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Il Sud e le "Cliniche dei risvegli"

Passata la buriana ed in attesa del masterplan promesso da Renzi per settembre, non è superfluo soffermarsi su una chiave di lettura, non inedita ma erroneamente trascurata, della questione Nord-Su…

Pubblicato il: 16/08/2015 – 10:01
Il Sud e le "Cliniche dei risvegli"

Passata la buriana ed in attesa del masterplan promesso da Renzi per settembre, non è superfluo soffermarsi su una chiave di lettura, non inedita ma erroneamente trascurata, della questione Nord-Sud. Svimez non sbaglia a definire il Sud malato grave. Arpionato da “sottosviluppo permanente”, economia criminale, spopolamento, desertificazione. Soltanto che il Sud non è tutt’uno. Sono tanti i Sud nell’Italia del Sud. Di sicuro questo nostro Sud non è un mostro con nella pancia 20 milioni di «perduta gente, cui non rimane che attaccarsi alla canna del gas». Tra le analisi a iosa, prospettate dopo i dati Svimez, molte sono vecchie come il cucco. Identico il movente. Il Paese si guarda allo specchio, si scopre più disunito, disorientato e indeciso persino se discute di flora e fauna, e che fa? Prende le denunce della Svimez e, per giorni e giorni, s’intrattiene sul suo “male oscuro”. Ne deduce che è colpa del Sud, se il Sud è così Sud. Persino che è il Sud a tarpare le ali all’Italia. Furbizie. Inutile persino demistificarle. Sui media vale il “pezzo” del momento. La riflessione di ieri è dimenticata, il pensiero non sedimenta.

 

«IL SUD NON È UN NORD MANCATO» Per stemperare l’inquietudine suscitata dai rilievi della Svimez, è sufficiente una battuta sintatticamente efficace per tv e social media. Ci giochiamo la posta lì per lì. Vinci o perdi, oggi, domani è un altro giorno. Questa del Sud “in ritardo di sviluppo” è una banalità divenuta pensiero colmante più che dominante. In assenza di una narrazione del Sud corrispondente alla realtà del Paese, i vuoti sono colmati dalla consueta ciccia per cui il Nord corre (ma dove?) e il Sud si cuoce al sole. Viceversa, occorrerebbe decostruire “l’idea che il Sud sia un Nord mancato”.
Partire dalla sua dignità culturale, geografica, storica. Se lo guardi, invece, con la convinzione del “Nord mancato”, t’immergi nella melma di pensieri senza peso specifico. Ti sfugge il Sud che è. Affermare che nel Sud ci sono energie, fermenti innovativi, intelligenze, stili di vita che sopravvivono alla disfatta mercantilista e tecnocratica, che, se assumessero la responsabilità del riscatto, potrebbero aiutare il Paese in affanno e l’Europa rossa per la vergogna dinanzi alla tragedia umanitaria nel Mediterraneo: questo è il punto. Insieme: il problema eluso e la sfida decisiva.
Nel Sud c’è un’umanità intensa, relazioni e valori che faticano a trasformarsi in pensiero forte, “soggetto di pensiero” in grado d’interrompere la lunga sequenza in cui il Sud “è pensato da altri”. Stati d’animo, entusiasmi e vitalità, specie nelle nuove generazioni, che è come se attendessero che la civiltà capitalistica, zeppa di contraddizioni spaventose, nella sua attuale dimensione global e disincarnata, gli passi accanto come il cinese col cadavere.

“LETTERE MERIDIANE”: UN LIBRO DI FRANCESCO BEVILACQUA Due libri offrono un’altra idea di Sud su cui spremersi le meningi. Il primo è di Francesco Bevilacqua: uno «stanziale errante», che stavolta ha sfornato «un libro sorprendente», così lo definisce Marta Petrusewic che firma la prefazione di “Lettere meridiane” (Rubbettino). Un’antologia immensa, che scorre cento libri «per conoscere la Calabria» e passeggia (coinvolgendo il lettore) tra rovine e poesie, tra «il futuro che ha un cuore antico» (Levi) e «luoghi che esigono fedeltà assoluta e se li abbandoni prima o poi si fanno vivi» (Abate). Con sullo sfondo il “pensiero meridiano” che ha radici nell’Uomo in rivolta di Camus e ci soccorre nel tentativo di andare al cuore della questione-Sud: occorre smettere di vedere i mali del Sud come un difetto di modernità. Scrive Franco Cassano: «Non pensare il Sud alla luce della modernità (pensiero esterno) ma il contrario». Perché non solo le patologie del Sud non nascono da un deficit di modernità, «ma sono un sintono di un’infezione che nasce dal centro del sistema». Il Sud non deve sentirsi vittima. Né rassegnarsi. Nessuna indulgenza per il localismo asfittico, autoassolutorio. La responsabilità del momento è eliminare il superfluo, guardare i vizi con rigore e durezza ed iniziare, da qui e senza attendere bacchette magiche: per esempio, cogliendo le opportunità che discendono dalla posizione di cerniera del Sud tra il centro-nord Europa (squassata dal fondamentalismo economico) e il bacino del Mediterraneo.

“IL SUD SPERANZA PER L’ITALIA” Non è tutto. Fin qui, i materiali del presente, forniti da Cassano e dai fautori del “pensiero meridiano”, incluse le decine di autori su cui Bevilacqua s’intrattiene, utili per iniziare un cammino di autonomia culturale e politica del Sud. C’è un altro libro, di qualche anno fa, che aiuta a rompere i luoghi comuni: “Il Sud speranza per l’Italia” (edizioni Paoline) scritto dal vescovo di Noto Antonio Staglianò. Se la vulgata vede il Sud nella morsa di disoccupazione e povertà, «al limite della disperazione esistenziale» per cui necessiterebbero programmi speciali e Piani Marshall, il vescovo, considerando le condizioni critiche del Paese e la crisi economica generale, afferma che «il Sud da parte più irresponsabile del Paese e più sfortunata, può diventare l’angolatura prospettica di una circolarità aperta, tesa tra terra e cielo». Non è esangue, questo Sud. Il teologo, anzi, lo propone come «risorsa umana e civile per l’intero Paese». Resta, sì, “una terra amara” per i pesi che lo schiacciano «ma può costituire una sorta di laboratorio della speranza per l’Italia tutta». Il ragionamento prosegue: «Oltre ogni apparenza, emerge in modo sempre più chiaro che i criteri economicistici con cui si valutano i livelli di sviluppo o di civiltà delle aeree territoriali italiane, risultano fallimentari e disorientanti anche per la stessa economia. Il bagliore della crisi economica non riesce a nascondere il fatto plateale che la crisi è invece umana, etica, culturale e, perciò, politica, e anche profondamente religiosa, se si vuole. La società si de-solidarizza, la solitudine si diffonde tra le persone e assume le forme striscianti delle alienazioni e dello stordimento (specie tra i giovani). Ognuno si chiude nel proprio egoismo, quando per la propria sicurezza non assume modalità violente di autodifesa. C’è chi invoca una nuova cultura dell’accoglienza. Si pensi ai profughi che giungono sulle coste siciliane e calabresi: cosa vuol dire accoglierli? Come stanno interagendo le nazioni in Europa, ma anche le stesse regioni d’Italia? C’è molto da pensare: la questione intercetta interessi economici, ma svela ben altro. Si tratta di bonificare il cuore degli uomini, perché ridiventi umano. In questo la realtà del Sud d’Italia può servire il Paese». Da “l’Indios de par acà” a soluzione dei rebus del nostro tempo? Un po’ troppo per il Sud. Di certo, il paradigma del “ritardo di sviluppo”, di un Sud ancorato alla tradizione e incapace di emulare il Nord, oggetto di uno sviluppo etero-diretto e assistito non funziona. Come non convince l’idea di interpretarlo esclusivamente in rapporto al Nord. Occorrerebbero più idee sul Sud che venissero dal Sud. Bevilacqua, nel suo libro, da naturalista colto e critico verso la cementificazione selvaggia delle coste e l’amnesia dei luoghi, introduce il concetto di “cliniche dei risvegli”. Un po’ di cliniche dei risvegli, forse è quel che ci vorrebbe per sollecitare i meridionali a dotarsi «di un pensiero del Sud che pensi il Sud».

*giornalista

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