di Francesco Donnici
CATANZARO «Sono belle realtà, Romania, Albania, Montenegro questi paesi qua…lì conosco tutti…». A parlare è Ercole D’Alessandro – all’epoca dei fatti in servizio presso il Goa della Guardia di Finanza di Catanzaro – tra gli indagati dell’inchiesta “Basso Profilo” coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo.
Suo interlocutore nella captazione risalente ad aprile 2017 è il politico, l’ex consigliere comunale di Catanzaro Tommaso Brutto. Oggetto della conversazione è quello che gli inquirenti descrivono come l’“affare albanese” per la cui riuscita si richiedeva il supporto e soprattutto i contatti dello stesso D’Alessandro. Nell’affare, Brutto, inserisce anche suo figlio Saverio, al tempo assessore di Simeri Crichi.
Il capitale, invece, lo avrebbe investito il vertice di punta di questa triangolazione, l’imprenditore: Antonio Gallo. Quell’affare doveva essere l’inizio di una fruttuosa collaborazione che guardava non soltanto verso l’Albania ma si riprometteva repliche alla volta della Polonia e della Svizzera, «dove c’è lavoro».
L’Albania è come «la Calabria negli anni 60…c’è da fare tutto». L’idea iniziale è quella di aprire un punto vendita di una nota catena di fai da te, ma l’iniziativa si concretizzerà nell’apertura di un negozio di antinfortunistica dello stesso Gallo che ben presto amplierà le sue mire espansionistiche grazie ad un contatto albanese che proverà ad addentrarlo nel settore della costruzione di grattacieli previe gare d’appalto fatte su misura.
L’AFFARE ALBANESE CON «L’IMPRENDITORE DEI TRAPASSO» Il primo incontro riportato dagli inquirenti è quello risalente al 14 aprile 2017 tra Tommaso Brutto e appunto Ercole D’Alessandro il cui compenso annuo viene pattuito in circa 30mila euro. Brutto dice di sentirsi «più tranquillo» nel poter contare sulla presenza del finanziere nell’affare. Se è vero infatti che D’Alessandro poteva essere figura cruciale proprio per via della fitta rete di contatti messa a disposizione, la tranquillità derivava ancor più dalla sua qualifica di appartenente alle forze dell’ordine.
In un incontro del 24 aprile 2017, sempre Tommaso Brutto fa riferimento a Gallo «che è d’accordo» con l’affare. L’idea è appunto quella di aprire attività commerciali in Albania dove – dice D’Alessandro – basta «dare ragione a una persona sola. […] cioè a livello Ministeri…solo uno devi passare».
Ma Gallo non è un imprenditore qualunque e questo, anche l’ufficiale, pare saperlo.
Brutto innesca D’Alessandro chiedendo lumi su un «collega che rompeva», ovvero il maresciallo Mari, ex comandante di Sellia Marina che nel marzo 2015 aveva denunciato proprio Gallo e altre persone per reati fiscali. Il politico descrive Gallo come «un ragazzo pulito» anche se «comunque qualche contatto ce l’ha». Gli inquirenti riprendono quest’affermazione richiamando Gallo come «imprenditore di riferimento della cosca Trapasso». Risultanza emersa dall’operazione “Borderland”, come lo stesso D’Alessandro ricorda.
«Del resto – scrive la Dda – se non fossero stati consapevoli dell’appartenenza del Gallo alla ‘ndrangheta non ci sarebbe stato motivo di rivolgersi dapprima al D’Alessandro per coinvolgerlo nell’affare in cambio di rivelazioni delle indagini in corso nei confronti del Gallo, e poi mantenere con il luogotenente rapporti che assicuravano il costante flusso informativo».
Da questa prospettiva si comprende infatti meglio l’importanza della partecipazione del finanziere. Come si evince da una conversazione captata tra Gallo e Tommaso Brutto, sia lui che il figlio erano stati coinvolti nell’affare «alla luce della sua qualifica di appartenente alle forze dell’ordine, quindi con l’unico fine di reperire informazioni su indagini in corso di cui, altrimenti non sarebbero venuti a conoscenza».
Secondo la procura, l’esplicito riferimento al collegamento tra l’imprenditore e la nota “famiglia” della frazione di San Leonardo di Cutro, «avrebbe dovuto ingenerare (in generale nei confronti di chiunque e in particolare) in un appartenente alle forze dell’ordine la ferma decisione di prendere le dovute distanze dal soggetto in questione, invece di entrarci “in affari”». L’affare invece si farà.
Il 22 maggio 2017 Tommaso e Saverio Brutto incontrano nella loro abitazione, D’Alessandro e Antonio Gallo per discutere l’affare. Gallo è diviso tra la preoccupazione di possibili indagini nei suoi confronti e la pianificazione dell’investimento: «Abbiamo questo progetto in Albania, siamo già partiti… nel senso che abbiamo trovato la struttura, abbiamo fatto la società con Saverio (Brutto, ndr) per accelerare i tempi, abbiamo comprato e ordinato merce, siamo a buon punto abbiamo una persona albanese che si chiamano “manager” che gestisce tutto e ha esperienza nel settore».
A quel punto D’Alessandro aggiunge che ad un mese di distanza si sarebbe recato in Albania così da poter «combinare» coi suoi «contatti buoni». Coadiuvato da Tommaso Brutto, D’Alessandro avvalora la sua posizione agli occhi del Gallo sostenendo anche di essere «di casa in Montenegro» avendo «un sacco di amici a livello di Ministeri […] persone che sono addentrate e poi c’è il contorno che abbiamo sempre a livello di ambasciate, quindi si può fare una bella cosa». Dopo l’Albania Gallo anticipa che vorrebbe ripetere l’operazione anche in Polonia e Svizzera «dove c’è molto lavoro».
LEGAMI CON LA POLITICA Dopo aver gettato le basi dell’affare, il 22 giugno 2017 viene inaugurata l’attività commerciale in Albania, un punto vendita di articoli di antinfortunistica. Nell’affare è entrato anche il figlio di D’Alessandro, Luciano, all’inizio riluttante rispetto alla figura di Gallo.
Delle cosa pare essere a conoscenza anche Francesco Talarico, all’epoca dei fatti segretario regionale dell’Udc e attuale assessore al bilancio della Regione Calabria. Il successivo 28 giugno 2017, questi incontra Tommaso Brutto nell’anticamera degli uffici dell’imprenditore Floriano Noto. Durante la conversazione, Tommaso Brutto ricorda a Talarico: «Noi ora dobbiamo parlare con Cesa, io mi devo risolvere il problema di mio figlio e gliela dobbiamo mettere anche sul piano Fra’ che noi qui dobbiamo tenere un partito, dobbiamo tenere una segreteria… dobbiamo tenere…mio figlio è disoccupato». Proprio in quel frangente, Talarico gli chiede come stesse andando «quella cosa in Albania» gestita da Gallo. «Ho visto il comandante (Ercole D’Alessandro, ndr) – dice Talarico – che veniva…il giorno dopo è venuto (in Albania, ndr) l’ho visto sull’aereo che io stavo partendo».
Tommaso Brutto spiega così che l’affare si è avviato e riferendosi a D’Alessandro dice di avergli «preso il figlio in società».
Talarico si compiace, e sottolinea: «Queste cosette, secondo me a Roma pure con questo ragazzo (Gallo, ndr) le facciamo…gli passiamo qualche commessa importante… […] una volta che noi gli passiamo il contatto ad Antonio, sa come addentrarsi».
Vi sono poi ulteriori pieghe politiche. Il 9 luglio 2017 D’Alessandro racconta di un suo incontro con Pier Ferdinando Casini e «il braccio destro» che – secondo quanto ricostruito dalla conversazione tra il luogotenente, Gallo e Brutto – «si sarebbe offerto per qualsiasi cosa avrebbe avuto bisogno in Albania». Sempre in quell’occasione, D’Alessandro intercede per Gallo con «un suo amico avvocato, Claudio Larussa» affinché questi gli «sistemasse una situazione pendente dinanzi alla Commissione tributaria. Larussa avrebbe così dovuto sostituire l’allora legale di Gallo, Piero Mancuso, ritenuto da D’Alessandro «una buona persona, ma non è materia sua». Con Larussa, Gallo stringerà un rapporto confidenziale tale da rivelargli, come dimostrato da diverse captazioni, anche una serie di suoi presunti illeciti. L’avvocato diventerà inoltre consulente di fiducia in relazione alla gestione dell’ “affare albanese”.
“DO UT DES” L’adoperarsi del finanziere in favore di Gallo travalica la legittimità allorquando questi si attiva per riferire delle indagini in corso. Secondo gli inquirenti «non può ritenersi che tale aiuto fosse legittimo». Circostanza che D’Alessandro evidenzierà a Tommaso Brutto durante una conversazione del successivo settembre, dove replica alle lamentele avanzate da Gallo nei confronti del figlio: «Era ed è conzatu malu, perché io ti sto vedendo».
Brutto evidenzia così che Gallo si è fatto coinvolgere nell’affare albanese, con annessi rischi imprenditoriali, «al fine di creare un rapporto “do ut des” con il luogotenente D’Alessandro, al quale non solo era assicurata una partecipazione a livello remunerativo nell’affare, ma veniva assicurata l’assunzione del figlio Luciano che era stato inoltre mantenuto nell’affare, nonostante la sua inadeguatezza». Anzi, da una successiva conversazione tra i D’Alessandro (padre e figlio) e Gallo, emerge come i due fossero consapevoli dell’importanza del ruolo del rappresentante delle forze dell’ordine rispetto alla condizione dell’imprenditore. E così, nello specifico, a Gallo viene contestato di aver istigato D’Alessandro a carpire per suo conto informazioni riservate in quanto interessato a conoscere nel dettaglio la esistenza di indagini a suo carico proprio all’indomani dell’operazione “Borderland”. Per l’effetto, D’Alessandro si era rivolto al collega Roberto Mari, appartenente al Gruppo Guardia di Finanza di Catanzaro, che lo aveva informato dell’esistenza di approfondimenti investigativi che coinvolgevano il Gallo, e in particolare di approfondimenti che miravano a provare alcune condotte di riciclaggio in favore della cosca Trapasso, nonché di fattispecie di natura tributaria.
LA CONCLUSIONE DELL’AFFARE Si desume da una conversazione tra Gallo e D’Alessandro del 23 marzo 2018 che verte essenzialmente sul tema politico. Poco tempo prima, la procura documenta la visita di alcuni albanesi pronti a discutere su come “confezionare” una gara di appalto per consentire a Gallo una sicura vittoria che lo avrebbe condotto nel business della costruzione di grattacieli. In cambio avrebbe dovuto anticipare in contanti il 20% dell’ammontare dell’appalto.
Il sogno di conquista dell’ Albania svanisce. Prima del blitz della Dda erano emerse le preoccupazioni rispetto alla figura dei Brutto, con attenzione particolare a Tommaso, escluso dall’affare e che per questo «avrebbe potuto rivelare verità scomode di sua conoscenza inerenti il rapporto tra i due (Gallo e D’Alessandro, ndr)». Sempre nel corso di quella conversazione, Gallo fa riferimento alla sua necessità di «pulire dei soldi» e sarà proprio in quell’occasione che il rappresentante delle forze dell’ordine sottolinea di stare mantenendo un «profilo molto basso» proprio, scrivono gli inquirenti, «per evitare che potessero emergere diverse situazioni per lui molto rischiose». (redazione@corrierecal.it)
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