Delitto di Cocò, il presunto killer: «Non ho ammazzato nessuno»
COSENZA «Io non ho ammazzato nessuno». Ha rilasciato dichiarazioni spontanee Faustino Campilongo, uno degli imputati nel processo sulla morte del piccolo Cocò Campolongo in corso nel Tribunale di Cos…

COSENZA «Io non ho ammazzato nessuno». Ha rilasciato dichiarazioni spontanee Faustino Campilongo, uno degli imputati nel processo sulla morte del piccolo Cocò Campolongo in corso nel Tribunale di Cosenza. Il bambino di soli tre anni è stato ucciso e bruciato in auto nel gennaio 2014, a Cassano allo Jonio, con il nonno Giuseppe Iannicelli e la compagna marocchina di questi Ibtissam Touss. Sul banco degli imputati ci sono Cosimo Donato detto “Topo” e, appunto, Faustino Campilongo detto “Panzetta”. I due sono accusati di triplice omicidio. In particolare, secondo l’accusa contestata dalla Dda di Catanzaro, i due avrebbero attirato in una trappola Giuseppe Iannicelli, per conto del quale spacciavano droga, perché divenuto un personaggio scomodo per la cosca degli Abbruzzese e anche per aumentare il proprio potere criminale. Il piccolo Cocò, secondo la ricostruzione fatta dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Cosenza, sarebbe stato ucciso perché il nonno lo portava sempre con sé, come uno “scudo umano”, per dissuadere i malintenzionati dal colpirlo. Dopo il triplice omicidio, gli assassini bruciarono l’auto di Iannicelli con all’interno i tre corpi.
IL LUNGO RACCONTO DI MESSINA Martedì mattina è stato ascoltato per primo Marcus Messina – compagno della donna che ha avuto una relazione con Cosimo Donato – che ha riferito alla Corte (presieduta dal giudice Giovanni Garofalo, a latere la collega Francesca De Vuono) che sospettava che ci fosse stata una relazione tra la sua attuale compagna e Cosimo Donato. «So che Cosimo Donato – ha detto il teste rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Vincenzo Luberto (che rappresenta la pubblica accusa assieme al collega Saverio Vertuccio) – vendeva la droga a Firmo assieme a “Panzetta” ma non so da chi la prendevano. Ho visto diverse volte Peppe Iannicelli a Firmo, ma non l’ho visto prendere soldi da “Panzetta” e Cosimo Donato. L’ho visto camminare con Donato e Campilongo ma non so che cosa facessero. Io non ho dichiarato che vendevano droga e che facevano pestaggi. Parte del verbale è vera e parte no. “Panzetta” era sposato con la ragazza di colore uccisa con Iannicelli. Peppe Iannicelli aveva una Fiat Punto, lo vedevo venire in macchina con il nipotino. Ma non ho mai dichiarato che la donna marocchina e il piccolo venissero usati come scudo da Iannicelli. Ogni dieci giorni circa vedevo Peppe Iannicelli a Firmo: andava sempre nello stesso bar».
Messina ha riferito anche del “progetto” del pentito Michele Bloise (ex convivente della sua compagna) di uccidere lui e la sua compagna e poi rivolgendosi al procuratore Luberto ha detto: «Mi fu detto da voi che se dicevo che Cosimo Donato aveva commesso l’omicidio sarei stato messo sotto protezione e avrei avuto uno stipendio al mese». Il procuratore Luberto ha chiesto alla Corte di acquisire il verbale, reso in sede di indagine, perché il «teste è reticente poiché intimorito». Una richiesta a cui si sono associate le parti civili e si sono, invece, opposte le difese. La Corte ha disposto di proseguire con il controesame del teste e si è riservata di decidere sull’acquisizione del verbale. Rispondendo alle domande delle difese – rappresentate dagli avvocati gli avvocati Ettore Zagarese, Mauro Cordasco e Vittorio Franco -, Messina ha precisato di non avere paura ma di avere avuto solo stanchezza. «La mia compagna – ha precisato – non si è sentita bene dopo la deposizione e per questo non ha potuto fare il confronto con Bloise. Non ha paura e nessuno è venuto a intimidirci».
IL FRATELLO DI PEPPE IANNICELLI La Corte ha poi ascoltato Battista Iannicelli, fratello di Giuseppe Iannicelli, il nonno di Cocò. «Cosimo Donato e Faustino Campilongo prendevano la droga da mio fratello. Mio fratello si arrabbiò con loro quando venne a sapere che prendevano la droga dagli Zingari. Sono stati loro a imporlo a Donato e Campilongo: questo lo seppi da mio fratello dieci giorni prima che morisse. Donato e Panzetta lasciavano intendere che togliendosi davanti mio fratello sarebbero diventati loro i capi di Firmo: non lo volevano più e gli hanno organizzato una trappola. Incontrai i due dopo la morte di mio fratello in un bar circa un mese dopo: andò loro bene perché non sospettavo ancora nulla. Io volevo fare a loro quello che hanno fatto a mio fratello».
IL PENTITO PANARINFO Come ultimo teste è stato sentito il collaboratore di giustizia Daniel Panarinfo. «Sono detenuto dal 2016 – ha detto -, ho conosciuto Falbo a Torino. E gli dissi di avere sentito parlare di Campilongo da Bruno Nirta quando in tv si parlava dell’omicidio di Cassano. Nirta mi disse che a commettere il triplice delitto era stato Faustino Campilongo per entrare a far parte del clan degli Zingari. Bruno Nirta mi disse che Faustino Campilongo era stato esecutore materiale. Non mi disse da chi lo aveva saputo ma che l’omicidio si era svolto in ambito ‘ndranghetistico. Nirta fa parte del clan di Reggio Calabria: è un santista. Io non sono stato “battezzato”: doveva farlo lui che sarebbe diventato il mio padrino. C’era un servizio in tv che parlava di questo omicidio, mi disse che era stata commessa una schifezza. Era la prima volta che sentivo parlare del clan degli Zingari. Io con Domenico Falbo parlai in carcere. In carcere c’era un certo Campilongo. Il servizio diceva che l’omicidio era avvenuto in provincia di Cosenza e ho dedotto che quel Campilongo fosse della provincia di Cosenza. Io a Falbo dissi solo questo nulla di più e lui non mi disse altro. Campilongo non mi disse mai nulla. Non ho mai sentito parlare di Cosimo Donato».
LE DICHIARAZIONI DI CAMPILONGO Faustino Campilongo, al termine di una lunga e complessa udienza, ha rilasciato dichiarazioni spontanee, collegato in videoconferenza: «Io non ho ammazzato nessuno. Ho solo rubato per mangiare. Presidente, sono innocente. Guardate bene le carte. In carcere sto male: sono in isolamento». Il processo è stato aggiornato al prossimo 5 aprile.
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it