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L'Antimafia: «Il 15% dei massoni è rimasto occulto»

REGGIO CALABRIA Per l’ennesimo anno la ‘ndrangheta si conferma come «l’organizzazione criminale più ricca, agguerrita e potente», con solide radici in Calabria, dove «esercita un asfissiante contro…

Pubblicato il: 21/02/2018 – 15:30
L'Antimafia: «Il 15% dei massoni è rimasto occulto»

REGGIO CALABRIA Per l’ennesimo anno la ‘ndrangheta si conferma come «l’organizzazione criminale più ricca, agguerrita e potente», con solide radici in Calabria, dove «esercita un asfissiante controllo del territorio e delle attività economiche e della pubblica amministrazione», ma con solide radici «in tutte le regioni del Paese, anche se con gradi di penetrazione differenti» e «un marcato profilo transnazionale».
Si tratta di un’organizzazione criminale «affaristica, dinamica, duttile, flessibile, profondamente infiltrata anche nel vitale tessuto delle realtà più ricche e dinamiche del paese». Nella sua relazione conclusiva, la commissione parlamentare antimafia parte da un’amara constatazione: nonostante arresti e condanne, la ‘ndrangheta rimane forte e ramificata, dunque – emerge dal testo – l’attività repressiva deve essere supportata e accompagnata da chirurgici interventi legislativi, tesi in primo luogo ad arginare la capacità delle mafie di costruire il proprio capitale sociale.

INTERVENIRE SUL METODO Dopo un’intensa attività – 245 sedute, più del doppio di quelle della precedente legislatura, 130 riunioni dei comitati di lavoro, 315 audizioni e 104 missioni in Italia e all’estero, che hanno portato a 17 relazioni approvate all’unanimità e due proposte di legge (la riforma organica del codice antimafia e del sistema di protezione dei testimoni di giustizia entrambe già in vigore – la commissione è arrivata a una conclusione: «La modernità delle mafie consiste nel fatto che esse si svincolano dalle condizioni storiche che le hanno prodotte e diventano un metodo, il metodo mafioso, che consiste nell’uso della violenza come arricchimento e potere attraverso le relazioni politiche, sociali ed economiche, in qualsiasi epoca. Il metodo mafioso è, dunque, la capacità della violenza di influire sui gangli vitali dell’economia, della società e della politica, di fare della violenza (agita o minacciata) un “instrumentum regni”».

LE MAFIE GRIGIE Non più confinate nelle regioni d’origine, ma spalmate su tutto il territorio nazionale, caratterizzate da un progressivo abbandono della violenza, in favore di un’accentuata vocazione imprenditoriale cui hanno dato espressione grazie alla collusione a alla complicità di professionisti di diversa estrazione, le mafie hanno cambiato pelle. E sull’area grigia hanno costruito una solida base per consolidare ed espandere il proprio potere. «Il ricorso alla violenza e all’intimidazione – si legge nelle carte – tende a smorzarsi per lasciare il passo alla costruzione di legami di cointeressenza che coinvolgono imprese, pubblici funzionari, categorie professionali, politici e altri attori».

SPAZIO RELAZIONALE DI CONFINE Un aspetto centrale – spiega la relazione – «nel definire l’ultima dimensione che connota le trasformazioni delle mafie, collocandole all’interno dell’area grigia, intesa come lo spazio relazionale al confine tra sfera legale e illegale, laddove si costituiscono intrecci criminali con diversi e cangianti livelli di contiguità e complicità tra soggetti eterogenei per interessi, ruoli e competenze. Nella prospettiva delineata anche in alcuni studi scientifici, i mafiosi non sono altro rispetto all’area grigia, ma si collocano al suo interno».

INTRECCI Ed è proprio sui diversi terreni di costruzione dell’area grigia – in campo economico, politico, imprenditoriale, sociale – che la commissione ha investigato. Ed è un’economia malata, con sempre più soggetti inclini a entrare in rapporti e in affari con le mafie non solo in Calabria, ma su tutto il territorio nazionale quella che emerge dalla relazione. La fame imprenditoriale del clan, emerge dalla relazione, non conosce confini né regionali, né settoriali, non distingue lavori pubblici e lavori privati. Si impone in qualsiasi capo possa riuscire a trarre margine di profitto.
«Non c’è settore, dalle costruzioni al turismo, dal commercio alla ristorazione, dal gioco d’azzardo legale allo sport, in cui le imprese mafiose non abbiano investito » dicono i parlamentari.

ALLARME SANITÀ Particolare allarme, si legge, suscita l’infiltrazione nel settore sanità, pesantemente infiltrato non solo in Calabria e Campania, dove sono stati già segnalati sette casi. «L’aggressione mafiosa al sistema di welfare – segnala la commissione – è dettata da molteplici interessi che vanno dalla possibilità di riciclare e reinvestire capitali illeciti all’inserimento di persone affidabili tra il personale di ospedali e Asl, luoghi ideali anche per svolgere incontri riservati, fino al ricorso a medici e professionisti compiacenti per ottenere perizie o certificati sanitari falsi. Ma il mondo sanitario è soprattutto una fonte di legittimazione sociale e di potere, un bacino ideale per consolidare il consenso». A pagarne le spese sono i cittadini, perché «le mafie non hanno alcun interesse al buon funzionamento del sistema, al contrario prosperano laddove si manifestano inefficienza e opacità delle procedure, dove prevale il disordine amministrativo e l’assenza di controlli, dove l’autonomia dei livelli politici e gestionali si traduce in discrezionalità, dove il merito lascia il posto al clientelismo».

COMPLICITÀ DI SISTEMA In questo, aggiunge la commissione, le organizzazioni mafiose sono state aiutate da impoverimento delle professionalità negli apparati amministrativi, crescente privatizzazione di servizi ed esternalizzazione del personale, frammentazione dei modelli organizzativi, frutto di un regionalismo non governato, che ha prodotto un’eccessiva varietà nelle legislazioni regionali. A questo si aggiunga che molto spesso a far da sponda agli uomini dei clan sono le amministrazioni comunali, teatro di « preoccupanti episodi di corruttibilità in seno alla pubblica amministrazione e alla politica, con le quali le mafie si relazionano con estrema spregiudicatezza e senza fare differenze tra schieramenti e partiti politici».
Ma quello che più di tutti ha dato da lavorare ai parlamentari della commissione, anche a causa della palese reticenza dei suoi adepti, è stata la massoneria. Finita al centro delle attività della commissione in seguito ad una serie di inchieste che hanno messo in luce l’infiltrazione mafiosa delle logge, la massoneria italiana, rappresentata dalle quattro principali obbedienze, si è mostrata molto poco disponibile ai controlli della commissione. Solo tramite sequestro, disposto dalla presidente Rosy Bindi, è stato possibile accedere agli elenchi degli iscritti e più di una criticità è saltata fuori.

ELENCHI ALLARMANTI Secondo quanto emerso dal lavoro che su quei dati la commissione ha fatto, insieme agli investigatori della Dia e ai magistrati della Dna, gli elenchi ufficiali sono risultati incompleti e inattendibili e non hanno permesso di identificare un’alta percentuale (circa il 15%) di iscritti rimasti occulti grazie a generalità incomplete, inesistenti o nemmeno riportate. In più, molti “fratelli” di diverse logge sciolte sono risultati vicini o legati ai clan, si è rilevata una presenza non trascurabile di iscritti alla massoneria all’interno di enti commissariati per mafia, quali comuni e aziende sanitarie locali, nonché di un numero non indifferente di iscritti coinvolti in vicende processuali, in procedimenti di prevenzione, giudiziari o amministrativi, compresi alcuni condannati per mafia in via definitiva.

IL PROBLEMA È IL SEGRETO «La reticenza mostrata dai gran maestri nel corso delle audizioni e il rifiuto di ammettere la possibile permeabilità rispetto a infiltrazioni criminali – si legge nella relazione – segnalano una sottovalutazione che può sconfinare in pericolosa tolleranza, peraltro incoraggiata dalle caratteristiche strutturali dell’associazionismo massonico». Nocciolo del problema, spiegano i
parlamentari, il dovere della segretezza, «perno della vita interna delle obbedienze massoniche e con i suoi corollari dei vincoli gerarchici e di fratellanza, della legge e della giustizia massoniche intese come ordinamento prevalente e separato da quello dello Stato», che per i parlamentari «crea un contesto particolarmente fertile alle infiltrazioni mafiose».

I MATTONI DELLA ZONA GRIGIA Dice al riguardo la relazione: «Se la realizzazione, o il tentativo di realizzazione, dei programmi criminosi avviene in un contesto riservato, chiuso a ogni interferenza statale, ciò non può che agevolare i disegni mafiosi che rimangono sottotraccia, oscurati dai valori massonici e tutelati dalla privacy riconosciuta alle associazioni di diritto privato».
Per questo, mettono nero su bianco nella relazione, «è il segreto, con tutte le sue appendici, che consente l’incontro tra le due formazioni, una illecita e l’altra lecita, al di fuori di qualunque controllo esterno e dando luogo a una “zona grigia” in cui massoni e mafiosi convivono ma della quale nessun altro conosce dimensioni e operatività». Un rischio ancora maggiore se è vero che nella logge è stata accertata la presenza di diversi pubblici ufficiali, che «in virtù dei vincoli di segretezza e fratellanza, possono agevolare anche inconsapevolmente interessi e condotte illegali».

PROBLEMA DELLA MASSONERIA Non si tratta – e forse è questo il passaggio più importante dell’intera relazione – di problemi che riguardino solo la massoneria deviata, ma tutte le logge e tutte le obbedienze. Da qui nasce la proposta di legge con cui la commissione parlamentare antimafia si propone di «armonizzare la massoneria ufficiale con l’ordinamento giuridico e per attuare pienamente il dettato costituzionale».

PROPOSTE DI RIFORMA Per i parlamentari, «l’articolo 18 della Costituzione stabilisce che “sono vietate le associazioni segrete”, in quanto tali; è pertanto auspicabile una modifica della legge n. 17 del 1982 (Legge Spadolini), introdotta dopo lo scandalo P2, che in realtà ha finito per vietare e punire solamente quelle associazioni segrete che svolgono attività dirette a interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali e di amministrazioni pubbliche. Paradossalmente, ciò ha contribuito a moltiplicare il numero delle logge ufficiali e ad aumentare, in mancanza di controlli, il loro coefficiente di segretezza». È un lascito, quello della commissione, che, se sviluppato, è destinato a disturbare molti, potenti affratellati che si nascondono dietro i grembiuli. Al prossimo Parlamento la scelta di raccogliere o meno il testimone.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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