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Se la politica abbandona i cittadini

Prescindendo dal parolaismo populista che parla agli stomaci dei cittadini proponendo, però, misure apprezzabili (del tipo il reddito di cittadinanza, che amerei ridefinire di civiltà), sorge il du…

Pubblicato il: 19/03/2017 – 8:02
Se la politica abbandona i cittadini

Prescindendo dal parolaismo populista che parla agli stomaci dei cittadini proponendo, però, misure apprezzabili (del tipo il reddito di cittadinanza, che amerei ridefinire di civiltà), sorge il dubbio che nessuno si occupa dei problemi reali delle persone. Del sistema pubblico non affatto garante del soddisfacimento del bisogno. Questa è la conclusione cui pervengono in tanti tra quelli che guardano i talkshow propinati tutti i giorni sui diversi canali televisivi. Alcuni di qualità, specie quelli del LA7. Altri di scadente valore.
A monte di una tale osservazione vi è il corretto concepimento, per l’appunto, delle necessità concrete della gente (quanto odio questo diverso modo di definire i cittadini nella loro interezza!). 
Al riguardo, taluni alzano troppo il tiro per finire di non accorgersi di chi è già a terra a consumare la propria disperazione. Ciononostante, sono in tanti a parlare di tutto senza capire di cosa. Senza comprendere che l’assenza assoluta del godimento dei servizi fondamentali e delle prestazioni essenziali costituisce di fatto il sintomo della povertà assoluta che – in una al bisogno di casa, di sostentamento alimentare e del vestiario necessario – rappresenta lo stato febbrile che appena precede il «decesso» dei diritti civili e sociali. 
Sulla base della appena anzidetta considerazione, trovo allarmante il mancato approfondimento sul tema dei candidati alla segreteria del Pd. Si preferisce la bagarre, lo scontro a prescindere, senza sviluppare un granché su ciò che c’è da fare per riportare il Paese ad un degno livello di percezione dei diritti di cittadinanza.
Un dovere politico irrinunciabile, quello di dire la sua su un tale imprescindibile argomento, per un candidato alla segreteria di quello che è (alcuni dicono che era) il più grande partito italiano, con tantissima esperienza alle spalle, della quale però nessuno è capace di fare tesoro.
Un candidato che si rispetti, infatti, deve dire ciò vuole fare in proposito, differenziandosi in tal senso dal M5S che promette il cambiamento senza tuttavia dire come, preoccupando l’elettorato con la prova di incapacità che sta offrendo su Roma dove alla predica segue il più brutale flop nelle scelte dei collaboratori e dei risultati. Un vero peccato che i pentastellati non abbiano saputo, all’epoca, abbinare la loro verve con la esperienza politica e di governo del Pd, proponendo al Paese la soluzione che gli occorre per divenire luogo ideale di esigibilità dei diritti fondamentali. 
Le cose (purtroppo) sono andate in modo diverso. Tocca ad entrambi fornire una dimostrazione preventiva all’esame elettorale fissato per il prossimo anno di ciò che si vuole e di come realizzarlo.
Da qui, nel Pd – chiamato a celebrare il più difficile congresso di sempre – i ritardi dei candidati nel rappresentare il proprio progetto di partito e di Paese. Un dato, quest’ultimo, indispensabile per chi – come me – da non iscritto intende contribuire, con il proprio voto, alle scelte. Un’opzione impossibile da esercitarsi nei confronti delle politiche pentastellate, attesa l’ambiguità delle procedure informatiche cui viene rimessa esclusivamente la relativa manifestazione del consenso/dissenso. In quanto tale non universale e poco laico, perché aperto solo agli aderenti avvezzi alle tastiere. 
Dunque, sanità, assistenza sociale, trasporti pubblici locali, scuola, ma soprattutto finanza locale e governo del territorio costituiscono i temi caldi sui quali Renzi, Emiliano e Orlando dovranno fornire la loro ricetta. Meglio su cosa e come faranno a generare la differenza con ciò che (non) si ha oggi, in specie in quel Mezzogiorno che vota, masochisticamente e tanto, in siffatti appuntamenti. In proposito non sarebbe affatto male che gli stessi leggessero attentamente quanto scritto da monsignor Galantino su Il Sole 24 Ore di ieri in un pezzo dal titolo «Se il riscatto del Sud passa dai valori». Una grande lezione di vera politica di sviluppo per la parte debole del Paese!
Oltre alle politiche nazionali che involgono i grandi temi, dovranno fornire – considerate peraltro le loro brillanti esperienze di governo locale – le loro idee sulle politiche aggregative locali (per esempio, fusioni) e sui modi per rimediare alla crisi di liquidità accentuata dalle restituzioni alla Cassa depositi e prestiti. Dire chiaramente cosa faranno delle Province; della modifica del Titolo V, parte II, della Costituzione; del bicameralismo e della necessità di creare una Camera delle autonomie di superamento al sistema delle inutili Conferenze.
Non solo. Dovranno dire cosa faranno delle Regioni, da più parti messe in discussione. A tal proposito si renderà necessario capire se c’è idea di creare macro-enti territoriali. Di chiarire che nel Mezzogiorno si farà di tutto per evitare governatori che non sappiano fare bene il loro mestiere. Ma soprattutto che le leadership istituzionali non vengano consentite a quei soggetti, invero molto frequenti, incapaci di scegliere il meglio perché portati a premiare chi riesce a dire sempre sì, persino chi lo fa addirittura prima che venga posta loro la domanda e/o la richiesta relativa.
Spero proprio di andare a votare dopo avere letto e digerito tutto questo.

*Docente Unical

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