La trincea di Magorno
CATANZARO Giura che la tentazione di gettare la spugna non lo ha sfiorato nemmeno nel cuore della notte, quando la sconfitta ha assunto proporzioni inaspettate e pesanti. Eppure Ernesto Magorno è pro…

CATANZARO Giura che la tentazione di gettare la spugna non lo ha sfiorato nemmeno nel cuore della notte, quando la sconfitta ha assunto proporzioni inaspettate e pesanti. Eppure Ernesto Magorno è pronto a fare un passo indietro dalla guida del Pd calabrese solo nel caso in cui Matteo Renzi dovesse fare la stessa cosa nelle prossime ore. «In quel caso sarebbe un rompete le righe e io non potrei che adeguarmi», è il messaggio affidato a chi ha avuto modo di parlargli in questo lunghissimo day after della batosta referendaria.
Spira un’aria da ultima spiaggia nel Pd calabrese. E non potrebbe essere altrimenti dopo l’ennesimo dato deludente venuto fuori dalle urne. Sul banco degli imputati ci sono lo stato maggiore renziano e il governatore Mario Oliverio.
Raccontano che Matteo Renzi, a poche ore dalla chiusura dei seggi, nelle sale ovattate del Nazareno, si sia lasciato andare a più di una battuta al fulmicotone nei confronti di quelle regioni del Sud – soprattutto Campania e Calabria – «verso cui il governo ha fatto tanto». Ogni riferimento è puramente voluto agli ultimi provvedimenti approvati dal Cipe e all’emendamento, inserita nella legge di Bilancio approvata dalla Camera, che aggira il divieto per i governatori di assumere la guida della sanità. La moneta di scambio usata dal leader dem per “incentivare” un maggiore impegno sui territori, alla fine, non ha sortito gli effetti sperati. Tanto in Campania quanto in Calabria il No ha superato di gran lunga la media nazionale. A conti fatti, l’apporto della classe dirigente locale è stato pressoché nullo.
Ora si tratta di capire da dove ripartire. I giorni che separano dalla direzione nazionale serviranno ai maggiorenti calabresi per aprire una discussione interna e, probabilmente, una resa dei conti. Magorno continua a ripetere che «bisogna superare correnti e divisioni, valorizzando la centralità dei territori».
Ma ormai nel partito si ragiona in ordine sparso. Enza Bruno Bossio non fa mistero di ritenere il ritorno anticipato alle urne come la soluzione migliore, i franceschiniani come Nicodemo Oliverio non vedono come fumo negli occhi la soluzione di un governo di transizione che faccia fronte agli impegni del Paese con la comunità internazionale. I boschiani Ferdinando Aiello e Sebastiano Barbanti premono invece per un reset generale all’interno del partito. E lo stesso invoca, da posizioni opposte, il bersaniano Nico Stumpo. Sono solo alcuni degli orientamenti espressi, perché tra la base ce ne sarebbero ancora di altri.
In ogni caso, non sarà facile ripartire. Un Pd così debole rischia di trascinare giù anche la giunta regionale. A proposito: non è che il tracollo di domenica favorirà un’accelerazione nel rimpasto, il terzo, di cui si parla tra i corridoi della Cittadella?
Antonio Ricchio
a.ricchio@corrierecal.it