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«Sogno una Calabria che guidi il Mezzogiorno»

Gli anniversari servono ad alimentare il ricordo, a rinnovarne la memoria e, infine, depurati gli aspetti agiografici, a esprimere – fuori dalla retorica tipica di un genetliaco – giudizi, opinioni e…

Pubblicato il: 11/02/2021 – 10:43
di Saverio F. Regasto*
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«Sogno una Calabria che guidi il Mezzogiorno»

Gli anniversari servono ad alimentare il ricordo, a rinnovarne la memoria e, infine, depurati gli aspetti agiografici, a esprimere – fuori dalla retorica tipica di un genetliaco – giudizi, opinioni e critiche su fatti, circostanze, persone. Con questo spirito, guardo con animo disilluso alla lunga campagna elettorale che sta vivendo la Calabria, terra in cui ho trascorso ampia parte della mia esistenza, non riuscendo a celare, talvolta, lo sconforto più cupo per l’ennesimo, squallido teatrino della politica, non disgiunto dalla nostalgia dei tempi (politici) che furono, popolati da donne e uomini che hanno scritto la storia di questa martoriata terra. Eppure, non mi rassegno a sognare una Calabria che, vinto il bisogno, rivendichi, finalmente, un ruolo politico, economico e sociale di primo piano tanto nel Mezzogiorno, se solo si guarda al contributo che illustri studiosi hanno dato negli anni, quanto nel panorama nazionale, sempre più pervaso da scelte (economia green, sostenibilità, rete sociale di solidarietà) che in Calabria sono già da tempo praticate (per aver solo inseguito e, per fortuna, non aver avuto, questa regione, quella industrializzazione forzata che innumerevoli danni ha creato al Sud in termini di
inquinamento mafioso in primis e, poi, di disgregazione sociale e culturale, quando non di
disastro ambientale (basti pensare alla Pertusola Sud di Crotone, alle raffinerie sarde e,
soprattutto, a Taranto). In questo contesto assisto, attonito, ai riti della politica che, col comune denominatore di individuare l’ennesimo “Uomo della Provvidenza” (la scelta della “Donna” è stata purtroppo spazzata via da una terribile quanto letale malattia), l’uomo solo al comando, che in ragione di presunte competenze e indipendentemente dalla conoscenza o meno della storia (almeno quella recente), dei fenomeni economici e sociali e, soprattutto, della pervasività della criminalità organizzata, “cala” in terra di Calabria, accolto da folle festanti che ne celebreranno le gesta, salvo poi dover prendere atto dell’ennesima, cocente delusione. Quel che appariva ai più “Unto del Signore”, era in realtà l’ennesimo ingombrante personaggio, molto mediatico, ma poco sensibile e competente per avviare, sottolineo avviare, a possibile soluzione alcuni dei problemi, chiamiamoli danni, fatti da decenni di improvvisata politica. In Calabria, come molto opportunamente hanno ricordato illustri studiosi della materia, il sistema elettorale e le dinamiche politiche hanno funzionato tecnicamente molto bene, garantendo, negli anni, la “logica dell’alternanza” come in nessuna altra regione d’Italia è capitato. Peccato che l’alternanza si è accompagnata alla ignoranza e, soprattutto, alla incapacità più assoluta, talvolta non disgiunta, tuttavia, dall’arricchimento personale (finalmente un obiettivo raggiunto!). Come non volgere, allora, il capo all’indietro, nel giubileo della fondazione del Pci, nato da una scissione che segnerà per sempre la storia della Sinistra italiana e, riavvolgendo il nastro della storia, guardare con ammirazione, nostalgia e anche profonda tristezza (se solo pensiamo ai personaggi che oggi popolano questa parte politica) alle donne e agli uomini che in anni difficili, spesso fatti ingiustamente oggetto dell’ostracismo delle istituzioni, hanno conosciuto e compreso il dramma della questione calabrese, tessera fondamentale della questione meridionale, e ne hanno avviato la soluzione rifiutando gli schemi semplicistici e autoritari della personalizzazione della politica e gli stereotipi ancora oggi molto in voga?
Penso al partito di Rita Pisano – fatta oggetto, di recente, di una polemica politica sterile
a causa del cambio di denominazione dell’Istituto scolastico a lei intitolato – e, ancora
prima, di Fausto Gullo, di Cesare Curcio, di Gino Picciotto, di Ciccio Martorelli, di
Raffaele Carravetta, di Peppino Guarascio, di Momo Tripodi, di tutti quei compagni che
con “disciplina e onore” hanno ricoperto negli anni cariche pubbliche “al servizio di un
ideale”, interpretando il loro non semplice ruolo con spirito di servizio al solo fine del
miglioramento delle difficili condizioni della terra d’origine. Ora, i nomi di certi politici
con cui pure abbiamo percorso un lungo pezzo di strada nella comune militanza in quel
partito, li ritroviamo, purtroppo, nelle cronache giudiziarie e, soprattutto, nelle sentenze
definitive della Corte dei Conti che chiede loro la restituzione di denari pubblici che hanno utilizzato per scopi personali. Quanta tristezza e quanti rimpianti per una terra fatta di donne e di uomini di valore che hanno smarrito il senso della storia e quello della politica e che, ancora una volta, sceglieranno di rincorrere questo o quel caudillo, di destra o di sinistra, che promette soluzioni impossibili. La storia del fallimento della classe dirigente della mia amata terra è scritta nelle indagini della magistratura, nelle sue sentenze, ma anche e soprattutto nella incapacità di fare tesoro dell’esempio, fulgido, di chi ci ha preceduto.

*Professore dell’Università degli Studi di Brescia

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