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Bronzi a rischio "cancro", l'esperto: «Servono più controlli»

MILANO Le prime macchie sospette sono già comparse sul volto, sulle gambe, sull’addome. La “malattia” non e’ ancora conclamata, ma i referti delle analisi parlano chiaro: ai Bronzi di Riace servono c…

Pubblicato il: 03/12/2016 – 20:53
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Bronzi a rischio "cancro", l'esperto: «Servono più controlli»

MILANO Le prime macchie sospette sono già comparse sul volto, sulle gambe, sull’addome. La “malattia” non e’ ancora conclamata, ma i referti delle analisi parlano chiaro: ai Bronzi di Riace servono controlli più serrati per scongiurare il rischio “cancro” per la lega di cui sono fatti. A eseguire la diagnosi sono stati gli esperti dell’Università del Salento e dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro (Iscr) di Roma, che hanno letto il loro “bollettino medico” al Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria nell’ambito dell’iniziativa “Arte e(‘) scienza”, organizzata per questo weekend in varie città d’Italia dall’Associazione italiana di Archeometria (AIAr) per illustrare le più avanzate tecniche di indagine scientifica applicate ai beni culturali. Un esempio è proprio quello della fluorescenza a raggi X, una tecnica diagnostica non invasiva usata dai “dottori” dei Bronzi per esaminare i loro assistiti quando erano ancora “sdraiati” in una specie di “ospedale da campo” allestito nel Palazzo della Regione Calabria. Grazie a strumenti portatili, i ricercatori sono riusciti ad analizzare la composizione chimica delle patine depositate sulla superficie anteriore delle due statue, eseguendo una vera e propria “mappatura dei nei” che sarà fondamentale per mettere a punto le future strategie di prevenzione “anti-cancro”.
«Su entrambi i Bronzi – spiega Giovanni Buccolieri, ricercatore di fisica applicata all’Università del Salento – abbiamo trovato diversi punti ricoperti da una patina celeste formata dai residui del cloro che si è depositato durante la lunga permanenza in mare. In particolari condizioni di temperatura e umidità, queste macchie potrebbero estendersi col rischio di formare il cosiddetto “cancro del bronzo”, un fenomeno corrosivo che comprometterebbe la conservazione delle statue».
Per scongiurare il pericolo la patina andrebbe eliminata, un po’ come si rimuovono i nei sospetti nei pazienti a rischio melanoma. L’intervento, però, potrebbe essere un po’ invasivo, «dunque per il momento – rassicura il ricercatore – possiamo limitarci a monitorare l’evoluzione della situazione con controlli più serrati».
Dai risultati delle analisi è emersa anche la composizione di altre due patine superficiali: una rossastra, data dall’ossidazione naturale del rame contenuto nella lega metallica, e una patina nera multistrato, compatta e liscia, fatta di solfuro di rame. «Quest’ultima era probabilmente una pellicola protettiva, volutamente depositata per ricoprire le statue», spiega Buccolieri. «La patina è ancora oggi ben visibile sul bronzo A (“Il giovane”), mentre risulta parzialmente rimossa dal bronzo B (“Il vecchio”) per effetto del restauro fatto a Firenze negli anni Settanta». L’invasività dell’intervento sarebbe testimoniata anche dalla presenza di residui di zinco sulle “pelle” del guerriero, «verosimilmente rilasciati dalle spazzole in ottone usate durante la pulitura meccanica della statua».

Ansa

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