SOVERIA MANNELLI «Sono amico del figlio di un falegname: voleva fare il medico a Locri ma non c’era posto. Se n’è andato a Bologna, adesso è primario di Oncologia, scrive su riviste internazionali ed è nella commissione internazionale sui farmaci a Ginevra. Un altro è professore a Bologna ed è tra i più grandi gastroenterologi d’Europa». All’Università d’estate di Soveria Mannelli, Nicola Gratteri (ri)lancia l’allarme sulla desertificazione culturale e non solo della regione. Il procuratore capo di Catanzaro, ieri accostato da “Repubblica” al nuovo possibile governo Pd-M5S (ve lo abbiamo raccontato qui) parte dall’emorragia di risorse della sanità per affrontare il tema della fuga dei cervelli. Lo fa con una premessa («amo la Calabria, quindi posso permettermi di parlare male dei calabresi») e un aneddoto. «Avevo 16 anni e un brutto incidente in modo mi costrinse a stare tre mesi in sedia a rotelle. Guardavo dalle finestre dell’ospedale gente col camice che aveva in mano buste di medicine che metteva nelle automobili, vedevo altri che andavano via dalla cucina con grossi pezzi formaggio e li mettevano nel portabagagli. Non vorrei che stessimo ancora pagando quei debiti là».
Il sistema, per come è concepito, porta alla fuga: «Da Roma in su quante decine e decine di calabresi sono professori. Chi non gli ha creato un sistema allettante per farli restare, per accoglierli? Questa è gente che ha sofferto quando è andata via, non sono partiti per i soldi, volevano rimanere in Calabria. Chi non li ha voluti? Chi ha fatto i concorsi truccati? Se si è in buona fede perché non si vanno a trovare questi luminari e gli si chiede di venire a fare i primari in Calabria?». Il trend non cambia, perché «sento giovani laureandi che già dicono non c’è spazio per noi in Calabria. Per me è un fallimento come persona che, oltre a fare nel migliore dei modi il magistrato, non ha saputo a incidere di più per creare condizioni diverse».
La Calabria perde abitanti, «circa 400mila». E, «se non c’è un progetto per tenere questa gente, la situazione è drammatica. Dovete ribellarvi, incontrarvi tra di voi e discutere. Ma non possiamo estinguerci, dobbiamo preservare la nostra cultura. Magari non attraverso la sagra della melanzana, o non soltanto quella. Perché stiamo scomparendo come calabresi, e al mondo diamo tanto da secoli attraverso l’emigrazione. Ma non dobbiamo vivere con rassegnazione, come se ci fosse un destino oscuro e segnato. Tutto sta a convincerci che è possibile cambiare, dobbiamo solo prendere posizione, essere seri, coerenti e costanti».
E pure smontare qualche luogo comune. «Quando vi dicono che i calabresi sono violenti, rispondete che non è vero. Racconto sempre la storia di un ingegnere che scendeva una volta all’anno in Calabria per annunciare l’inaugurazione dell’autostrada. Mai nessuno gli ha tirato un pomodoro e voi dite che i calabresi sono violenti?».
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