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"Il Padrino", chieste condanne per il gotha dei De Stefano-Tegano

REGGIO CALABRIA Le loro strade processuali si sono divise, ma nello stesso giorno arrivano per loro le pesantissime richieste di pena invocate dal pm Giuseppe Lombardo. In mattinata, il pm del…

Pubblicato il: 17/05/2016 – 13:38
"Il Padrino", chieste condanne per il gotha dei De Stefano-Tegano

REGGIO CALABRIA Le loro strade processuali si sono divise, ma nello stesso giorno arrivano per loro le pesantissime richieste di pena invocate dal pm Giuseppe Lombardo. In mattinata, il pm della Dda di Reggio Calabria ha chiesto la condanna tanto del genero del boss Tegano, Eddy Branca, e di Andrea Giungo, uomo di Paolo Rosario De Stefano, imputati in un procedimento stralcio per una serie di curiose circostanze che hanno reso nullo il rinvio al giudizio e hanno indotto il gup a restituire gli atti al pm, come per tutti gli imputati del processo con rito abbreviato “Il Padrino”, che ha scompaginato la rete di reggenti, affiliati e fiancheggiatori del clan Tegano, a vario titolo responsabili della latitanza del boss Giovanni.

BRANCA E GIUNGO Genero del boss Tegano e capo di un ben preciso gruppo criminale cui nel tempo sono state delegate diverse attività, dalle estorsioni alle partecipate, Branca è considerato uno dei principali anelli della colonna vertebrale degli arcoti. È per questo che per lui il pm Lombardo ha chiesto 18 anni di carcere, mentre è di 17 anni di reclusione quella invocata per Andrea Giungo. Richieste che hanno affrontato da uomini liberi perché, nonostante fossero detenuti in case circondariali diverse, per nessuno dei due è stata notificata alla procura la nomina dei legali  di fiducia, gli avvocati Francesco Albanese, Francesco Calabrese e Domenico Neto, ai quali – di conseguenza – non è arrivato l’avviso di conclusione indagini, né la richiesta di rinvio a giudizio. Circostanze fatte valere dai legali in sede di udienza preliminare, inducendo il giudice a ritrasmettere gli atti al pm Giuseppe Lombardo. Uno slittamento che ha pericolosamente fatto avvicinare i termini di scadenza della custodia cautelare, inizialmente disinnescato da un’istanza di proroga del termine di durata della custodia per ulteriori tre mesi, accolta dal gip, ma annullata dal Riesame. “Incidenti di percorso” che non hanno evitato loro due richieste di condanna pesantissime. 

ZAPPIA, UOMO DI PEPPE DE STEFANO Figura fondamentale nell’organigramma del clan, per  il pentito Roberto Moio, Branca  « fa parte della cosca e ha un legame particolare con Michele Crudo e Carmine Polimeni in relazione alle tangenti New labor». Un legame, quello fra Branca e Crudo, riscontrato grazie alle intercettazioni in carcere, che hanno permesso agli inquirenti di scoprire come proprio grazie al cognato, anche da dietro le sbarre, il reggente continuasse a dare ordini e a impartire direttive, ma anche a comunicare notizie riservate che nonostante la detenzione riusciva ad acquisire. Secondo gli inquirenti invece Andrea Giungo è l’uomo delegato da Paolo Rosario De Stefano a rappresentarlo, anche durante gli anni della detenzione, nella gestione delle partecipate di sua competenza. A tratteggiarne in dettaglio il ruolo è stato Salvatore Aiello, ex responsabile tecnico della Fata Morgana, oggi collaboratore di giustizia, che al pm Lombardo ha spiegato come fosse proprio Giungo l’uomo che puntualmente si presentava per riscuotere la “tassa di sicurezza”  o impartire direttive. Ma Giungo – ha spiegato Aiello – non si presentava sempre da solo. « Prima parlavo io solo con Giunco o con.. poi c’era questo.. questo.. questo signore davanti perché dice che dovevano sentire tutti e due.. sia il.. il rappresentate di… di… di Rosario… che il rappresentante di.. di De Stefano Giuseppe e c’era questo.. questo Zappia che c’era .. che .. che partecipava a sti… a sti incontri… quando chiedevano i soldi».

LE RICHIESTE PER GLI IMPUTATI DEL PROCEDIMENTO MADRE Principale imputato del procedimento principale con rito abbreviato “Il Padrino”, in cui è inquadrato come capo perché in tale ruolo è stato voluto dal Capocrimine Giuseppe De Stefano, Vincenzino Zappia oggi affronta una richiesta di pena di 19 anni di carcere e 16 mila euro di multa. Tanto ha chiesto per lui il pm Lombardo, sottolineando il rapporto ombelicale con il massimo vertice del direttorio dei clan reggini, di recente confermato anche dal pentito Enrico De Rosa. «Vincenzino Zappia, in assenza di Giuseppe De Stefano, per dire tipo, come spesso ha detto anche lui, che Giuseppe De Stefano era suo fratello, inteso non suo fratello di sangue, che carnalmente erano fratelli, ma intesa fratelli come di ‘ndrangheta» – dice il 7 ottobre 2014 il pentito, spiegando che – «comandava ad Archi, comandava per quanto riguarda, a mio dire rappresentava i De Stefano». Ma il pm Lombardo ha  invocato anche una condanna a 18 anni e 16 mila euro per Antonio Lavilla e Giovanni Pellicano, mentre è di 15 anni e 12 mila euro di multa la condanna chiesta per Francesco Caponera, , Francesco Giunta, Paolo Malara, Sergio Malara, Francesco Marino, Francesco Pellicano, Domenico Paolo Saraceno, Emilio Eugenio Tiara e Vincenzino Zappia . Quattordici anni di reclusione e diecimila euro di multa sono stati chiesti infine per Stefano Costantino, Antonio Marco Malara, Domenico Malara, Giovanni Malara, Giovanni Pellicano e Giorgio Saraceno. 

RIASSESTAMENTO Per l’accusa fanno tutti parte, a vario titolo e con vari ruoli, del clan Tegano, fotografato a partire da uno dei momenti più delicati della sua storia: il riassestamento all’indomani della “scomparsa” del reggente Paolo Schimizzi. Secondo alcune ipotesi investigative, confortate dalle parole di diversi pentiti, il rampollo degli arcoti sarebbe stato  sacrificato dalla sua stessa famiglia,  con l’assenso del boss Giovanni Tegano. Un’esecuzione che sarebbe alla base delle fratture – tutte interne al clan – fotografate dal procedimento Il Padrino. 

LE GUERRE INTESTINE Da una parte si arroccheranno dunque Giuseppe Tegano e i suoi familiari, dall’altra il resto della famiglia accusata di essere all’origine della scomparsa di Schimizzi. Un’ulteriore spaccatura si creerà fra i generi del latitante, Crudo, Polimeni e Branca ed i nipoti del boss Antonio Polimeni, Angelo e Franco Benestare. Tutti conflitti monitorati – e spesso ricomposti – da Giovanni Tegano in persona, che stando a quanto emerge dal fermo, nonostante la latitanza non ha mai smesso di seguire da vicino le sorti e le evoluzioni della famiglia. O almeno, questo è quanto si evince da intercettazioni, pedinamenti, attività di videosorveglianza che negli ultimi dieci anni sono stati disposti nei confronti degli esponenti del clan Tegano. Attività grazie alle quali i pm sono stati  in grado di tracciare un quadro preciso dei ruoli e dei rapporti interni agli arcoti.

I MILLE TENTACOLI DEL DIRETTORIO Se il centro decisionale della famiglia è rimasto saldamente in mano ai quattro generi del boss, che si sono avvicendati tanto nella direzione operativa come nella gestione della latitanza dell’importante suocero, attorno a loro l’indagine ha tracciato un organigramma ramificato di soggetti con diverso ruolo e peso. Di certo ne era elemento di spicco – e non solo perché genero dello storico luogotenente degli arcoti Carmelo Barbaro – Francesco Caponera, conosciuto come Ciccio “‘u niuru”. Longa manus del più blasonato suocero, si è inserito quasi a pieno titolo nel gotha decisionale del clan con il compito di gestire i numerosi canali di approvvigionamento economico. Ma di certo un ruolo di rilievo aveva anche Giovanni Pellicano, insospettabile professionista ma per gli inquirenti «soggetto a disposizione della ‘ndrina per organizzare gli incontri tra i sodali e tra questi e terzi». Sarà proprio lui a curare i rapporti fra i Tegano e il potente clan Pelle-Giorgi del mandamento jonico, come pure la raccolta delle preferenze su mandato degli arcoti per l’allora aspirante consigliere regionale Nino De Gaetano.

L’AMBASCIATORE DEL CLAN Ma soprattutto “l’ambasciatore” Giovanni Pellicano si convertirà in uno degli elementi cardine del sistema di comunicazione riservato utilizzato dal clan per evitare
le intercettazioni. Un sistema che ha funzionato per lungo tempo anche grazie al “ragioniere” Giovanni Malara e dei suoi quattro figli, Paolo, Domenico, Marco e Sergio, cugini di Carmine Polimeni e formalmente titolari del banco dei meloni di Pentimele – consueto punto di incontro del clan – ma in realtà solerti messaggeri degli arcoti. Ulteriore canonico punto di incontro era l’esercizio commerciale “Il Mercatone della Frutta 2”, riconducibile alla famiglia “satellite” dei Polimeni-Saraceno e attorno al quale ruotavano diverse figure fondamentali per le comunicazioni interne, come Domenico Paolo Saraceno.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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