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De Andrè canta De Andrè, il Politeama sogna cantando Faber

Cristiano De Andrè al teatro Politeama di Catanzaro propone il repertorio del padre Fabrizio. Il concerto in rassegna per il Festival d’Autunno ha incantato i tanti spettatori. «Ho voluto riproporr…

Pubblicato il: 01/11/2019 – 13:45
De Andrè canta De Andrè, il Politeama sogna cantando Faber

di Maria Rita Galati
CATANZARO Celebrante di una messa laica nel nome del padre, Faber. Cristiano De Andrè, sale sul palco del teatro Politeama di Catanzaro per uno dei concerti più intensi e coinvolgenti di questa XVII edizione del “Festival D’Autunno”. Un altro sold out di questo lungo tour che continua a registrare un ottimo riscontro di pubblico e critica e che si aggiunge ai ‘colpacci’  del direttore artistico Tonia Santacroce, già pronta per l’epilogo dell’8 novembre targato Mogol. Dalla Toscana alla Lombardia, passando per Lazio e Sardegna, Cristiano De André approda a Catanzaro – «finalmente di nuovo a Catanzaro» esclama rompendo il silenzio e ringraziando –  con questo spettacolo di cui è stato scritto «un evento destinato a regalare emozioni».Non era facile restituire al pubblico di Fabrizio, una comunità senza tempo, la potenza e la passione di musica e parole concentrate in un album come “Storie di un impiegato”, e rinnovarne la forza evocativa parlando a nuovi e vecchi fan, senza cadere nella banale emulazione. Cristiano canta la Canzone del Maggio, ‘La bomba in testa’, ‘Al ballo mascherato’, ‘Sogno numero due’, Canzone del padre, Il bombarolo, spesso tenendo gli occhi chiusi, duettando con le chitarre e amoreggiando con il violino, in un rapporto con gli strumenti e l’armonia che diventa appassionato e passionale, e diventa il soffio di un bacio diretto a quel pubblico che lo applaude generosamente, e a giusta ragione, quando interpreta “Verranno a chiederti del nostro amore”. Difficile staccare gli occhi da quel palco dove ci sono Osvaldo Di Dio, Davide Pezzin, Davide Devito e Riccardo Di Paola, in perfetta sintonia, in un caleidoscopio di generi – dal rock psichedelico a quello progressivo anni ’70, alla canzone esistenzialista francese – rendendo le sonorità di ampio respiro internazionale tipiche di Faber, noto per l’utilizzo di un linguaggio inconfondibile e, al tempo stesso, quasi sempre semplice per essere alla portata di tutti. A tenere il pubblico incollato per oltre due ore la musica è la presenza scenica di Cristiano, ma anche la scenografia ha fatto la sua parte. I grandi pannelli alle spalle della band che continuano a trasmettere immagini che richiamano e reinterpretano il testo, con l’effetto ipnotico di luci e figure, danno corpo ai sogni e agli incubi di quell’impiegato che credeva in un mondo migliore, non si accontenta di un lavoro qualsiasi solo per sbarcare il lunario e ci racconta infatti il gesto di quell’uomo degli anni ’70, animato dal ricordo della rivolta collettiva del Maggio francese del 1968.  Un disco che anticipa i tempi perché mette in discussione le basi su cui si fonda il potere e che nella rilettura di Cristiano ci invita a riflettere sulla drammatica attualità di quei temi figli della rivoluzione pacifista: l’utopia, l’anarchia, il Sogno, da una parte, il Potere, la paura, l’inabissamento delle qualità individuali a discapito delle esigenze globali, dall’altra. E certe immagini, come quella di Salvini che mangia con gusta un bel panino, quella del popolo curdo e in particolare di Afrin che ha resistito all’Isis, ne dimostrano l’attualità Cristiano De André e Stefano Melone (alla produzione artistica) hanno dato una nuova vita musicale alle canzoni del disco, proprio grazie ad un suono rock-elettronico, calibrato sui momenti psicologici del protagonista della storia. Anche in quella che può essere considerata la seconda parte del concerto, segnata proprio dall’intervento di Cristiano. «Ho voluto riproporre questo repertorio per chi non è abituato ad ascoltare la canzone d’autore, quest’arte ai più giovani, quest’arte fatta di testi che sono di per sé psichedelici e anticipanti dell’oggi – dice Cristiano -. Un’arte che è disaffezione verso il potere, con un impiegato che sogna di ammazzare il potere ma che diventa lui, a sua volta, parte di esso”. Non ci sono poteri buoni, ammonisce De Andrè figlio, ma l’arte – ‘pane dell’anima’ – ci può salvare. Così come l’aprirsi all’altro, con una visione : “Se ognuno di noi fa qualcosa per qualcuno senza volerne niente in cambio si sente molto meglio. E io oggi sono una sorta di sacerdote di mio padre, che porta in giro questa messa laica e la sua parola, e ora vi invito anche a rispettarvi sempre, anche se non avete le stesse idee. Vogliamoci bene». Poi tocca a A çimma, Mégu megún Don Raffaè (molto rock), La domenica delle salme, Smisurata preghiera, Khorakanè (a forza di essere vento), Disamistade, Il testamento di Tito, Amore che vieni amore che vai. E per finire Quello che non ho, Fiume Sand Creek, Creuza de mä, Il pescatore. Ma prima Cristiano invita tutti a scambiarsi un segno di pace laico, nel nome di Faber, un ‘batti cinque’ al vicino a suggello di una cerimonia che non è celebrazione, ma rinnovamento dello spirito di quella canzone d’autore immortale che si tramanda di padre in figlio, come una preziosa eredità immateriale. Ed è standing ovation.

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