboratore riferiva anche che «in passato la stessa richiesta era stata avanzata a Passaniti Vincenzo, all’epoca considerato capo del “locale” di San Lorenzo, il quale – prima di essere ucciso proprio per opera del Paviglianiti – aveva fornito appoggio logistico per compiere l’omicidio del militare, ma il delitto non si verificò per cause fortuite. I motivi per i quali i vertici della cosca di Platì (indicati in Ciccio Barbaro inteso U castanu, Papalia Antonio e Barbaro titolare del silos di materiale inerte), avevano deciso l’uccisione del Marino erano da ricercare, secondo le conoscenze del Cuzzola, nell’attività di servizio svolta dal militare contro le predette organizzazioni mafiose. In particolare, il Marino durante il comando della Stazione di Platì: era stato attivamente impegnato nella cattura del figlio di Ciccio Barbaro inteso “u castanu”, che – all’epoca – era latitante; aveva ripetutamente sottoposto a controllo l’attività svolta all’interno del silos di inerti;
aveva predisposto ripetuti servizi tesi al contrasto delle attività illecite condotte dalle predette organizzazioni».
Secondo Cuzzola, Domenico Paviglianiti evitò di assumere l’incarico in San Lorenzo temendo ripercussioni giudiziarie nei loro confronti. Giustificò il non ottemperare alla richiesta, con il fatto che la vittima, sebbene fosse di San Lorenzo, non era solita frequentare il paese natio. Aggiunge Cuzzola: «A seguito di tale circostanza, le cosche di Platì uccidevano il Brig. Marino in Bovalino Superiore, durante la festa patronale, nel loro territorio. Aggiunge che durante un incontro con il Papalia, avvenuto a Buccinasco (Mi) in epoca successiva all’omicidio, lo stesso interlocutore gli riferì – incidentalmente – che gli esecutori materiali dell’omicidio erano stati i suoi nipoti».
Come detto, però, il processo seguito alle dichiarazioni del Cuzzola si concluse con un proscioglimento degli imputati. Mancavano riscontri a quanto dichiarato dal pentito, riscontri che oggi si spera di poter raccogliere proprio grazie a quanto narrato da Agostino Catanzariti a Michele Grillo.

pa. po.

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