La cosa più interessante e, per altri versi, “preoccupante” che si sta registrando in questi giorni nel Pd calabrese è l’insediamento della “corrente” dei Ricostituenti. Interessante perché finalmente si sente parlare di politica. Preoccupante perché gli attori – con i suoi Agazio Loiero, Sandro Principe, Carlo Guccione, Peppino Vallone, Demetrio Naccari Carlizzi, Mario Franchino e Cesare Marini – non rappresentano per lo più la nuova generazione. Quel segmento anagrafico sul quale un partito dovrebbe invece investire ma non lo fa perdendo così credibilità quotidianamente.
Il partito odierno vive l’anomalia di autodistruggersi dando spago ai peggiori di sempre. Un partito che potrebbe guadagnare la sua nuova gestione partendo dai suoi migliori di ieri, che si fa male a non utilizzare anche per il domani, confusi tra i più bravi di oggi (del tipo quelli che si dimettono in massa a Catanzaro) a fare loro formazione politica. Soprattutto per generare e accompagnare una nuova e valida classe dirigente nella gestione della res publica e nella progettazione politica.
Si farebbe male a non dare il corretto peso ai Ricostituenti. Lo dico non perché coetaneo di molti di loro (al riguardo non si arrabbino Demetrio e Carlo, di gran lunga più giovani!) bensì perché sono gli unici a dire cose sagge. E ancora. Conoscono bene la storia, la geografia e l’italiano. Hanno un passato di buoni amministratori locali. E soprattutto, sono capaci di tradurre i disagi sociali e interpretare fedelmente il dissenso che i calabresi nutrono nei confronti dell’attuale gestione della Regione, la peggiore registrata negli ultimi anni.
Un’occasione utile da non perdere per due ordini di motivi: sapere coniugare il futuro con il migliore passato, con quello che – tra alti e bassi – ha fatto sì che la Calabria di centrosinistra abbia prodotto buoni risultati in termini di conduzione politica dei rispettivi partiti ma soprattutto di esemplare gestione delle Città e dei rispettivi territori; ridare smalto al sistema autonomistico territoriale, a cominciare dalla Regione, dopo un periodo, che trova l’apice negativo in quello attuale, di appiattimento del dibattito e del confronto, di sbiadimento delle idee e di connivenze non propriamente accettabili.
Non solo. Riconoscendo il necessario spazio all’iniziativa dei Ricostituenti, potrà tornare utile sia il raccordo con chi ha smesso di credere nella politica, disperdendosi nei meandri occupati dagli urlatori, che rintracciare qualche riferimento, dentro o fuori dalle loro fila, da erigere a prossima candidatura alla Presidenza della Regione. Un leader che avrà l’arduo compito di contendere una destra che sembra essere già attrezzata di protagonismi di pregio politico e tecnico.
Su tutto, dovrà dominare il programma che, senza il contributo di chi ha maturato esperienze istituzionali, sarà davvero difficile a concretizzare. Esso dovrà riguardare soprattutto le riforme che si intenderanno proporre ai cittadini, a cominciare da comportamenti da offrire alla collettività. Dunque, necessiteranno facce e culture più presentabili, distacchi da interessi di parte, propensione al colloquio e al confronto nonché tanta conoscenza di quello che serve per la ineludibile mutazione dell’Istituzione regionale. Quest’ultima dovrà, infatti, essere resa scevra da ogni forma di corruzione, ancora oggi al riparo a causa di una diffusa omertà e disattenzione. Nondimeno, dovranno proporsi al vaglio degli elettori, a cominciare da subito: la propensione ad accettare le regole del federalismo a geometrie variabili, reverse rispetto al dettato di cui all’art. 116 Costituzione; la volontà di ridisegnare la geografia delle autonomie territoriali; l’intelligenza di progettare, con forti dosi di autocritica (Sorical in testa), il sistema delle partecipate e di rendere la Regione l’istituzione più leggera possibile; di conseguenza, l’impegno di dedicare ogni sforzo della Regione a programmare, legiferare e controllare i processi e il prodotto burocratico, sino ad oggi affidato ad una dirigenza che, notoriamente, non brilla.
*Docente Unical
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