«Così trovammo il corpo del piccolo Cocò»
COSENZA «Ero a caccia con alcuni amici quando ho visto un’auto carbonizzata e all’interno dei corpi». Così Giovanni Gravina ha raccontato alla Corte di Assise di Cosenza, il ritrovamento del cadavere…

COSENZA «Ero a caccia con alcuni amici quando ho visto un’auto carbonizzata e all’interno dei corpi». Così Giovanni Gravina ha raccontato alla Corte di Assise di Cosenza, il ritrovamento del cadavere del piccolo Cocò Campolongo, il bambino di soli tre anni ucciso e bruciato in auto il 16 gennaio 2014, a Cassano allo Jonio, assieme al nonno Giuseppe Iannicelli (52) e alla compagna marocchina di questi Ibtissam Touss (27). Gravina è stato ascoltato come primo testimone dell’accusa nel processo a carico di Cosimo Donato, 38 anni, detto “Topo”, e Faustino Campilongo, di 39, detto “Panzetta”. I due sono accusati di triplice omicidio. In particolare, secondo l’accusa contestata dalla Dda di Catanzaro, i due avrebbero attirato in una trappola Giuseppe Ianniccelli, per conto del quale spacciavano droga, perché divenuto un personaggio scomodo per la cosca di ‘ndrangheta degli Abbruzzese e anche per aumentare il proprio potere criminale. Cocò, secondo la ricostruzione fatta dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Cosenza, era stato ucciso perché il nonno lo portava sempre con sé, come uno “scudo umano”, per dissuadere i malintenzionati dal colpirlo. Dopo il triplice omicidio, gli assassini bruciarono l’auto di Iannicelli con all’interno i tre corpi.
Lunedì mattina la Corte d’Assise, presieduta dal giudice Giovanni Garofalo (a latere la collega Francesca De Vuono) ha iniziato ad ascoltare i testimoni dell’accusa. Rispondendo alle domande del pm della Dda Saverio Vertuccio, Gravina ha precisato che il 16 gennaio del 2014 si trovava nei boschi di Cassano e durante una battuta di caccia con alcuni amici ha visto un’auto totalmente bruciata e a una distanza di cinque-sei metri si è accorto che all’interno del veicolo c’erano dei cadaveri. E ha subito chiamato i carabinieri. La sua versione è stata confermata anche da un altro teste, Francesco Corrado Bossio, che si trovava con lui a caccia. Con il consenso delle parti c’è stata poi l’acquisizione dei verbali, resi nell’immediatezza dei fatti, da altre persone che erano quel giorno a caccia e che erano citati come testimoni da sentire nell’udienza di oggi, ovvero Luciano Fazari; Amedeo Bossio e Cristian Tripicchio.
La Corte ha poi conferito l’incarico alla consulente Maria Teresa Torchia per la “traduzione” dall’albanese di alcune conversazioni, perché in alcuni paesi del Cosentino si parla la lingua arbereshe.
A Donato e Campilongo (difesi dagli avvocati Vittorio Franco, Ettore Zagarese e Mauro Cordasco) venne notificata l’ordinanza per l’omicidio di Cocò il 12 ottobre 2015, ma i due erano già detenuti dal dicembre 2014 per una tentata estorsione. Gli imputati sono tuttora in carcere. Il processo è stato aggiornato al prossimo 17 novembre.
Mirella Molinaro
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