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FRONTIERA | «Il mare era il latifondo della cosca»

COSENZA «Il mare era il latifondo del clan Muto». Ma non era solo il pescato il settore gestito dalla cosca che da decenni “governava” il Tirreno cosentino. Lo ha spiegato, più volte, il neoprocura…

Pubblicato il: 19/07/2016 – 11:29
FRONTIERA | «Il mare era il latifondo della cosca»

COSENZA «Il mare era il latifondo del clan Muto». Ma non era solo il pescato il settore gestito dalla cosca che da decenni “governava” il Tirreno cosentino. Lo ha spiegato, più volte, il neoprocuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, durante la conferenza stampa che si è svolta nel comando provinciale dei carabinieri di Cosenza per illustrare i particolari dell’operazione “Frontiera” con la quale si è assestato un duro colpo alla cosca Muto di Cetraro. Il gip distrettuale ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 58 persone accusate, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, traffico di stupefacenti, estorsione e rapina. Al centro delle indagini del Ros una delle più pericolose e violente ‘ndrine, con a capo Francesco Muto di Cetraro detto il “re del pesce”, che ha monopolizzato per oltre 30 anni le risorse economiche del territorio curando fino al dettaglio la commercializzazione dei prodotti ittici in un’area a forte impatto turistico; dei servizi di lavanderia industriale; delle strutture alberghiere e della vigilanza in favore dei locali d’intrattenimento della fascia tirrenica cosentina e del basso Cilento.
Parallelamente le indagini del comando provinciale di Cosenza hanno documentato un importate traffico di stupefacenti che, sotto il controllo del clan Muto, inondava di cocaina, hashish e marijuana le principali località balneari della costa tirrenica calabrese, tra cui le note Diamante, Scalea e Praia a Mare. Contestualmente sono stati sequestrati beni per circa 7 milioni di euro. «La ‘ndrangheta – ha spiegato il comandante dei Ros, il generale Giuseppe Governale – è l’attività più perniciosa in Europa con costante e lenta infiltrazione nei centri locali della regione e del territorio nazionale imponendo – come hanno dimostrato anche recenti operazioni – il ritmo alle compagini parlamentari e determinando uno squilibrio. In questo caso specifico l’attività di indagine parte da attività intraprese dai Ros nel Cilento e iniziate nel 2014 a seguito dell’omicidio del sindaco Vassallo. È emerso un ruolo centrale anche nel traffico di sostanze stupefacenti del clan Muto. L’indagine spiega come nell’area dell’Alto Tirreno cosentino il “pescatore” sia diventato re attraverso la violenza e una miriade di traffici, occupandosi della commercializzazione del pesce dalla grande distribuzione fino alla vendita al dettaglio. Noi abbiamo dato una risposta tangibile. Ora i cittadini non hanno più alibi».
Il procuratore Nicola Gratteri ha sottolineato come «questa indagini meriti tanta attenzione. È un lavoro fatto bene e completo condotto dai procuratori aggiunti Giovanni Bombardieri e Vincenzo Luberto e dai sostituti Pierpaolo Bruni e Alessandro Prontera. La presenza di questa famiglia di ‘ndrangheta mi ricorda tanto il modus operandi delle famiglie dello Jonio. E questa indagine mi fa venire in mente l’operazione “Nostromo”. L’organizzazione Muto esiste sul territorio criminale da tantissimo tempo e non è specializzata soltanto nel pescato. È triste pensare che ogni notte i pescatori attraversano le acque del Mar Tirreno con una piccola barchetta per mantenere le famiglie e devono poi sottostare al volere di Muto che detta le regole e il prezzo del pesce: gestivano tutto dalla grande distruzione fino alla vendita al dettaglio. Ecco perché, quando ancora sento parlare qualche professore universitario o qualche esperto di mafia del rispetto, continuo a ribadire che non esiste il rispetto nelle organizzazioni mafiose. In questa indagine, nella parte sviluppata dal comando provinciale dei carabinieri di Cosenza ci sono 53 capi di imputazione che riguardano il traffico di droga». E ha aggiunto: «Vorrei davvero ringraziare il generale Governale che da prima che io mi insediassi a Catanzaro ha espresso l’importanza di investire in questo distretto. La sua collaborazione è massima e ha sempre mandato uomini e mezzi. Questo mi conforta per il futuro pensando alla credibilità che merita la Dda di Catanzaro».
«Mi preme ringraziare – ha detto il procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri – le Procure di Salerno e Potenza e la Sezione anticrimine del Ros di Salerno che ha lavorato con grande sacrificio. Questa indagine consegna qualcosa di inquietante: il gip Gioia nel ripercorrere le pagine di vecchi atti giudiziarie, in particolare le prime sentenze contro la cosca Muto, evidenzia come nulla era cambiato dal 1992 e descrivono una situazione identica a quella attuale. Nonostante le condanne, le confische dei beni tutto continuava ad essere gestito da loro. Oggi speriamo di aver liberato il territorio da questo controllo non solo nel mercato del pesce, ma anche nel controllo delle lavanderie e dei locali notturni che venivano gestiti con un accordo tra cosche del Cosentino e il clan Muto attraverso l’imposizione dei buttafuori e dei prezzi da applicare. C’era un controllo capillare del territorio. Si tratta di indagini corroborate da attività tecniche, come quelle intercettive, e che trovano riscontro nelle dichiarazioni dei pentiti come Montemurro e Foggetti. Oggi è stata scritta una pagina giudiziaria che può cambiare il corso dell’economia. Emblematico del sistema di controllo sono, inoltre, alcune intercettazioni in cui si impone al pescatore di buttare a mare il quantitativo di pesce che superava quello richiesto dal clan perché non aveva la facoltà di venderlo. Veniva così colpita la dignità del pescatore». Il procuratore aggiunto Vincenzo Luberto ha espresso «sentimenti di chiara soddisfazione» per il risultato investigativo ma anche «di chiara desolazione perché questa situazione si perpetua dagli anni 80». «La società Eurofish – ha aggiunto – pur confiscata continua a rimanere in mano a Muto, che hanno fatto del mare un latifondo e c’è un legame tra ‘ndrangheta e latifondo. Ma per uscire totalmente da questa situazione non bastano le Procure. Occorrerebbe che il Comune di Cetraro facesse di più, assieme alle associazioni come Libera o Gerbera Gialla o altre che ora mi sfuggono, ad esempio promuovendo un’asta per il pescato. Dalle indagini è emersa la collusione di alcuni amministratori giudiziari che gestivano i beni confiscati per i quali avevamo chiesto la misura interdittiva, respinta dal gip. Ma abbiamo già pronto l’appello». Su questo punto Gratteri è stato irremovibile: «Quegli amministratori giudiziari non lavoreranno più per noi e per nessuna Procura. E anche se il gip ha rigettato la nostra richiesta noi faremo appello».
«Alcuni ringraziamenti – ha precisato Luberto – sono doverosi: alla sezione anticrimine di Salerno perché lavorare a trecento chilometri di distanza non è stato semplice e sono stati accanto a noi in due anni di indagini, caratterizzati anche da momenti difficile. Devo riconoscere un impegno encomiabile dei carabinieri della compagnia di Scalea e della sezione anticrimine di Catanzaro che ha fatto luce sui collegamento tra le cosche di San Lucido, in cui domina la famiglia Calabria, e i clan del Cosentino. Questa indagine consente di riconoscere, infatti, un legame tra i clan cosentini e centraresi, che sono stati certificati anche con indagini sulla cosca Rango-Zingari e Patitucci». E alla domanda su un possibile condizionamento anche dell’attività politica, il procuratore aggiunto Luberto ha detto: «Non c’era bisogno». Il comandante dei carabinieri di Cosenza, il colonnello Fabio Ottaviani ha evidenziato come sono stati eseguiti 57 ordini di custodia cautelare «solo uno è sfuggito. Abbiamo schierato oltre 400 militari grazie al supporto dello Squadrone Cacciatori e dell’Eli Nucleo. Siamo piombati nel cuore della notte e non sono potuti scappare».

Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it

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