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"Il Re è nudo", ma i calabresi troveranno il coraggio per raccontarlo?

La novella di Andersen, “I vestiti nuovi dell’imperatore”, sembra aleggiare nell’aria, con un certo scherno, da qualche giorno a questa parte. In breve, questa favola racconta di un imperatore vani…

Pubblicato il: 02/09/2016 – 17:05

La novella di Andersen, “I vestiti nuovi dell’imperatore”, sembra aleggiare nell’aria, con un certo scherno, da qualche giorno a questa parte. In breve, questa favola racconta di un imperatore vanitoso e potente, ossequiato dal proprio popolo e dai timorosi cortigiani. Intorno a lui regnano il silenzio e il consenso assoluti, fino al giorno in cui due furbi truffatori non lo convincono di avergli confezionato gli abiti più belli con un tessuto leggerissimo e meraviglioso, così impalpabile da essere quasi invisibile. E, infatti, non esiste. Ma l’imperatore lo compra e, credendo di indossare abiti favolosi, esce in corteo per la città. Nessuno fiata, tutti applaudono con riverenza alle chiappe al vento (mi si consenta il termine) del sovrano. Fino al momento in cui un bimbo innocente, tra la folla, non lo indica e grida: “Il Re è nudo”. Solo allora sembra che tutti se ne accorgano; il fatto, ovvio, si manifesta. E tutti ridono delle nudità dell’imperatore.
 Negli ultimi giorni in molti stanno commentando come ovvietà le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gennaro Pulice. Elemento di spicco della triade criminale di Lamezia Terme, Iannazzo-Cannizzaro-Daponte, Pulice non è certo un bambino innocente. Al contrario, è stato un bambino parecchio diverso dagli altri: i primi omicidi li ha commessi ancora minorenne per vendicare la morte di suo padre. Si è addossato tanti delitti da quando si è pentito, ha parlato di sé, a tratti anche con una certa vanagloria, raccontando del patrimonio che era riuscito a costruire grazie agli affari illeciti. E ha parlato di compravendita dei voti, del centro commerciale “Due Mari” e del potere immenso che possiede chi dona lavoro in una terra a carenza endemica di occupazione come la Calabria. Ha parlato della corruzione nell’appaltare i lavori pubblici, nel gestire l’economia, i voti, le assunzioni, nell’appoggiare questo o quel politico. 
Ora, tutto quello che Gennaro Pulice ha raccontato ai magistrati dell’antimafia di Catanzaro dovrà trovare riscontro. E non sarà un lavoro facile.
 Eppure, in molti, hanno commentato le dichiarazioni del pentito come la scoperta dell’acqua calda. Ho trovato impigliati nella rete, a corredo delle condivisioni degli articoli su Pulice, commenti del tipo: «che novità ha ha ha», «che scoperta.. tutti i supermercati hanno il politico dietro che devono portargli i voti…», o anche «ma và…» e compagnia commentando.
Dunque, l’ovvio si rivela attraverso le parole di un uomo, un uomo solo. 
Ma come faranno gli inquirenti a trovare le prove per dimostrare l’ovvio? Se andranno a parlare con i commessi dei centri commerciali si sentiranno dare risposte sulle richieste di voto o sulle modalità di assunzione? Sui contratti che vengono firmati e sulle reali ore di lavoro? 
E gli imprenditori strozzati dall’usura? La recentissima inchiesta “Laqueo” ha dimostrato che, nonostante le indagini e le dichiarazioni del pentito Roberto Violetta Calabrese, solo tre imprenditori hanno ammesso di essere sotto usura. Eppure oggi esistono sportelli antiusura, come “Interesse uomo”, o “Sos giustizia” di Libera.
 Lo stesso silenzio, spessissimo, si manifesta con le estorsioni. Tutti sanno, è ovvio, è il mondo che gira intorno a noi.
 E se un giorno, mettiamo caso, un’inchiesta facesse luce sullo strapotere di certe imprese di pompe funebri che gestiscono gli ospedali più degli amministratori designati? Quanti racconterebbero che è vero, che la prenotazione per un esame specialistico, da un mese l’hanno ridotta a due giorni grazie all’interessamento di certi “benefattori” appartenenti al mercato del caro estinto?
 Viviamo nel bisogno (questa sì che è un’affermazione banale) e il bisogno ci ha incatenati alla criminalità. Ma chi crea il bisogno? Siamo noi, che ci facciamo prendere per assuefazione, scegliamo la via più facile, lasciamo che ci amministrino le persone sbagliate, che non ci ribelliamo, non ci indignamo quasi più.
 Per gridare «il Re è nudo», sono necessari innocenza e coraggio. A volte manca l’innocenza, perché siamo tutti complici di questo sistema, quasi posseduti da una sindrome di Stoccolma che ci impedisce di scagliare la prima pietra. Posseduti dal senso di colpa, e dalla coda di paglia, per esserci fatti inghiottire da un ingranaggio corrotto e vigliacco. A volte manca il coraggio. Perché ci sentiamo soli, perché ci fidiamo poco delle istituzioni e del prossimo, perché manca l’essere comunità. Al contrario, la ‘ndrangheta si è sempre fatta comunità. Lo scrittore Mario Puzo ce lo insegna: la mafia nasce come «luogo sicuro». È questa comunità gerarchizzata e velenosa che ha accolto e cresciuto Gennaro Pulice quando gli ammazzarono il padre. Protetto all’ombra dei Cannizzaro. In carcere si è laureato in legge. Un luogo sicuro. Quello che non troviamo per noi.

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