REGGIO CALABRIA Passa indenne anche lo scoglio della Cassazione il filone abbreviato dell’inchiesta “’Ndrangheta banking” che ha svelato il gigantesco sistema di credito parallelo gestito dai clan Condello e Pesce-Bellocco. Rigettando tutti i ricorsi, la Suprema Corte ha confermato l’impianto accusatorio che già in passato aveva passato il vaglio della Corte d’appello e del gup e le condanne inflitte all’ambasciatore dei clan, Gianluca Favara, e gli altri sei imputati, tutti condannati.
«Favara non è una figura qualsiasi nel panorama della ‘ndrangheta reggina – aveva sottolineato in primo grado il magistrato responsabile dell’inchiesta Giuseppe Lombardo – è un anello di collegamento che si attiva soprattutto nei passaggi più delicati per l’organizzazione, che possono minare l’equilibrio mafioso».
Già lambito e poi sfuggito ad altre inchieste di mafia, in “’Ndrangheta banking” Favara è stato pizzicato a disinnescare un potenziale conflitto fra il clan Pesce e gli imprenditori Barbieri, storicamente vicini ai clan del mandamento centro.
Un intervento possibile – ha dimostrato l’inchiesta – proprio perché Favara è «espressione di un sistema che non si manifesta attraverso le riunioni dei grandi capi».
Un livello superiore, retto da strutture e automatismi, di cui inchieste come “Meta” e “Gotha” hanno chiarito sempre più organigramma e funzionamento, ma che già in passato “’Ndrangheta banking” ha mostrato in grado di convertirsi in interlocutore chiave di un sistema finanziario parallelo, affidabile e necessario per una platea di imprenditori che non hanno o non hanno più accesso al credito.
Ma che da quel sistema vengono fagocitati. È quello che è successo con la Makeall dell’imprenditore Agostino Augusto, titolare anche di cinque case di cura, già finito al centro dell’operazione “Mentore” della Dda milanese.
Tentato dal prestito dei clan, trascinato fino in Calabria, terrorizzato e minacciato, Augusto nel giro di pochi mesi si trasforma da rampante imprenditore in impaurita marionetta nelle mani di Favara e dei suoi sgherri che sul suo impero puntano a mettere le mani. (a.c.)
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