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Groove e sorrisi per esorcizzare le paure

VILLA SAN GIOVANNI Ad assistere a un concerto della famiglia Canale si ha come la sensazione di essere nel salotto di casa propria, in una serata tra amici, con del buon vino e due folli musicisti …

Pubblicato il: 18/02/2017 – 12:45
Groove e sorrisi per esorcizzare le paure

VILLA SAN GIOVANNI Ad assistere a un concerto della famiglia Canale si ha come la sensazione di essere nel salotto di casa propria, in una serata tra amici, con del buon vino e due folli musicisti che tengono banco a suon di rhythm and blues e rock ‘n’ roll. Invece siamo sulle tavole del Teatro Primo di Villa San Giovanni e il concerto dei “Light Chili Canales & Vincenzo Tropepe” ieri sera ci ha portato nel Far West, nei saloon in Arkansas e in Oklahoma per un concerto di due ore e 17 brani. Il teschio di un bue su un fondale nero domina la scena su cui diversi blocchi di pallet occupano la maggior parte del palco. Sulle casse un telo raffigurante un indiano d’America e poi, cappelli da cowboy, una cassetta d’arance, chitarre, batteria, pianoforte e sulla quinta di destra svetta una scale. Fabrizio Canale, entra dall’uscita di sicurezza prendendo posto nella prima fila del teatro e aspetta che arrivi qualcuno. Domanda: «Ma c’è un concerto stasera?». Poi si diede al piano e suona il pezzo d’apertura Lonely Avenue di Ray Charles. Calice in mano, attende che il padre, Domenico, lo raggiunga sul palco. Brindano al pubblico e alla serata e – chitarra e voce il primo, armonica a bocca e voce il secondo -, si esibiscono in uno spettacolo/dialogo padre e figlio a colpi di groove. Interpretando le melodie di Sam Cooke, John Mayall, Jimmy Reed, Elmore James, portano sulla scena la vita degli artisti di strada. Caratteristica già adottata del duo, dopo il viaggio di Fabrizio in Australia (dic. 2015/nov. 2016) e Nuova Zelanda (dic.2016/feb. 2107), ora “rivive” sul palco nella scritta “Fabrizio Canale. One man band blues show” dentro la custodia di una chitarra. Aperta sul proscenio, ha al suo interno banconote da uno e cinque dollari, biglietti di diversi pub, bottleneck e armoniche. «Per vivere, si è messo a suonare per strada; ha fatto il busker – commenta Canale senior -. Cosa che abbiamo fatto assieme, ma che lui ha adottato come metodo di sussistenza. Lo spirito degli artisti di strada nei musicisti li fa diventare una specie di pirata, quindi anche l’approccio col pubblico assume un’altra connotazione rispetto ai canonici concerti che tu vai a vedere, soprattutto a teatro». Che ci sia poco di convenzionale è chiaro: ogni brano è introdotto da uno sketch a cui prende parte anche Vincenzo Tropepe, batterista del gruppo. Molte battute, tante freddure rendono il pubblico parte dello spettacolo. «Quando facciamo un concerto non facciamo solo spettacoli per mettere musica», continua Canale. Diversi, infatti, gli argomenti affrontati legati alla vita, alla morte, agli amori finiti e alle amicizie sbagliate. Alla musica il potere di esorcizzare ogni sofferenza e riportare la calma nell’animo di chi soffre. «Mettiamo sempre in gioco le nostre vite; trattiamo di argomenti piuttosto seri e drammatici. Come si possono trattare argomenti di questo tipo? Solamente con il sorriso». Questa coppia padre-figlio che a vederli sembrano più fratelli, saltano tra un pallet e l’altro con i propri strumenti ballando quasi in punta di piedi. Riconsegnano al loro pubblico tutto l’amore verso questo mestiere in uno show in cui, anche se gioca in grande ruolo l’improvvisazione, niente è lasciato al caso. Si incastrano nei controcanti; si cedono i microfoni tra un brano e l’altro. «Il nostro è un duo atipico – continua Canale padre-, perché siano molto simili e solitamente è difficile che le persone simili si mettano a fare cose insieme. Ci diamo battaglia, ma la cosa interessante è che questo gruppo è un gruppo che nasce e muore ogni volta. Noi ci vediamo ogni sei – sette mesi quindi, quando ci incontriamo, tutto quello che facciamo deve essere o grandioso o veramente stupido. Siamo uomini del sud che, a volte, vanno in giro in cerca di fortuna».

Miriam Guinea
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