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Processo “Aemilia”, il pentito Valerio: «Anch’io sono stato minacciato»

Dopo l’aggressione di Signifredi, arriva la rivelazione di un altro collaboratore di giustizia: «Paura per le dichiarazioni di alcuni imputati». Clima teso in aula. Alla sbarra ci sono 151 persone. I…

Pubblicato il: 15/05/2018 – 12:27
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Processo “Aemilia”, il pentito Valerio: «Anch’io sono stato minacciato»
REGGIO EMILIA Nuove presunte minacce e intimidazioni di stampo mafioso ai collaboratori di giustizia vengono alla luce, mentre è iniziata nell’aula del processo “Aemilia” a Reggio Emilia la requisitoria del più grande processo alla ‘ndrangheta al nord. Le conclusioni dell’accusa dovrebbero durare tre udienze; la sentenza invece potrebbe arrivare fra tre mesi: 151 gli imputati. Il clima in aula non è disteso. Nel corso dell’udienza dell’8 maggio infatti, come riportano alcuni quotidiani, il pentito Antonio Valerio avrebbe dichiarato, in videoconferenza dalla località segreta in cui è ristretto, di essere stato minacciato. La rivelazione arriva dopo che era emerso il “pestaggio” ai danni di un altro collaboratore di giustizia, Paolo Signifredi, raggiunto e massacrato davanti a casa nel luogo protetto in cui risiede. Sull’episodio sono in corso indagini da parte dell’antimafia. Valerio avrebbe invece riferito di essersi sentito minacciato da dichiarazioni e atteggiamenti di altri imputati. «Coloro che sono imputati hanno piena consapevolezza dell’ausilio all’associazione». La requisitoria è iniziata con le parole del pm della Dda di Bologna Marco Mescolini. Il pm ha parlato di «condotte che denunciano cosa sia stata e cosa sia adesso, l’associazione ‘ndranghetistica che si è espressa in Emilia fino al 2015 e fino al 2018 sotto altri aspetti». Dopo le intimidazioni e le presunte minacce ricevute da alcuni pentiti, compreso il pestaggio di Signifredi, il magistrato ha detto di aver «grande preoccupazione per quanto riportano i giornali». E sempre rispetto alle informazioni ottenute dai tre collaboratori di giustizia – Antonio Valerio, Salvatore Muto e Giuseppe “Pino” Giglio -, per confermare la presenza della cosca nel territorio emiliano, Mescolini ha detto che questi «hanno fornito riscontri formidabili a quanto da noi sostenuto». Secondo il pm la chiamata di correo per altri imputati, supportata da «riscontri individualizzanti e attendibilità intrinseca ed estrinseca», rappresenta «un capitolo sufficiente a portare alla condanna». Le conclusioni dell’accusa proseguiranno per altre due udienze.
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