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Siamo tutti responsabili per la morte di Michele

Stanco di essere senza futuro e senza prospettive, Michele si è tolto la vita. Michele non è un nome di fantasia, era un trentenne friulano che ha voluto scrivere una lettere ai suoi genitori e che…

Pubblicato il: 20/02/2017 – 11:05

Stanco di essere senza futuro e senza prospettive, Michele si è tolto la vita. Michele non è un nome di fantasia, era un trentenne friulano che ha voluto scrivere una lettere ai suoi genitori e che il Messaggero Veneto ha pubblicato perché questa stessa lettera non cadesse nel vuoto. Mia figlia l’ha letta e si è messa a piangere, poi l’ha mandata alla mamma. E giù lacrime anche da lei.
Poi mi è stata girata perché potessi esprimere un giudizio. Non ce l’ho fatta per un paio di giorni. E me la sono tenuta sul telefonino, leggendomela due tre volte a giorno. Devo scrivere qualcosa, mi son detto. Ed eccomi qui. Non so se sono in grado di capire. Almeno ci provo. «Sono stufo di fare sforzi senza risultati, stufo di colloqui di lavoro, stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità. Tutte balle». Cosa avrebbe dovuto scrivere di più, il trentenne Michele. Ma cosa? Bastano queste poche righe per capire il gesto coraggioso di cui è stato capace. E questo perchè pur in possesso di titolo di studio, nel ricco Friuli – non nella povera e derelitta Calabria – non è riuscito a trovare un posto d lavoro. Quella dei giovani è una dimensione nella quale conta la praticità. Cioè bussare alle porte che contano con le mani impegnate a portare il regalo, piccolo o grande che sia, a mettersi a disposizione come fattorino, come tuttofare, come sbriga faccende, come autista in attesa che la matassa si sbrogli e si possa giungere ad una sia pur piccola meta che ti consenta di dire «Toh! Ce la sto facendo, guadagno 400 euro al mese, mi posso comprare una pizza, posso aspirare ad avere una ragazza con cui andare al cinema… a sperare di raddoppiare l’elemosina che anche a Milano mi danno». Invece nulla. Centinaia e centinaia di curriculum inviati, senza risposta alcuna. La praticità, però, non premia i talenti, premia – si fa per dire – i derelitti, quelli che vivono di speranza inutile! Ed a qualche minuto dall’estremo gesto Michele ha scritto che «il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere e nemmeno partecipare. Buona fortuna a quanti si sentono di affrontarlo».
Poi, in un ultimo atto di orgoglio (?) si sente di aggiungere che «quello non era il mondo che gli doveva essere consegnato e nessuno mi può costringere a farne parte. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere…. Io non ho tradito, io mi sento tradito da un’epoca che si permette di abbandonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare…. L’alternativa c’è – sono le sue ultime parole – è quella di smettere…se vivere non può essere un piacere, allora non può diventare un obbligo».
La lettera ai genitori, Michele l’aveva scritta più lunga, con altre considerazioni che ti fanno andare il cuore a mille, che ti fanno sgorgare lacrime continue perché – ha scritto- che «la sua generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Ho resistito finche ho potuto… ».
Non si può aggiungere altro. Non sarei capace. Anche Michele, evidentemente faceva parte di quella schiera di giovani “presi in giro” dai potenti di turno e che sono convinti che è meglio vivere di cento favori da fare che di uno fatto.
Non l’hanno letta in molti questa lettera del Messaggero Veneto, perché ha fatto notizia solo per uno, al massimo de giorni, a differenza della “patata bollente” usata come titolo da Libero per parlare del sindaco di Roma. Quella sì che era una signora notizia! Eppure sono centinaia di migliaia i giovani che anelano ad un posto di lavoro, laureati, con master, con specializzazioni. E rien de rien! Fai la fila, a trecento euro al mese. Altrimenti aspetti che il gallo canti. Oppure che la gallina faccia l’uovo! Giorni fa Paolo Crepet ha scritto alla nuova rubrica di Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera ponendo il problema de giovani senza lavoro. «Se qualche politico volesse porre rimedio ai tre milioni di giovani che non lavorano e non studiano, credo che averne qualcuno a pulire i boschi(non a rubare la legna!) a controllare la sala di un museo o a portare a scuola un bambino in difficoltà, non solo potrebbe riconquistare parte della credibilità perduta, ma offrirebbe alla nostra migliore gioventù un’opportunità per crescere e maturare». E Cazzullo, il notissimo editorialista, poco invitato da talk-show, si è detto pessimista, pur dicendosi d’accordo con Crepet che aveva affermato di votare Sì al referendm, pur di veder cambiare anche la situazione disperata dei giovani, si è detto del parere che ai giovani non è stata data l’opportunità di un’esperienza di vita in comune, al servizio degli altri, se non dello Stato.
E questo perché? A mio sommesso parere, perché i politici non si occupano della cosa pubblica, se non nei momenti liberi dalle diatribe, dalle lotte intestine, dal “mors tua vita mea”! O, forse, dalla sistemazione di qualcuno per il quale non si può fare a meno perché appartiene alle famiglie che “pesano” economicamente a politicamente. Basta guardare i giornali di questi giorni per capire. D’altro canto, diceva il nostro Michele, di “no” come risposta non si vive, di “no” si muore. Perdonaci, Michele, siamo tutti responsabili. Passarsi una mano sulla coscienza, è proprio un dovere, anche a costo di non essere rieletti.

*giornalista

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