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NEMEA | Il boss ossessionato dai carabinieri

VIBO VALENTIA Leone Soriano nutriva un astio profondo nei confronti dell’Arma dei carabinieri, di quelli della stazione di Filandari in particolare, e il più disprezzato era il maresciallo Salvatore…

Pubblicato il: 09/03/2018 – 15:49
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NEMEA | Il boss ossessionato dai carabinieri
NEMEA | Il boss ossessionato dai carabinieri

VIBO VALENTIA Leone Soriano nutriva un astio profondo nei confronti dell’Arma dei carabinieri, di quelli della stazione di Filandari in particolare, e il più disprezzato era il maresciallo Salvatore Todaro, comandante della stazione che aveva condotto le indagini contro la cosca Soriano ed era stato sentito in udienza come testimone dell’accusa. Leone Soriano covava il proprio odio già nel carcere di Secondigliano dal quale aveva mandato una cartolina alla stazione dei carabinieri piena di insulti contro Todaro, appellato come «falso», «buffone», «vergognati ladrone, impiccati cane» e, soprattutto, lo accusava di essere «corrotto e legato ai Mancuso». Cercare di screditare Todaro era un chiodo fisso per Leone Soriano che il 18 gennaio 2018 chiama al 112 da una utenza telefonica non sua facendo una segnalazione anonima, ossia che al collaboratore di giustizia Giuseppe Antonio Accorinti non era stata notificata la misura della sorveglianza speciale, perché l’uomo era irreperibile, e l’omissione era da attribuire al maresciallo Todaro. «Siccome so che andate cercando al collaboratore di giustizia Accorinti, per notificargli la sorveglianza, e sta a 500-600 metri dalla caserma di Filandari tutti i giorni, il maresciallo Todaro non lo va a trovare perché è corrotto con lui», dice al carabiniere che risponde alla chiamata.

LA PREPARAZIONE DELL’ATTENTATO Il rancore contro i militari di Filandari sembra proprio un chiodo fisso per Leone Soriano che, uscito dal carcere il 4 settembre 2017, dopo avere scontato una pena per estorsione, decide di pianificare con il sodale Francesco Parrotta un agguato da mettere a segno nei confronti di Todaro – studiando i locali della caserma, nella parte relativa agli alloggi di servizio – con l’uso di una macchina rubata. La cosca di certo disponeva di armi e ordigni: gli attentati intimidatori che numerosi si erano susseguiti in pochi mesi ai danni di commercianti e imprenditori ne erano la prova. In un primo momento si pensa anche di incendiare la macchina del maresciallo che, però, sta chiusa in un garage e la cosa non convince molto il gruppo. Il piano è vasto e diversificato, scrivono i magistrati della Dda che giovedì hanno dato esecuzione al fermo di sette persone legate alla cosca, compreso lo stesso Leone Soriano. Il pericolo è che sotto il tiro del clan vi fossero tutti coloro che «assolvendo al proprio dovere di testimoni, hanno deposto in udienza nei confronti della famiglia Soriano». Il 4 marzo Leone e Parrotta acquistano e occultano un’auto rubata, una Citroen C1 per impiegarla nell’esecuzione dell’attentato. Proprio in quei giorni, a causa di un incidente, Parrotta aveva scoperto di avere un apparecchio gps in macchina. «Ho entrato la mano e l’ho tolta – racconta Parrotta – ieri sono andato a Vibo Marina e l’ho gettato in mare», dice a Leone Soriano, anche se il suo desiderio era quello di mettere il gps nella macchina del maresciallo Todaro. Nonostante sapessero, quindi, di essere monitorati, i Soriano non rinunciano al proposito di mettere a segno l’attentato. Anzi, Leone Soriano propone di metterlo a segno la sera stessa in cui ha acquistato l’auto rubata. «Che dici gliela mettiamo questa cazzo di cosa… o rimandiamo un paio di giorni?». Parrotta è cauto: «Vediamo stasera, vediamo stasera cosa ci sta in giro». Il sei marzo, due giorni prima degli arresti, Leone Soriano ripropone di tentare il colpo verso le otto di sera, dopo l’orario di chiusura della ricezione del pubblico: «Verso le 8 appena chiude. Te ne frega che ci va qualcuno? Nel senso che… vanno a mettere la benzina, una volta che fa buio».
Leone Soriano è spregiudicato. Nonostante le perquisizioni pressoché quotidiane, i controlli, è ben lungi dal desistere dai suoi propositi delittuosi. Due giorni prima degli arresti da una intercettazione emerge il proposito di «mettere qualcosa nella macchina di Todaro». E poi c’è il tentativo di intimidire il maggiore Valerio Palmieri, comandante del Nucleo investigativo che stava curando personalmente le attività di perquisizione. Soriano racconta a Parrotta di un alterco con il maggiore Palmieri avuto durante una perquisizione nell’abitazione di Soriano. «Con il maggiore mi sono preso quel giorno, mi sono girati i coglioni, mi stavo chiappandu (bisticciando, ndr), mi ha minacciato: dovete guardare la mia faccia, dovete stare attenti. Gli ho detto: io devo guardare la tua faccia? Stai attento tu alla faccia mia. Ditelo a tutti che adesso, io gli ho detto a tutti chi? Che adesso cerco di proteggere la vostra incolumità, gli ho risposto la mia incolumità? Devi proteggere alla famiglia tua non la mia».

ale. tru.

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