CATANZARO Una «multinazionale del narcotraffico» con radici in Calabria, articolazioni in Lombardia e in Puglia e, soprattutto, con canali diretti per l’approvvigionamento di cocaina in Colombia, Venezuela e Repubblica Dominicana. Alle 25 persone fermate dalla Dda di Catanzaro con l’operazione “Ossessione” scattata stamattina si contesta di essere parte di un’associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, aggravata dalla modalità mafiosa e dalla detenzione di armi.
Le indagini coordinate dal procuratore Nicola Gratteri e dal sostituto Annamaria Frustaci riguardano una rete criminale «complessa» in cui hanno un ruolo «esponenti di spicco della famiglia Mancuso» che dai feudi vibonesi di Limbadi e Nicotera hanno esteso i loro interessi nell’hinterland di Milano.
Tra le persone fermate (qui tutti i nomi) ci sono infatti i fratelli Salvatore Antonino, Giuseppe e Fabio Costantino, nonché Gaetano Muscia (gli ultimi tre erano coinvolti nell’inchiesta “Black money”). E poi Giuseppe Campisi, pluripregiudicato di «elevatissimo spessore criminale» e ritenuto un referente dei Mancuso in Lombardia, ritornato in “attività” dopo aver scontato una lunga condanna per un omicidio mafioso. In Lombardia i vibonesi, secondo gli inquirenti, erano in affari anche con esponenti del clan Mazzaferro originari di Gioiosa Ionica e trapiantati da anni nel Milanese.
LE DONNE, LA COMPARSA DI “GOMORRA” E IL NARCOS CHE HA LAVORATO CON ESCOBAR Un ruolo fondamentale era affidato alle donne, che facevano da “teste di ponte” per le comunicazioni tra i narcos ma a volte erano anche cofinanziatrici dell’import della droga (è il caso, secondo la Dda, di Elisabeta Kotja) e intermediarie «di alto rango» con i cartelli sudamericani. Un ruolo, questo, che sarebbe stato svolto in particolare da Clara Ines Garcia Rebolledo e Gina Alessandra Forgione, figure estremamente note negli ambienti del narcotraffico. “Socio” di Forgione, per esempio, era Julio Andres Murillo Figueroa, un narcos che in passato ha collaborato con i guerriglieri colombiani e perfino con Pablo Escobar, famigerato capo del cartello di Medellin tra gli anni 80 e 90.
La rete poteva contare anche su un broker esperto come Michele Viscotti, di origine pugliese, che andava direttamente in Sudamerica a contrattare prezzi e quantità con i fornitori e aveva anche basi solide nei Paesi Bassi essendo in continuo collegamento con le piazze di approvvigionamento olandesi.
Tra i fermati anche Carlo Cuccia, di Varese, che in passato ha fatto da comparsa in “Gomorra”. Ma mentre nella serie tv gli era stato attribuito il ruolo di “specchiettista”, nell’organizzazione vibonese a Cuccia era demandato il compito di reperire le armi, unitamente al suo compaesano Ivo Menotta.
I CARTELLI NORDAFRICANI DELL’HASHISH Il business principale orientato al Sudamerica è come sempre quello della cocaina, ma la rete criminale finita nel mirino della Dda aveva rapporti anche con il marocchino Abderrahim Safine e, tramite lui, era entrata in affari con i principali cartelli maghrebini per importare grandi quantità di hashish dal Nordafrica.
In Italia, stando alle risultanze investigative, erano i fratelli Costantino ad occuparsi dello “scarico”, cioè di far uscire i carichi di droga dai luoghi di arrivo grazie a preziosi agganci nei porti e negli aeroporti italiani, tra cui quello di Malpensa.
A marzo del 2018 la Guardia di finanza ha sequestrato in un deposito a Milano 430 kg di hashish, arrivati in Italia dal Marocco via Spagna, e una pistola rubata in uso proprio a Salvatore Antonino Costantino. Gran parte dell’hashish era destinata, secondo la Dda, ai finanziatori di stanza in Calabria e in particolare al pregiudicato vibonese Antonio Narciso. Ma quei quattro quintali erano solo una «quota parte» della droga commissionata dai calabresi ai cartelli marocchini: i Costantino secondo gli inquirenti stavano trattando l’acquisto di 3mila chili di hashish che, secondo i loro stessi calcoli, avrebbero fruttato introiti tra i 4 e i 5 milioni di euro.
HOLDING CRIMINALE CON «IMMENSI» PATRIMONI «L’operazione – fanno sapere gli inquirenti – è il frutto di un intenso lavoro investigativo, durato oltre due anni, che ha visto i finanzieri della Sezione G.o.a. del Nucleo Pef./G.i.c.o, specializzata nelle indagini in materia di contrasto al traffico internazionale, con la collaborazione del Servizio Centrale d’Investigazione sulla Criminalità Organizzata, immergersi nei luoghi e nelle abitudini degli associati, tanto da carpirne a pieno l’organigramma ed il modus operandi». L’inchiesta, oltre ad infliggere all’organizzazione rilevanti perdite economiche, sia sotto il profilo dei capitali investiti che dei mancati guadagni, ha, così, consentito di identificare tutti i soggetti coinvolti, ognuno con un ruolo ben preciso. «Lo spaccato che emerge in maniera lampante – si legge in un comunicato – è l’estrema ramificazione delle moderne ‘ndrine che ha consentito alla ‘ndrangheta di disporre di numerosi e floridi canali di approvvigionamento, che ne hanno notevolmente accentuato la pericolosità e l’invasività. La vocazione transnazionale ha rinsaldato affaristici rapporti tra la malavita calabrese e quelle sudamericane, olandesi, spagnole e nordafricane, consentendo un abnorme ampliamento delle zone d’influenza, in molti casi, con l’esportazione del modello organizzativo tipico dei territori d’origine, nelle zone nazionali maggiormente sviluppate, determinando il predominio sulle similari associazioni delinquenziali nazionali e/o estere. Da delinquenza crudele e rurale, un tempo dedita essenzialmente alle estorsioni e ai rapimenti, la ‘ndrangheta – concludono gli inquirenti – ha saputo riciclarsi in una vera e propria holding del crimine, in grado di accumulare e gestire immensi patrimoni illeciti e di inquinare ogni settore del sociale».
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