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La scalata del compagno che ama gli 007

ROMA Marco Minniti è il dodicesimo ministro calabrese della storia repubblicana. Prima di lui era toccato al comunista Fausto Gullo – ministro della Giustizia tra il ’46 e il ’47 -, al democristian…

Pubblicato il: 12/12/2016 – 16:38
La scalata del compagno che ama gli 007

ROMA Marco Minniti è il dodicesimo ministro calabrese della storia repubblicana. Prima di lui era toccato al comunista Fausto Gullo – ministro della Giustizia tra il ’46 e il ’47 -, al democristiano Rocco Salomone – ministro dell’Agricoltura tra il ’53 e il ’54 -, a Gennaro Cassiani – ministro delle Poste e delle telecomunicazioni tra il ’54 e il ’55 -, al socialista Giacomo Mancini – ministro della Sanità tra il ’63 e il ’64 e poi per i Lavori pubblici tra il ’64 e il ’69 (a lui si devono l’introduzione del vaccino antipolio e la realizzazione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria) -, al democristiano Riccardo Misasi – ministro dell’Istruzione tra il ’70 e il ’72 e poi tra il ’90 e il ’91 (i suoi avversari gli hanno sempre rinfacciato tutti quei nomi di cosentini, reggini e catanzaresi tra i bidelli assunti per chiamata diretta) -, dl democristiano Nicola Signorello, – ministro del Turismo tra il ’73 e il ’74 e poi tra l’80 e l’83 -, a un altro diccì, Dario Antoniozzi, – ministro del Turismo e poi dei Beni culturali tra il ’76 e il ’79 -, a un altro socialista, Mario Casalinuovo – ministro dei Trasporti tra l’82 e l’83 -, a Emilio de Rose – ministro socialista dei Lavori pubblici tra l’87 e l’88 -, al democristiano Claudio Vitalone – ministro del Commercio nel ’92 -, all’ex mastelliano Agazio Loiero – ministro per i Rapporti con il Parlamemto e poi agli Affari regionali tra il ’99 e il 2001 -, a Linda Lanzillotta – ministro degli Affari regionali con il governo Prodi (2006-2008) -, alla civatiana poi renziana Maria Carmela Lanzetta, nominata dall’ex premier Matteo Renzi ministro per gli Affari regionali e poi dimessasi per entrare nella giunta regionale calabrese, cosa che non farà per via di alcune presenze “poco gradite”. In realtà, a voler essere pignoli, ci sarebbe pure un altro ministro ma qui le opinioni sulla “calabresità” del soggetto – l’ex rettore romano della Mediterranea di Reggio Calabria Alessandro Bianchi – divergono. La sua esperienza da ministro per i Trasporti del secondo governo Prodi, in rappresentanza del Pdci di Cossutta e Diliberto, durerà soltanto qualche mese, in tempo per ingaggiare un’aspra battaglia contro la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina. 
Minniti, invece, può vantare un piccolo record: quello di entrare nel sesto governo di centrosinistra, scelto da un premier sempre diverso (D’Alema, Amato, Prodi, Letta, Renzi e adesso Gentiloni). Negli anni, alla guida dell’intelligence italiana, Minniti, il dirigente partito da Reggio Calabria con in tasca la tessera del Pci, è riuscito a ritagliarsi un ruolo sui generis nel nostro Paese, paragonabile a quello del Consigliere per la sicurezza nazionale che affianca il presidente Usa alla Casa Bianca. 

Carattere riservato, un passato da scout (assieme a lui ci sono l’ex direttore della Dia Arturo De Felice, l’ex questore di Catania Marcello Cardona e l’agente del Sismi Nicola Calipari, ucciso in Iraq dai soldati Usa), un’innata passione per il calcio (tifa Inter), la pesca subacquea e il mare (l’accesso al buen retiro di Capo Spartivento è un privilegio riservato a pochi), il neoministro dell’Interno non ha un profilo Facebook e neppure Twitter. Ha iniziato a muovere i primi passi nel Partito comunista in riva allo Stretto e ha scalato posizioni e gerarchie fino all’incarico di segretario organizzativo dei Ds. A Palazzo Chigi mette piede la prima volta nel ’98 assieme a Massimo D’Alema, dopo la sconfitta alle Politiche del ’96 nel collegio di Reggio-Villa San Giovanni. Era uno dei Lothar negli anni Novanta, lo staff dalemiano di pochi capelli. Si narra che il sodalizio con “Baffino” si interrompa nel 2010, quando D’Alema diventa presidente del Copasir a scapito proprio di Minniti che nel frattempo era passato con Walter Veltroni. 

La passione per le forze di polizia e gli agenti segreti può suonare strana per chi analizza freddamente il suo curriculum: laurea in Filosofia e gavetta a Botteghe Oscure. Eppure quella di Minniti è una famiglia di militari: il papà è stato generale e così i suoi fratelli. Marco vorrebbe arruolarsi in aviazione, e invece finirà con l’iscriversi al Pci. «Questo gli comporterà – come confessò un giorno a Marco Damilano dell’Espresso –  la rottura di una tradizione familiare che si ricomporrà molti anni dopo».

L’impegno a Roma non gli fa perdere interesse per le cose calabresi. Quando nasce il Partito democratico, nel 2007, Veltroni gli chiede di candidarsi alla guida del partito in Calabria. Cosa che lui fa, vincendo le primarie e restando in carica fino al 2009. Si troverà a gestire una situazione politica esplosiva, con la giunta guidata da Agazio Loiero, attraversata da scandali politici e giudiziari. Seguono anni di attività politica fra Reggio e Roma in cui dà vita alla fondazione Icsa, un think thank in cui trovano spazio magistrati, ambasciatori, generali, ammiragli e giornalisti. 

Nel 2013 il ritorno a Palazzo Chigi con Enrico Letta, che gli affida la gestione dei servizi segreti. Verrà riconfermato da Renzi, che esclude il fedelissimo Luca Lotti per fargli posto. Fino alla scorsa settimana ha presieduto, come ogni martedì, la riunione con i responsabili di Dis, Aise e Aisi. La cabina di regia che sorveglia la sicurezza nazionale su due fronti: quello esterno e quello interno.

Ora l’approdo al Viminale – un ritorno visto che c’è già stato come vice di Giuliano Amato dal 2006 al 2008 – dove sarà chiamato a fronteggiare l’emergenza migranti. Per Minniti, il compagno con la passione per gli 007, si tratta di un’altra (affascinante) sfida.

Antonio Ricchio
a.ricchio@corrierecal.it

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