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“nuovo corso”

Imprenditore al cospetto del boss dopo i danni ai mezzi: storia di una mazzetta

Le offerte di protezione del clan De Stefano. L’incontro con il capo della cosca. La Dda fa luce su un’estorsione da 80mila euro

Pubblicato il: 25/02/2021 – 11:54
Imprenditore al cospetto del boss dopo i danni ai mezzi: storia di una mazzetta

REGGIO CALABRIA L’inchiesta “Nuovo Corso” della Dda di Reggio Calabria – coordinata dai sostituti procuratori Stefano Musolino e Walter Ignazitto – ha consentito di far luce su alcune gravi vicende estorsive poste in essere da affiliati e soggetti contigui alla cosca De Stefano in danno dell’imprenditore Francesco Siclari e di un suo consociato in Ati di altra provincia calabrese, aggiudicatari degli appalti pubblici per il rifacimento del Corso Garibaldi e – solo il primo – di Piazza Duomo della città di Reggio Calabria. Gli esiti delle attività investigative svolte dalla Squadra Mobile, suffragati dalle dichiarazioni delle vittime e del collaboratore di giustizia Maurizio De Carlo, comprovano ulteriormente, rispetto alle risultanze delle precedenti inchieste, l’esistenza di un asfissiante sistema vessatorio di cui sono vittime gli imprenditori operanti sul territorio reggino dove esercitano l’egemonia mafiosa potenti e storiche cosche di ‘ndrangheta come quella dei De Stefano di Archi, la cui esistenza ed operatività è stata plasticamente dimostrata dall’operazione Malefix eseguita nel mese di giugno 2020.

Gli 80mila euro per i lavori di pavimentazione

L’estorsione legata all’esecuzione dei lavori di pavimentazione del Corso Garibaldi è consistita nell’aver costretto l’imprenditore reggino (nella misura del 20%) e il socio (in quella dell’80%) a versare, in forza di pesanti intimidazioni, in contanti ed in più tranche, 80mila euro ad alcuni esponenti di rilievo della cosca De Stefano, corrispondenti al 2% dell’intero importo dei lavori. Le somme di denaro venivano corrisposte dalle vittime agli estorsori quando, sulla base dei Sal (stato avanzamento lavori), il committente dell’opera, ovvero il Comune di Reggio Calabria, pagava le quote relative al corrispettivo spettante alle ditte aggiudicatarie. Siclari ha riferito agli inquirenti che nel 2011 – mentre era impegnato nei lavori di ristrutturazione di un immobile privato – era stato avvicinato da Andrea Giungo che, presentandosi come esponente della cosca, gli aveva offerto protezione che non veniva accettata. Dopo circa due anni, quando cioè si era aggiudicato, assieme al socio, i lavori di riqualificazione del Corso Garibaldi e dopo aver subìto il danneggiamento a mezzo incendio dell’autovettura (nell’autunno del 2013), Giungo si presentò ancora una volta da lui, sollecitandolo nuovamente ad accettare la sua protezione. La seconda volta, presentatosi assieme a Vincenzino Zappia classe 1968 (indagato nell’ambito di questa inchiesta), Giungo chiese espressamente all’imprenditore il pagamento della mazzetta alla cosca De Stefano.

L’offerta di protezione per il Duomo 

In un’altra circostanza, venne avvicinato dal soito Giungo e da Domenico Morabito che quantificarono l’ammontare della richiesta estorsiva in 80mila euro. Quando Giungo venne arresto (dicembre 2014), fu Morabito a occuparsi della vicenda estorsiva, tanto che dopo l’avvio dei lavori sul Corso, si presentò più volte nel’abitazione e nella sede dell’impresa di Siclari, rivendicando il pagamento della somma di denaro richiesta in precedenza dai complici. Le prime due rate di 10mila euro vennero pagate nel 2015 proprio a lui. La terza tranche venne pagata a Paolo Caponera, che si era accreditato come rappresentate del casato mafioso. Quando venne scarcerato, nel marzo del 2016, Andrea Giungo riprese i contatti con l’imprenditore vessato anche per imporgli il pagamento di un’estorsione (di entità non specificata), legata ai lavori di ristrutturazione di Piazza Duomo. Nella circostanza, Giungo reiterò alla vittima la pretesa estorsiva relativa ai lavori del Corso Garibaldi, richiamando i danneggiamenti e i furti che l’impresa aveva subito nei mesi precedenti ed offrendogli protezione anche per i lavori di riqualificazione di Piazza Duomo. La vittima però non cedette alla richiesta estorsiva, evidenziando che già aveva patito un rilevante danno economico con i furti ed i danneggiamenti.

Al cospetto del capoclan

Nell’autunno del 2016, mentre percorreva con il suo motorino una via del centro urbano, Siclari venne affiancato da una motocicletta di grossa cilindrata, a bordo della quale c’era Giungo, con un altro soggetto, che con fare minaccioso lo invitò a seguirlo in una traversa della zona universitaria dove lo fece salire a bordo di un’utilitaria guidata da un altro soggetto, per condurlo infine in un appartamento all’interno del quale fu portato al cospetto di Paolo Rosario De Stefano, presentato come il capo della famiglia. De Stefano rievocò i danneggiamenti ed i furti che aveva subìto e gli garantì protezione se avesse mostrato amicizia nei confronti del sodalizio. Chiaro era il riferimento alle pretese estorsive. Successivamente venne avvicinato da Domenico Musolino, già imprenditore edile, legato da rapporti di affinità (essendone il cognato) con Antonio Lavilla, classe 1975, genero di Giovanni Tegano, classe 1939, storico patriarca dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta, federata ai De Stefano. È a Musolino che tra il 2017 e il 2018 l’imprenditore e il socio pagarono le ultime tre tranche (pari a circa 45/50 mila euro) della mazzetta relativa ai lavori di ristrutturazione del Corso Garibaldi.

Chi sono i membri del clan arrestati

I protagonisti delle due vicende estorsive relative ai lavori di rifacimento del Corso Garibaldi e Piazza Duomo sono soggetti noti per i loro trascorsi penali e di polizia. 

Paolo Rosario De Stefano (già Caponera) è figlio naturale del defunto Giorgio De Stefano classe 1941 (fratello del defunto boss Paolo De Stefano classe 1943). Nel 2009 è stato condannato ad 8 anni di reclusione per associazione mafiosa. Attualmente è detenuto in forza della misura cautelare conseguente al fermo emesso dalla Dda ed eseguito dalla Squadra Mobile nel maggio 2017 nell’ambito dell’operazione “Trash”, per associazione mafiosa ed estorsione aggravata. Nel 2005 era riuscito a sottrarsi all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa (nell’ambito dell’operazione “Number One” contro la cosca De Stefano) per associazione mafiosa, tentata estorsione e rapina e veniva poi catturato in stato di latitanza dalla Squadra Mobile in data 18.08.2009 a Sant’Alessio Siculo (ME).  Anche Paolo Caponera è stato indagato per associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta “Number One”. Nel 2009 è stato condannato a 4 anni di reclusione per lo stesso reato.  Attualmente è detenuto in forza della misura cautelare eseguita nell’ambito dell’operazione “Trash” per associazione mafiosa ed estorsione aggravata. 

Andrea Giungo, attualmente sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno a Reggio Calabria, ha scontato 6 anni di reclusione per associazione mafiosa (cosca De Stefano), cui è stato condannato ad esito del processo scaturito dall’operazione “Il Padrino”, eseguita dalla Squadra Mobile nel mese di dicembre 2014.

Domenico Morabito è stato condannato con sentenza definitiva nel 2011 a 4 anni di reclusione per associazione mafiosa (cosca De Stefano) e favoreggiamento personale della latitanza di Orazio De Stefano (Operazione “Number One”).

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