“Tocca a me, tocca a te; adesso ritocca a me, ora ritocca a te!”. Siamo alle solite, mentre nel resto del paese le forze politiche e dell’associazionismo si sforzano per perseguire l’onda del cambiamento, in Calabria e nello specifico a Paola, succede tutto e il contrario di tutto: incontri tra la gente in cui si esalta il nulla; coalizioni composte da persone che, da decenni, della politica ne hanno fatto una professione; totale assenza di un dibattito schietto e costruttivo tra i diversi schieramenti che, anziché rappresentare i differenti nodi di quella rete istituzionale funzionale a soddisfare l’interesse della collettività, portano avanti logiche campanilistiche e/o personalistiche (rectius etichette di “nemici” politici a rappresentanti istituzionali che, al contrario, dovrebbero rappresentare il valore aggiunto di una comune azione politico/amministrativa). Questo per dire che la parola d’ordine da perseguire è una: cambiamento. Significato, quest’ultimo, molto in voga negli ultimi tempi ma che alle nostre latitudini è sinonimo (ahimè) di accordi con il passato e impegni puntualmente disattesi.
Ciò premesso, l’auspicio è quello di una campagna elettorale che, messo da parte l’astio e il rancore, possa diventare competizione di idee tesa a favorire lo scontro di saperi e competenze e per cui il cittadino, dimostrando maturità e senso di responsabilità, si elevi al duplice e indispensabile ruolo di proponente e giudice.
Questo poiché il futuro primo cittadino dovrà percorrere parallelamente i binari della condivisione e del rinnovamento. Del resto lo penso da tempo: una città a vocazione europeista e non più esclusivamente locale deve poter garantire le più ampie forme innovative di partecipazione della collettività. Gli strumenti (bilanci partecipativi, giurie, rendicontazione sociale, E-democracy, CSR) che la normativa mette a disposizione sono garanzia del principio di sussidiarietà orizzontale; non a caso la legge delega 124/2015 (c.d. riforma Madia) di riforma della pubblica amministrazione va in questa direzione: l’introduzione del FOIA, ad esempio, prevede maggiore efficienza, trasparenza e partecipazione dei cittadini all’attività della PA.
Rinnovamento che dovrà interessare necessariamente l’intera burocrazia comunale. Quest’ultima, composta da dipendenti pubblici di serie A, ovvero costretti ad operare in condizioni di difficoltà logistico-organizzative, sarà interessata da processi di formazione continua adatti a definire una struttura snella, funzionale, meritocratica e digitale. Ciò sperimentando, tra l’altro, esempi di politiche di conciliazione famiglia-lavoro, nei limiti di legge e della contrattazione collettiva, utili ad accrescere il benessere dei dipendenti e la produttività degli stessi. Recenti ricerche hanno confermato, di fatto, i benefici economici e non economici, diretti e indiretti di tale scelta, oltre che rappresentare la mission sociale di ogni buona amministrazione.
Gli stessi dovranno essere coinvolti sin da subito nel riequilibrio chirurgico dei conti e nella previsione di stesura del bilancio consolidato, come previsto dal d.lgs 118/2011 di armonizzazione dei sistemi contabili di regioni ed enti locali, divenuto ormai obbligatorio.
Per dirla diversamente, si dovrà avere il coraggio di accantonare la politica delle poltrone da occupare e delle promesse disattese a cui sono affezionati, da anni, molti politici locali, ad esclusivo beneficio delle buone pratiche di governo; infatti i prossimi amministratori – i preamboli non sono tuttavia dei migliori – dovranno semplicemente bandire i “fuoriclasse” del clientelismo e dell’inadeguatezza, dimostrando di poter cambiare e innovare la cultura amministrativa, dal momento che solo così saranno in grado di poter realizzare il proprio programma di governo (ammesso che ci sia) – infrastrutture, turismo, occupazione, assistenza sociale, sicurezza, ambiente
etc. – e garantire i livelli essenziali delle prestazioni che la Carta costituzionale, oltre che allo Stato, attribuisce agli enti territoriali.
*specializzando PA
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