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TSUNAMI RENDE | «Torchiano mio padre ma volevano Principe»

RENDE Adolfo D’Ambrosio è arrabbiato. Non per il carcere: quello lo affronta senza problemi. È fuori dai gangheri perché al Comune di Rende le cose non vanno più come una volta. Una vera e propria …

Pubblicato il: 24/03/2016 – 15:03
TSUNAMI RENDE | «Torchiano mio padre ma volevano Principe»

RENDE Adolfo D’Ambrosio è arrabbiato. Non per il carcere: quello lo affronta senza problemi. È fuori dai gangheri perché al Comune di Rende le cose non vanno più come una volta. Una vera e propria escalation, iniziata nel 2011. Prima è arrivato Vittorio Cavalcanti, quel sindaco che si era messo in testa di «fare il procuratore della Repubblica» e di tagliare i favori che venivano elargiti in precedenza al luogotenente del boss Ettore Lanzino. Poi sono arrivati i guai con i lavori al Palazzetto dello sport: tutto fermo, mentre il “suo” bar, che è a pochi passi dalla struttura, non fa gli affari che dovrebbe. Come se non bastasse, arriva la «proposta di aiuto elettorale, per le comunali di Rende del 2014, avanzata da Sandro Principe» attraverso il cugino di D’Ambrosio, Francesco, impegnato in politica. La misura è colma: questi non solo non rispettano i patti ma pretendono ancora che ci si impegni per portagli dei voti. Non se ne parla proprio. Nel colloquio con il padre Aldo, Adolfo è furibondo. Al genitore chiede di portare un messaggio chiarissimo: «Vi doveva proprio scaricare e denunciare, prima per il Palazzetto… gli dovete mandare questi che l’avete rovinato, è sotto di 70-80mila euro. Cento carte e facciamo quello che volete… In silenzio sempre noi, come abbiamo sempre fatto… così si fanno le cose». In ballo ci sarebbero 300 voti che «noi solo come famiglia li portiamo», ma i rapporti ormai sono tesi. Tra questo pezzo del clan e quel pezzo della politica rendese non c’è più sintonia. Ci si è messa anche la Dda di Catanzaro a mettere zizzania. Perché Adolfo D’Ambrosio manda un altro messaggio a Principe: «Gli fai sapere che a mio padre lo hanno torchiato» ma «a lui volevano». I magistrati credono di essere a un passo dalla ricostruzione del mosaico politico-mafioso. E “quelli” vogliono ancora voti che questa volta non avranno. A meno che non arrivino le «cento carte».
Come tutte le storie sotterranee, quella del rapporto – ipotizzato dall’Antimafia calabrese – tra D’Ambrosio e Principe, non ha un inizio che si possa datare con precisione. Dai faldoni dell’inchiesta “The System”, però, salta fuori una data. È il 1999: sembra preistoria. A Rende comandano sempre i Principe ma, per la prima volta dal dopoguerra, il candidato che gli si oppone arriva a un passo dalla vittoria. L’ex delfino di Sandro, Franco Casciaro (sindaco uscente, prima sponsorizzato e poi allontanatosi dalle posizioni del ras), manca l’obiettivo per pochi voti. Nel sottobosco elettorale di quelle comunali si muove, in maniera ondivaga, la famiglia D’Ambrosio. La sorella di Adolfo, Laura, si schiera nelle file di Alleanza nazionale, in appoggio al candidato a sindaco Rosario Mirabelli. Questo al primo turno; al secondo, nonostante le indicazioni di Mirabelli a favore di Casciaro, i D’Ambrosio scelgono Sandro Principe. Il racconto appartiene a Francesco D’Ambrosio, più volte consigliere comunale a Rende e Cosenza. Tra lui e la famiglia di Adolfo c’è una parentela, ma in quell’occasione i congiunti gli hanno voltato le spalle, abbandonando il suo candidato di riferimento (Casciaro) per scegliere Principe. D’Ambrosio (il politico) viene a saperlo perché la voce si sparge nella sua coalizione («non ne avevo contezza diretta»). Su ciò che invece riguarda gli anni successivi, i pm della Dda di Catanzaro scrivono che «negli anni conseguenti il 1999, sempre a dire di Francesco D’Ambrosio, il cugino Adolfo aveva continuato a fare propaganda politica e attività di procacciamento dei voti in favore di Sandro Principe». Quindici anni, dunque, dal voltafaccia a Mirabelli (e Casciaro) fino alla richiesta delle «centomila carte» registrata nel colloquio in carcere.
Passando attraverso elezioni e primarie del Pd, il presunto ruolo dell’uomo del clan si concentra sulla gestione dei servizi di attacchinaggio e sulla preparazione degli incontri pubblici. Organizza incontri tra i candidati principiani alle provinciali del 2009, Umberto Bernaudo e Pietro Ruffolo, e i dipendenti della Rende Servizi. È un imbarazzante “facilitatore” trasversale che viaggia tra Mirabelli e Principe. Con il quale l’ex sottosegretario sostiene di aver avuto soltanto un incontro di 30 secondi – arrivato dopo insistenti richieste di D’Ambrosio –. Un faccia a faccia nel quale il politico, in un interrogatorio del 30 gennaio 2015, sostiene che non si sia parlato praticamente di nulla. I magistrati della Dda la pensano in un altro modo.

Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it

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