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'Ndrangheta banking, condanne anche in Appello

REGGIO CALABRIA Passa sostanzialmente indenne lo scoglio della Corte d’appello l’inchiesta “’Ndrangheta banking” che ha svelato il gigantesco sistema di credito parallelo gestito dai clan Condello e…

Pubblicato il: 28/02/2018 – 17:07
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'Ndrangheta banking, condanne anche in Appello
'Ndrangheta banking, condanne anche in Appello

REGGIO CALABRIA Passa sostanzialmente indenne lo scoglio della Corte d’appello l’inchiesta “’Ndrangheta banking” che ha svelato il gigantesco sistema di credito parallelo gestito dai clan Condello e Pesce-Bellocco e come il milanese sia divenuto il principale terreno di reinvestimento dei profitti illeciti delle cosche reggine. Sebbene le pene siano state lievemente ridimensionate, tutte le condanne decise in primo grado dal gup Davide Lauro sono state confermate dai giudici della Corte.
Dovrà scontare 13 anni e 10 mesi l’ambasciatore dei clan, Gianluca Favara (in primo grado 17 anni e 4 mesi), 9 anni e 8 mesi sono andati invece a Fortunato Danilo Paonessa (in primo grado 12 anni e 4 mesi), mentre è di 9 anni e 6 mesi più 1600 euro di multa la pena decisa per Giuseppe Codispoti (in primo grado 11 anni). Otto anni e 4 mesi più 1400 euro di multa sono andati a Francesco Buda (in primo grado 11 anni), mentre è di 6 anni la condanna inflitta a Francesco Foti (in primo grado 9 anni). Caduta l’accusa di estorsione, è stato invece condannato a 5 anni e 6 mesi più 12mila euro di multa Carlo Avallone, difeso dall’avvocato Francesco Iacopino. Confermata la condanna a 4 anni per Vincenzo Pesce.

ESCLUSIONE DELLE PARTI CIVILI Accogliendo l’istanza dell’avvocato Iacopino sono state anche estromesse dal giudizio la presidenza del Consiglio dei ministri, il ministero dell’Interno e la Regione Calabria, perché la loro costituzione formalizzata il primo grado è stata dichiarata inammissibile. Per cui anche il risarcimento del danno nei loro confronti a cui gli imputati erano stati condannati dal gup è stato revocato.

CARTINA TORNASOLE Decisioni che non intaccano il quadro generale dell’inchiesta e solo parzialmente riducono la durezza delle condanne, soprattutto alla luce dello sconto di un terzo di pena proprio del rito abbreviato scelto dagli imputati. Una conferma importante anche per i futuri sviluppi investigativi, perché l’inchiesta non è che la naturale evoluzione di quelle inchieste che hanno svelato i nuovi assetti ed equilibri della ‘ndrangheta reggina e il direttorio che li governa. A dare conferma alle più recenti indagini – aveva affermato il pm Giuseppe Lombardo nel corso della requisitoria – non sono solo giudicati definitivi e non, ma anche figure come Gianluca Favara, che di quegli equilibri e del sistema che governano è nume tutelare. «Favara non è una figura qualsiasi nel panorama della ‘ndrangheta reggina – aveva sottolineato Lombardo – è una figura di collegamento che si attiva soprattutto nei passaggi più delicati per l’organizzazione, che possono minare l’equilibrio mafioso».

APPALTO CONTESO Il riferimento è a quell’appalto del Comune di Rosarno su cui gli imprenditori Barbieri – storicamente vicini alle famiglie del gotha del mandamento di centro – avevano messo le mani, provocando le ire dei Pesce, “padroni” della città della Piana, che avevano già messo gli occhi su quel lavoro, programmando di affidarlo alla ditta formalmente intestata a Biagio Maduli. Una situazione disinnescata proprio dall’ambasciatore Favara, ma che tanto i Barbieri, tanto i Pesce, che cercano subito e in maniera confusa l’interlocuzione con il mandamento centro, si affrettano a chiarire, chiamando in causa il gotha della ‘ndrangheta o i loro diretti emissari. «Favara – aveva aggiunto l’allora pm Giuseppe Lombardo ricostruendo la vicenda – è una figura imprescindibile di un sistema che non si manifesta attraverso le riunioni dei grandi capi, ma attraverso gli ingranaggi fondamentali, come quello rappresentato da Favara».

AUTOMATISMI DI SISTEMA Ma quell’appalto conteso – aveva evidenziato il magistrato – è anche una vicenda paradigmatica degli “automatismi” previsti dal sistema che regola i rapporti fra le ‘ndrine, come pure del particolare momento storico vissuto all’epoca dai clan cittadini. I “diritti” dei Barbieri su quel lavoro diventeranno infatti oggetto di contenzioso anche fra i clan reggini dei Tegano e De Stefano, da sempre federati e a pieno titolo parte del direttorio della ‘ndrangheta reggina, ma in quel 2008 sempre più divisi. Indizi precisi su un sistema criminale in grado di convertirsi in sistema finanziario privato in grado di porsi come interlocutore affidabile e necessario per una platea di imprenditori che non hanno o non hanno più accesso al credito.

LA BANCA DELLE ‘NDRINE Quella gestita dai clan Condello e Pesce-Bellocco di Rosarno, tramite personaggi come Gianluca Favara e Pasquale Rappoccio era una vera e propria banca parallela, in grado di costringere quattro imprenditori – due calabresi e due lombardi – ad attraversare le forche caudine del credito fornito dai clan». E non solo per gli interessi maturati sul prestito, che – hanno scoperto gli investigatori – toccavano punte anche del 20%. Per il clan l’obiettivo principale era appropriarsi delle imprese. È quello che è successo con la Makeall dell’imprenditore Agostino Augusto, titolare anche di cinque case di cura, già finito al centro dell’operazione “Mentore” della Dda milanese. Tentato dal prestito dei clan, trascinato fino in Calabria, terrorizzato e minacciato, Augusto nel giro di pochi mesi si trasforma da rampante imprenditore in impaurita marionetta nelle mani di Favara e dei suoi sgherri che sul suo impero puntano a mettere le mani proprio tramite Pasquale Rappoccio.

IMPRESE IN MANO AL CLAN Presentato all’imprenditore milanese in difficoltà come un «amico competente per materia», in grado di fornire in fretta le attrezzature mediche necessarie all’allestimento di tre case di cura, l’ex rappresentante della Medinex era stato chiamato in realtà a rilevare a prezzi stracciati l’ormai zoppicante Makeall spa. Una manovra a tenaglia che avrebbe visto da una parte Favara mettere spalle al muro con pressioni fisiche e verbali l’ingegnere milanese – Augusto finirà due volte in ospedale – dall’altra, Rappoccio chiamato a presentarsi come unico interlocutore finanziario disponibile. Una strategia che seguiva un «copione – affermano gli inquirenti milanesi – oramai consolidato nel modus operandi della ‘ndrangheta calabrese», in grado di penetrare l’economia e la società lombarda affondando come un coltello nel burro. Circostanze che per il pm vanno valutate al di là della singola contestazione, ma in base alla funzionalità che esse mostrano di avere per il sistema che le genera.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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