L'amore per questa terra nel volume di Filardo
REGGIO CALABRIA Calabrese d’origine, ma torinese d’adozione Vincenzo Filardo, classe 1950, autore già di saggi e di ricerche nel campo della pianificazione dei trasporti, si trova a vestire nuov…

REGGIO CALABRIA Calabrese d’origine, ma torinese d’adozione Vincenzo Filardo, classe 1950, autore già di saggi e di ricerche nel campo della pianificazione dei trasporti, si trova a vestire nuovamente i panni di scrittore col suo ultimo libro “L’oltre che portiamo dentro”, edito da “Città del Sole”, presentato ieri, 21 luglio presso il Chiostro di San Giorgio di Reggio Calabria. L’evento, curato dall’associazione culturale “Anassilaos” della città in riva allo Stretto, rientra nell’ambito di una settimana dedicata alla poesia che, da giovedì 23 e fino a domenica 26 luglio, vedrà gli spazi adiacenti la Chiesa di San Giorgio sede della “Festa della Poesia 2015” giunta alla sua 5° edizione.
A introdurre la serata Pina De Felice, responsabile poesia associazione culturale “Anassilaos”; Carmelina Sicari, presidente dell’associazione culturale “Nuovo Umanesimo”, e Franco Arcidiaco, casa editrice “Città del Sole”. L’attrice Cristina Filardo, si è esibita nella lettura di brani tratti dal testo (Umanità – Chi sei – Mare a Novembre – Stazione di Sapri – Ho chiesto- Libertà è).
“L’oltre che portiamo dentro” è un libro che si sviluppa in un incontro di genere letterari che, partendo dalla poesia in alternanza con la prosa, affronta la vita dello scrittore a partire dagli anni ’80 fin quasi ai nostri giorni. «Io ho sempre pensato che la forza di un uomo stesse nel riconoscere il ragazzino che tiene dentro – spiega l’autore -. Quando si perde di vista questa dimensione infantile della semplicità, si perde di vista la propria vita. Io ho fatto un percorso di vita socialmente impegnativo e lo sforzo continuo che ho cercato di fare è stato quello di non perdere di vista questa dimensione delle mie radici e cercare anche di raccontarla. Spesso, quando viaggio, mi capita di prendere appunti del mio vivere e scrivo d’impeto ciò che più mi colpisce ». “Stazione di Sapri” è nata appunto così: da una fermata nell’omonima stazione durante viaggio Roma – Reggio Calabria di qualche anno fa. Ma anche “Torino, fine anni ’70”, “Piazza Castello”, “Lucio Dalla, un poeta dello spirito del nostro tempo”. Nel giorno della morte del cantautore bolognese, lo scrittore si trovò casualmente nel piazzale di San Petronio durante lo svolgimento dei funerali del musicista. La nascita di “San Martino in Calabria”, porta con sé i luoghi di un tempo. «Capitai in una bottega di vino, il giorno di San Martino – racconta Filardo – . Io ero uscito dal lavoro e andai a mangiare questa specialità catanzarese chiamata “morseddu”. Mi ritrovai in questa specie di “putia” di Catanzaro e lì uscirono questi versi. Mi ricordo che scrissi questa poesia sulla carta che si usava in queste piccole botteghe per apparecchiare la tavola al posto della classica tovaglia. Io la scrissi lì, poi la strappai e la misi in tasca. Quasi tutte le poesie che ho scritto sono nate così». Sorte diversa, ma non meno autentica tocca al racconto “Il viaggio di Pasolini, capire i calabresi per capire la Calabria”, eredità orale contadina del viaggio del poeta in Calabria alla ricerca di attori per il film “Il Vangelo secondo Matteo”.
«Queste nascite io le porto sempre con me», commenta lo scrittore. E continua «Dentro il libro c’è una grande attenzione per la dimensione politica e sociale. In “Calabria nella tempesta”, ci sono diversi flash sulla realtà di questo momento, di “questa terra di nessuno quella abitata da nani e da puttani”. Questa poesia ha un forte significato. Si parla di ‘ndrangheta, ci sono riferimenti alla Certosa di Serra San Bruno, c’è il riferimento a quei nuclei di “Resistenza attivi”, di chi combatte qui nelle nostre zone».
Rapporti con la propria terra, vite nei campi, relazioni con i genitori, timore reverenziale nei confronti del padre, amorevole complicità nel prediletto rapporto con la madre, definita dall’autore «anima della casa» e ripercorso nel racconto “Desideri” (“In una famiglia c’è il potere formale, che è quello del padre, e c’è un potere reale, che è quello della madre”). Ma è in “Trigesimo di una partenza” – poesia scritta per la mamma morente -, che si assiste al toccante lascito di una donna al proprio figlio al quale, come l’ultimo regalo, riconsegna la propria storia, perché diventi immortale nei suoi versi (“Ed in quei giorni tu mi parlasti di morte come per raccontarmi ancora una storia di vita”).
Ci sono profumi di Mediterraneo e di selve serresi, in questo libro. Viaggi e scoperte oltre i confini di ciò che è familiare. “L’oltre che portiamo dentro” rappresenta i ricordi di chi custodisce, nei negli odori della propria terra, il dispiegarsi di tutta una vita.
Miriam Guinea
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