REGGIO CALABRIA Conferma della condanna per l’avvocato Giulia Dieni, sebbene con una pena gradata, assoluzione per il collega Giuseppe Putortì e l’amministratore giudiziario Rosario Spinella. Così ha deciso la Corte d’appello di Reggio Calabria al termine del secondo grado del processo “Rifiuti 2”, scaturito dall’inchiesta che ha velato come il clan Alampi abbia continuato a mantenere il controllo sullo smaltimento in città, nonostante inchieste e processi ne avessero svelato e sanzionato l’infiltrazione. Anche il collegio di secondo grado ha dunque ritenuto l’avvocato Dieni colpevole di aver consentito al boss Matteo Alampi di mantenere inalterata la propria operatività, proprio grazie al sistema di comunicazione con l’esterno che lei, all’epoca suo legale, gli ha garantito. Per lei i giudici hanno stabilito una condanna a 4 anni e 8 mesi, mentre per il boss Alampi è stata disposta una condanna a 14 anni di reclusione, in continuazione con un precedente giudicato. Passa da 11 anni e 15 giorni a 6 anni e 4 mesi di carcere la pena inflitta a Lauro Mamone, ex amministratore dell’impresa degli Alampi. Ridotte le pene anche per Carmela Alampi (4 anni e 8 mesi), Domenico Alati (5 anni, 9 mesi, 10 giorni), Matteo Palumbo (4 anni e 8 mesi), Antonio Quattrone (5 anni e 4 mesi), Maria G. Siclari (4 anni e 8 mesi) e Paolo Siclari (4 anni e 8 mesi). In linea di continuità con quanto accertato dalla prima inchiesta Rifiuti, la nuova tranche investigativa da cui è scaturito il procedimento ha mostrato come gli Alampi operassero con le medesime modalità, secondo il medesimo descritto canovaccio e per il perseguimento dei medesimi fini – la diretta gestione degli appalti nel settore dei rifiuti – del passato. Come in passato – ha svelato l’inchiesta e hanno confermato i giudici– il clan è riuscito a entrare nel settore degli appalti pubblici tramite proprie aziende e imprese risultate vincitrici di gare i cui proventi venivano poi redistribuiti fra le famiglie del direttorio criminale della città.
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