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Il Sud affonda perché non ci sono strategie

Il rapporto Svimez sulla situazione economica del Mezzogiorno non lascia eccessivi spazi a forzature interpretative, a letture superficiali e a spericolati occultamenti della situazione. I dati sono…

Pubblicato il: 02/08/2015 – 8:47
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Il rapporto Svimez sulla situazione economica del Mezzogiorno non lascia eccessivi spazi a forzature interpretative, a letture superficiali e a spericolati occultamenti della situazione. I dati sono gravi e ripropongono un quadro su cui Svimez ritorna periodicamente. Sarebbe errato se non delittuoso pensare che i rilievi riguardano esclusivamente una parte del territorio nazionale. Quando si parla di aumento della disoccupazione, di una crescita del Pil del sud modesto, di una crisi demografica senza precedenti, il tema centrale è la crisi del Paese. Quando un’area come quella meridionale è travolta da mancati obiettivi di sviluppo, la sofferenza riguarda tutti.

Sappiamo che certi studi sono assunti da quanti teorizzano da tempo che il Mezzogiorno è perso e che bisogna sganciare dalla locomotiva un convoglio che frena la corsa. Certo tutto questo è il fallimento delle politiche e lo smottamento culturale di una unità nazionale sostanzialmente mai avvenuta perché mai realmente voluta dal complesso intreccio di forze economiche finanziarie e di centri decisionali influenzati dall’area centro-nord dell’Europa. E le riforme del governo come quella del lavoro, della scuola rivelano debolezze e inconcludenze. C’è una travolgente corsa al riformismo e al cambiamento senza lavorare sulle proiezioni e sulle simulazioni delle ricadute dei provvedimenti varati. Ci si appaga degli elenchi delle riforme. Se poi il “cambiamento” non risolve ma aggrava i problemi è un fatto marginale. È importante apparire dinamici e volitivi. Ma come ci può essere sviluppo se le coordinate delle infrastrutture e dei trasporti che avevano alimentato le scelte politiche non molto lontane nel tempo non esistono più? Non c’è una politica industriale. Le grandi industrie sono vendute all’estero e la magistratura si sostituisce al governo nelle decisioni industriali e ambientali.

Il Paese è più debole e senza le potenziali risorse del Sud, è destinato ad essere una “regione “di una area forte del centro e nord dell’Europa. E l’unità del Paese, il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo? Stereotipi del passato! E la nostra Italia convive con le debolezze della non politica, di un regionalismo che arranca senza visioni e progetti, con una classe dirigente e amministrativa debole perché prodotta dalla stagione del leaderismo che non ha garantito formazione, esperienze e sacrifici che solo i partiti veri (e noi i club dei tifosi come sono oggi) hanno assicurato. Allora è tempo di ripensare.

Ma oggi non ci sono molte disponibilità a pensare. E allora bisogna creare uno scossone forte per raddrizzare un Paese piegato dalla sovrabbondanza di artifici in attesa di un nuovo che aveva solo i tratti ed è già passato. Appaiono sempre più chiari gli orizzonti per il nostro agire. Bisogna aver pazienza e resistere. E noi abbiamo pazienza e tanta resistenza!

*Segretario nazionale Cdu

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