Viscomi: «Stop ai fannulloni in Regione»
CATANZARO Mesi di lavoro, di schermaglie con le organizzazioni sindacali. Adesso, ci siamo. La riforma della burocrazia regionale calabrese è pronta a essere varata. Antonio Viscomi, il vicepresident…

CATANZARO Mesi di lavoro, di schermaglie con le organizzazioni sindacali. Adesso, ci siamo. La riforma della burocrazia regionale calabrese è pronta a essere varata. Antonio Viscomi, il vicepresidente della giunta con la delega al Personale, è convinto di essere di fronte a un passaggio importante per la storia del regionalismo.
Il processo di riorganizzazione è giunto alla fase finale: ora i dirigenti dovranno presentare le proprie candidature e poi saranno assegnati i nuovi settori. Ma qual è il senso di tutta la riforma?
«La pubblicazione della manifestazione di interesse per le posizioni dirigenziali porta a compimento un processo riformatore che era stato intravisto da una legge regionale del 2013. Ciò dimostra che questa riforma, intuita da un governo di centrodestra ma portata a compimento da un governo di centrosinistra, è fatta anzitutto e soprattutto per i cittadini, che hanno diritto ad avere servizi efficienti e di sapere che la loro pratica è nelle mani non di una generica e nebulosa burocrazia ma di un dirigente identificato con nome e cognome. Appunto per questo la riorganizzazione della macchina burocratica costituisce obiettivo primario del programma di governo di Mario Oliverio, tenacemente da lui perseguito in questi mesi: non dimentichiamo che la Regione Calabria è una amministrazione complessa con oltre 2000 dipendenti e 130 dirigenti. Inoltre, devo sottolineare che la consistente riduzione delle strutture dirigenziali dipartimentali, che prima erano più di centosessanta e che ora sono poco più di 120, comporta una significativa riduzione della spesa, in linea con i parametri del Mef, e consente di ridurre i casi di accentramento, nelle mani di uno stesso soggetto, del potere di gestione di più settori».
In concreto cosa significa questo?
«Che ogni dirigente sarà titolare di un insieme di procedimenti, pertanto sarà del tutto chiaro ed evidente, anzitutto al cittadino, chi è responsabile se il procedimento si conclude, si conclude bene o non si conclude. Alla fine dei conti sarà possibile, nei fatti, distinguere tra chi sa fare le cose e chi sa solo parlare delle cose da fare. Insomma, è un modo concreto per mettere fine a lassismi amministrativi e gestionali che non fanno bene a nessuno».
Oggi non è già così?
«Non proprio. Oggi i dirigenti sono divisi in dirigenti di settore (pochi) e dirigenti di servizio (tanti). Il dirigente di servizio è, per una vecchia legge regionale, una sorta di collaboratore del dirigente di settore, dal momento che solo quest’ultimo ha capacità e poteri di spesa. Con la riforma ogni dirigente vede riconosciuto il suo ruolo e la sua dignità professionale, eserciterà autonomi poteri organizzativi e gestionali e sarà responsabile dei risultati conseguiti. Anche per questa ragione, la differenza economica tra le due fasce in cui è articolata la dirigenza regionale è pari a poco più di 100 euro al mese».
Quali sono gli ostacoli che ha incontrato in questi mesi?
«Direi che la riforma ha ricevuto più consensi che critiche anche perché è stata resa possibile dall’essenziale consenso sindacale, dall’aspettativa dei tanti dirigenti fino ad oggi impediti nell’esprimere le loro reali capacità, dall’impegno civico di chi ha maturato la consapevolezza che le cose non possono più andare avanti come prima, da chi non vede l’ora di mettersi alla prova e di fare qualche cosa di buono per la Calabria. Ovviamente ci sono state resistenze: quando il potere che prima era nelle mani di 50 persone viene distribuito nelle mani di 130 persone è chiaro che sorgono resistenze, interne ed esterne alla struttura regionale. Quando una persona ha lavorato per molti anni solo su alcuni procedimenti e deve imparare a farne altri è chiaro che sorgono resistenze, spesso provocate dalla paura di non saper fare; quando uno considera il suo posto di lavoro come una sorta di proprietà personale sorgono resistenze al cambiamento. È questo a tacere delle possibili incrostazioni che ogni giorno segnala il responsabile dell’Anticorruzione Cantone. E dunque si trovano tutti i motivi, spesso veramente pretestuosi, per sollevare obiezioni».
Qualcuno lamenta errori nella pesatura e nella fascia di rischio anticorruzione…
«Premesso che i settori di prima fascia sono quasi il doppio dei settori di seconda fascia e che la differenza economica tra l’uno e l’altro è poco più di 100 euro, devo dire che la pesatura è stata effettuata dai singoli dirigenti generali con il coordinamento del dirigente generale del personale e con la validazione successiva di un soggetto terzo. D’altronde solo i dirigenti generali potrebbe definire il reale peso di ogni settore nella dinamica complessiva dell’organizzazione funzionale del proprio dipartimento. Mi limito solo a dire che per fare la pesatura sono stati considerati tutti gli elementi, previsti dalla legge e concordati con i sindacati, che riguardano aspetti tanto organizzativi, quanto gestionali e finanziari, non già uno solo di questi come talvolta erroneamente si pensa. La fascia di rischio è stata invece definita applicando la griglia del piano nazionale anticorruzione con un processo anche questo validato dal responsabile anticorruzione. Per quanto riguarda la fascia di rischio, che è oggetto di rivalutazione annuale, credo sia nell’interesse dei cittadini non fare come gli struzzi: il rischio di corruzione c’è ed è necessario trovare strategie di contrasto adeguate. Collocare un settore in fascia alta di rischio non significa esprimere un giudizio negativo sul dirigente (che peraltro ancora non c’è, perché sarà designato solo all’esito dell’interpello) ma una valutazione oggettiva sulla necessità che in quel settore si adottino particolari cautele per evitare rischi di corruzione. D’altra parte la fascia di rischio non è necessariamente correlata alla pesatura del settore: si tratta di due parametri differenti. Posso ben avere un settore di seconda fascia (cioè, torno a dire, retribuito con 100 euro in meno di quello di prima fascia) ma che ai fini dell’anticorruzione è classificato in fascia di rischio alta: basti pensare che per valutare il rischio corruttivo devono considerarsi ben undici fattori, tra i quali, ad esempio, anche l’impatto reputazionale, cioè l’essere finiti sui giornali, locali, nazionali o internazionali per le attività del settore considerato».
Ora come si procede?
«I dirigenti presentano le loro candidature, per le quali abbiamo richiesto non solo la presentazione del curriculum ma anche la compilazione di una scheda con un sintetico profilo professionale del candidato stesso. Poi saranno assegnati gli incarichi, come previsto dal regolamento. Il passo successivo è intervenire per rafforzare le competenze degli impiegati apicali che diventeranno i primi collaboratori di ciascun dirigente. Tra sei mesi ci rivediamo con le organizzazioni sindacali per monitorare l’andamento del processo riformatore, sulla base di una logica sperimentale che si basa su tre semplici principi: nessuno ha la verità in tasca, una decisione condivisa funziona meglio di una decisione unilaterale, l’interesse dei cittadini deve prevalere su ogni altro interesse».
Questa riforma di cui lei va tanto orgoglioso è coerente con la riforma Madia?
«Per quanto è a mia conoscenza, mi sento di dire che l’attuazione della riforma Madia non è proprio dietro l’angolo. Certo, con la creazione di un albo unico di tutti i dirigenti di tutte le regioni italiane, anche i dirigenti calabresi saranno chiamati a confrontarsi con i loro colleghi come se fossero tutti parte della stessa grande famiglia amministrativa. Ma questo non mi preoccupa: credo che i dirigenti regionali abbiano tutte le qualità per vincere questo confronto. Inoltre, la riforma stabilisce, quando entrerà a regime, che l’incarico dirigenziale duri almeno 4 anni e non 3 come ora. Ma è ovvio che appena entrata in vigore, la riforma Madia trove
rà immediata applicazione, in tutti i suoi aspetti, anche nella Regione Calabria».
Antonio Ricchio
a.ricchio@corrierecal.it